Cons. Stato Sez. VI, Sent., 03-02-2011, n. 757 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado n. 2492 del 1998, l’odierna parte appellante aveva chiesto il risarcimento dei danni derivati in conseguenza della (accertata giudizialmente) illegittima ritardata assunzione, con riferimento alla retribuzione non percepita e la conseguente condanna dell’Amministrazione anche con riferimento agli interessi e alla rivalutazione monetaria

In punto di fatto aveva premesso di aver partecipato ad un concorso per personale non insegnante bandito con O.M. 2/4/1976, risultando classificato in posizione non utile a seguito della mancata valutazione di alcuni titoli da lui vantati e di avere impugnato detta collocazione al fine di ottenere l’annullamento la graduatoria, chiedendo l’attribuzione del punteggio asseritamente spettantegli per carichi di famiglia.

Con la sentenza 31/3/1989, n. 313, il Consiglio di Stato, Sez. VI, in riforma della sentenza resa dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Sede di Bari- 8/11/1984, n. 720, aveva accolto il proprio ricorso.

Conseguentemente, in esecuzione della citata sentenza, il Provveditorato agli Studi di Foggia, con decreto 13/3/1990, n. 62, lo aveva nominato collaboratore amministrativo in prova nel ruolo provinciale, assegnandolo alla Scuola Media annessa all’Istituto Statale d’Arte di Cerignola, con effetti giuridici a decorrere dal 20 settembre 1977 ed effetti economici dalla presa di servizio.

Egli aveva adito il giudice civile (con ricorso depositato presso il pretore in funzione di giudice del lavoro in data 4/4/1990) al fine di ottenere il risarcimento del danno subito, ma il giudice del lavoro, tanto in primo che in secondo grado, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

In conseguenza di ciò aveva proposto il petitum risarcitorio innanzi al Tribunale amministrativo regionale: posto che, come riconosciuto dal Consiglio di Stato con la citata decisione n. 313/1989 a carico dell’Amministrazione incombeva l’obbligo ineludibile, di assumerlo sin dal 1977 (anche per espresso vincolo imposto dal bando di concorso), ad avviso del ricorrente ne doveva conseguire la condanna dell’Amministrazione scolastica al pagamento del dovuto (retribuzioni non percepite dal 20/9/1977, oltre interessi e rivalutazione).

Il petitum di cui al ricorso era stato contrastato dalla difesa dell’amministrazione, evidenziando che (anche a voler riconoscere la ricorrenza degli elementi oggettivi dell’illecito aquiliano: mancata tempestiva nomina; evento di danno e nesso di causalità tra comportamento illecito della p.a. e pregiudizio patrimoniale sofferto dal ricorrente), era carente l’elemento soggettivo (dolo o colpa grave): in ogni caso, l’amministrazione aveva chiesto esperirsi istruttoria al fine di verificare se l’odierno appellato avesse percepito aliunde o addirittura dalla stessa Amministrazione scolastica emolumenti retributivi nel periodo concernente il contestato ritardo nell’assunzione, eccependo inoltre l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Il Tribunale amministrativo regionale adito ha respinto l’impugnazione, non ritenendo sussistenti i presupposti soggettivi dell’illecito, come era dimostrato per tabulas anche dall’altalenante esito del giudizio in ordine alla pretesa all’assunzione del medesimo.

In primo grado, infatti, l’originaria sentenza del Tribunale amministrativo regionale n. 720 del 1984 aveva affermato che l’Amministrazione Scolastica aveva legittimamente negato al ricorrente punti 4 per "aspiranti con persone a carico", atteso che:

a) egli non aveva provveduto a dichiarare le fonti di reddito realmente godute dai componenti del suo nucleo familiare;

b) non poteva ritenersi applicabile l’istituto della regolarizzazione, in quanto non si trattava di correggere un errore formale, ma di integrare una dichiarazione mancante;

c) il diniego di attribuzione del punteggio era da ritenersi sufficientemente motivato in ragione della mancata produzione della dichiarazione relativa ai redditi dei componenti il nucleo familiare.

In grado di appello (sentenza 31/3/1989, n. 313) si era invece pervenuti ad una pronuncia di segno opposto (anche) sulla base di una diversa interpretazione delle disposizioni contenute nel bando di concorso essendosi affermato che:

a) l’obbligo di presentazione della citata dichiarazione sussisteva solo nel caso in cui vi fossero familiari provvisti di autonome fonti di reddito;

b) l’Amministrazione scolastica avrebbe potuto richiedere all’interessato una espressa dichiarazione in merito (integrativa degli elementi già forniti);

c) il diniego di attribuzione del punteggio sarebbe dovuto essere motivato alla luce di una circolare del Ministero del Tesoro, che stabilisce che, salvo diversa indicazione, il carico della moglie e dei figli minorenni è presumibile.

Ne conseguiva che poteva affermarsi che la norma del bando che era stata violata si prestava a diverse interpretazioni e, dall’altro lato, che la giurisprudenza in tema di regolarizzazione dei documenti da presentare in sede di procedura concorsuale, nonché in tema di motivazione del diniego del punteggio da attribuire ai singoli titoli posseduti dai candidati, era sempre stata (ed è tuttora) oltremodo oscillante: la condotta dell’Amministrazione scolastica non era qualificabile né in termini di colpa, né, tanto meno, in termini di dolo.

La sentenza reiettiva è stata appellata dalla originaria parte ricorrente rimasta soccombente, che ne ha contestato la fondatezza proponendo articolati motivi di impugnazione ed evidenziando che la motivazione della stessa sarebbe apodittica ed errata.

Argomentando nei termini seguiti dal Tribunale amministrativo regionale, ad avviso dell’appellante ne sarebbe dovuto conseguire che in ogni caso di riforma della sentenza di primo grado sarebbe stata preclusa la ravvisabilità degli estremi dell’art. 2043 del codice civile in capo all’amministrazione a cagione dell’altalenante esito del giudizio, ma tale tesi appariva del tutto priva di supporto normativo.

Inoltre, l’appellante ha dedotto che la sentenza gravata non ha tenuto conto che l’operato dell’amministrazione aveva disatteso una chiara circolare del Ministero del Tesoro, sicché la colpa era evidente, mentre la proposizione del ricorso al Tribunale amministrativo regionale escludeva l’operatività del disposto di cui all’art. 1227 del codice civile e poteva dal luogo alla liquidazione di cui all’art. 1226 del codice civile.

L’appellante ha depositato una conclusiva memoria, datata 14 ottobre 2010, puntualizzando le tesi esposte nell’atto di appello e ribadendo la illegittimità dell’operato dell’amministrazione, ritenuto viziato da colpa grave.
Motivi della decisione

1. L’appello è infondato e deve essere respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente conferma della appellata sentenza, sulla insussistenza della colpevolezza dell’amministrazione (sicché è irrilevante verificare se, alla data di emanazione del provvedimento originariamente lesivo del ricorrente, l’ordinamento conteneva la regola della risarcibilità alla lesione arrecata all’interesse legittimo, ciò che fu escluso dall’ordinanza n. 165 del 1998 della Corte Costituzionale).

2. Risulta infatti assorbente l’affermazione per cui per la accoglibilità del petitum risarcitorio occorre una responsabilità a titolo (quantomeno) di colpa: a tale proposito la Sezione dissente dalla ricostruzione prospettata nel ricorso in appello.

Ritiene la Sezione che esattamente, nel caso di specie, il Tribunale amministrativo regionale abbia rilevato che la condotta serbata dall’amministrazione appellata sfugga a qualsivoglia giudizio di rimproverabilità.

Che nel giudizio di merito che si colloca a monte dell’odierna causa, il petitum sostanziale dell’odierno appellante fosse stato respinto in primo grado (con la sentenza del TAR n. 720 del 1984, riformata da questa Sezione con la decisione n. 313 del 1990), è circostanza di per sé non decisiva.

La deduzione dell’appellante sul punto, secondo cui non può ritenersi che la colpa dell’amministrazione sia esclusa ogni qualvolta l’azione amministrativa sia stata differentemente valutata in primo ed in secondo grado, integra un’affermazione sulla quale si può senz’altro convenire in linea di principio: nessuna regola esige che sia necessaria una doppia, conforme, pronuncia giurisdizionale al fine di dimostrare la riconducibilità al paradigma colposo dell’accertata illegittimità di un provvedimento.

Semmai può affermarsi che la circostanza che il Tribunale amministrativo regionale abbia in primo grado dato torto all’appellante può essere un concreto elemento per rilevare che la illegittimità del provvedimento non fosse così pacifica come prospettato da parte appellante.

Tale convincimento, peraltro, assume valenza oggettiva nel caso di specie, come si evince dall’iter motivazione della richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 313 del 1989.

In essa, infatti, è dato riscontrare l’affermazione per cui il punto 7 della tabella B di valutazione dei titoli annessa alla OM 2/4/1976 prevedeva l’attribuzione di punti 4 per gli aspiranti con familiari a carico e che la nota 6 alla tabella di valutazione predetta stabiliva il quomodo della dimostrazione di tale preteso diritto, onerando l’aspirante alla presentazione di copia dello stato di famiglia con dichiarazione scritta dei soggetti facenti parte del nucleo familiare fossero provviste di redditi (pag.10 ed 11 della citata decisione).

Dalla considerazione per cui il carico della moglie e dei figli minorenni era presumibile e dalla circostanza che l’appellante aveva richiesto espressamente l’attribuzione del punteggio, il Consiglio di Stato aveva fatto discendere la "implicita ammissione dell’interessato di trovarsi nelle condizioni per fruire della attribuzione delle quote di aggiunte di famiglia maggiorate".

E’ incontestabile quindi che tale richiesta non fu espressamente avanzata.

Del pari (pag. 13 della stessa decisione), appare pregnante rilevare che la motivazione del Consiglio di Stato è stata "irrobustita" dalla considerazione che l’amministrazione, "sussistendo dubbi al riguardo",, avrebbe potuto e dovuto richiedere all’interessato una espressa dichiarazione in merito (integrativa di quella oggettivamente carente già presentata), ovvero svolgere accertamenti sulla spettanza delle quote stesse, oltre che a motivare espressamente al riguardo.

E’ evidente, pertanto, che il nucleo centrale del decisum riposa nel convincimento che sussistessero le condizioni per regolarizzare la documentazione prodotta da parte dell’appellante, che non aveva pienamente rispettato le regole previste dal bando di concorso del 2 aprile 1976.

Nella specie, la non riproverabilità dell’amministrazione emerge ictu oculi, ove si consideri che:

a) l’appellante aveva omesso la dichiarazione della propria condizione familiare;

b) la decisione del 1990 del Consiglio di Stato ha fatto riferimento ad un dato ricavabile "implicitamente" ed alla possibile iniziativa dell’amministrazione, finalizzata a consentire la regolarizzazione della domanda partecipativa (pur non essendo ciò espressamente previsto nel bando);

c) la sentenza n. 720 del 1984 del TAR aveva interpretato il bando, ritenendo del tutto legittimo il provvedimento di mancata valutazione del titolo.

Tali convergenti elementi escludono la ravvisabilità di una condotta colposa (e men che meno connotata di gravità) in capo all’amministrazione, e da tale convincimento dell’assenza di un presupposto legittimante l’accoglimento del petitum risarcitorio discende la reiezione del ricorso in appello e la conferma dell’appellata decisione.

3. Le spese processuali seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro cinquecento (Euro 500/00) oltre accessori di legge, se dovuti, in favore di parte appellata.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 5272 del 2005, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro cinquecento (Euro 500/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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