Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-03-2011, n. 6030 Contratti collettivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 13.05.2005 la BANCA INTESA conveniva in giudizio F.D. per sentir dichiarare l’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro nei suoi confronti, in attuazione di una procedura di riduzione del personale avvenuta con "Accordo di programma" del 5 dicembre 2002 e successivo "Accordo" con le organizzazioni sindacali del 15.01.2003.

Si costituiva il F., che eccepiva l’invalidità di detti accordi ed in ogni caso l’illegittimità ed inefficacia dell’intimato licenziamento, con le conseguenti statuizioni di ordine reintegratorio e risarcitorio.

All’esito il Tribunale di Torino dichiarava la legittimità del licenziamento con sentenza del 23.02.2006. Tale decisione, a seguito di appello del F., è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino con sentenza n. 2061 del 2006, la quale ha ritenuto che la Banca Intesa avesse correttamente intrapreso la procedura di licenziamento collettivo in esito alla quale era stato legittimamente risolto il rapporto di lavoro con il ricorrente.

Il F. propone ricorso per cassazione, articolato su sei motivi.

La Intesa Sanpaolo (già Banca Intesa S.p.A.) resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato rispettiva memoria ex art. 378 CPC.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5 degli artt. 17 e 18 CCNL per i quadri direttivi e personale delle aree professionali dipendenti aziende di credito, nonchè vizio di motivazione su fatti decisivi della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5).

Il F., nel censurare l’impugnata sentenza, ripropone i rilievi, già esposti in sede di appello contro la decisione di primo grado, sostenendo che si è assistito ad una inammissibile sostituzione della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, con l’esclusione dei legittimi protagonisti (come le RSA), che si erano limitati a ratificare quanto pattuito pochi giorni prima dall’azienda con una delegazione sindacale ad hoc prima dell’invio della lettera di avvio della procedura di consultazione sindacale L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 2. In sostanza il ricorrente ritiene la procedura puramente fittizia, nel senso che avrebbe finito per svuotare di contenuto il confronto sindacale oggetto della legge anzidetta. In questo senso è stato formulato il quesito di diritto (cfr. pag. 11 del ricorso).

Il motivo è infondato, per avere il giudice di appello risposto ai rilievi dell’appellante, attuale ricorrente, in maniera convincente e corretta, non riscontrando alcun carattere fittizio nella procedura seguita, di cui ha ritenuto la legittimità in relazione ai singoli atti compiuti.

Sul punto è utile richiamare recente decisione di questa Corte (n. 24343 del 1 dicembre 2010), che, in relazione alla stessa vicenda del licenziamento collettivo disposta dall’attuale banca controricorrente e con riguardo ad altri lavoratori interessati dalla procedura, ha osservato che la Corte territoriale aveva tenuto nella debita considerazione le norme collettive richiamate (in particolare gli artt. 17 e 18), le quali prevedono espressamente che prima di ricorrere all’applicazione delle norme di cui alla L. n. 223 del 1991, debba procedere al "confronto a livello di gruppo" tra una delegazione sindacale ad hoc e la capogruppo. Orbene la conclusione, contenuta nella richiamata sentenza di questa Corte, è condivisibile anche per la vicenda del licenziamento dell’attuale ricorrente, in quanto, anche per il caso di specie, la Corte territoriale – dopo avere osservato correttamente che la prima fase della procedura risultava non solo legittima, ma anzi doverosa, nel pieno rispetto dei dettami contrattuali- ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, che comunque la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991 era stata espletata attraverso tutti i passaggi scanditi dalla legge, con la precisazione – e ciò al fine di dare riscontro al corrispondente rilievo del ricorrente- che il fatto che un mese e dieci giorni dopo il primo accordo si fosse concluso il secondo non poteva certo significare che non vi fosse stata alcuna trattativa tra le parti.

Del resto- continua l’impugnata sentenza – quand’anche le RSA di Banca Intesa si fossero limitate a ratificare quanto statuito nella precedente sede negoziale, non si ravviserebbe alcun motivo giuridicamente rilevante (non certo un vizio del consenso, o addirittura un’incapacità negoziale delle parti) capace di inficiare il contratto in questione. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n 5).

In particolare la sentenza impugnata viene censurata per avere affermato che non vi era contrasto tra la comunicazione di avvio della procedura (5700 esuberi, con esclusione dei dirigenti) e il cd.

Accordo di Programma. La stessa sentenza viene censurata anche per avere introdotto una sorta di applicazione flessibile dei dettami della L. n. 223 del 1991, per avere omesso di indicare gli esuberi al netto dei dirigenti e per avere omesso di indicare il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente da parte della lettera di avvio delira la procedura (in questo senso è formulato il quesito di diritto a pag. 24 del ricorso).

Le esposte censure sono prive di pregio e vanno disattese. Va osservato, con riguardo al dedotto contrasto tra la lettera di avvio della procedura e l’Accordo di programma (sottoscritto a conclusione della procedura ex artt. 17 e 18 CCNL dell’11.07.1999), che il giudice di appello ha accertato che gli esuberi per la Banca Intesa sono stati indicati in 5700 sia nell’accordo di programma sia nella comunicazione del 19.12.2002 e nella tabella dettagliata per ciascuna regione di cui all’allegato 1^ della stessa comunicazione.

Lo stesso giudice ha precisato che la comunicazione precisa è stata fornita con l’atto di apertura della procedura ed ad essa bisogna riferirsi per verificare la correttezza dell’agire aziendale. Nella delineata situazione il giudice di appello ha ritenuto privo di decisiva rilevanza il dedotto contrasto con l’Accordo di programma, che, oltre ad non essere oggettivamente riscontrabile, non avrebbe potuto determinare invalidità di un atto autonomo successivamente assunto.

Il giudice di appello ha dato, poi, una convincente risposta anche sul punto della categoria dei dirigenti, osservando che tale categoria è di per sè esclusa dalle procedure di cui alla L. n. 223 del 1991 e dunque non poteva essere considerata tra gli esuberi interessati al licenziamento collettivo.

In relazione alla mancata indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente il giudice di appello ha escluso qualsiasi invalidità della procedura, ritenendo che la comunicazione fosse precisa e non presentasse profili di indeterminatezza, giacchè il criterio- riferito all’anzianità prossima a pensione- era idoneo ai fini dell’individuazione del personale in esubero. Sulla critica mossa dal ricorrente circa l’introduzione di una sorte di applicazione flessibile della L. n. 223 del 1991 il giudice di appello ha infine dato una convincente spiegazione, rilevando che, a tenore della comunicazione del 19.12.2002, la complessiva procedura, sia per ciò che concerne il gruppo di imprese facenti capo a Banca Intesa sia per quel che ha riguardato più strettamente quest’ultima società, è stata originata dalla decisione imprenditoriale di affrontare le forti criticità determinate dagli insoddisfacenti risultati dell’ultimo biennio, sia sul versante reddituale sia su quello gestionale.

Il giudice di appello ha anche sottolineato che la Banca Intesa, pur dopo aver preso in considerazione quelle misure eventualmente idonee a porre rimedio alla situazione di esubero e ad evitare in tutto o in parte la dichiarazione di mobilità (blocco del turn-over, riduzione al ricorso ai contratti di lavoro a temo determinato, incentivazioni all’esodo, ricorso al tempo parziale), ha comunque proceduto all’avvio della procedura, al fine di giungere al "riequilibrio tra il numero complessivo del personale in servizio e le effettive esigenze scaturenti dalla situazione organizzativa, economica e gestionale della società". 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 – nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5).

Il ricorrente sostiene che il giudice di appello è incorso in ulteriore errore, per avere disatteso la richiamata norma, avendo affermato, con riferimento all’indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali, che "le esigenze tecnico- produttive che hanno determinato la procedura stanno appunto in quella ritenuta necessità- ininsindacabile da parte del giudice- di comprimere il costo del lavoro, attraverso una consistente riduzione degli organici aziendali, da mettere in atto sull’intera realtà aziendale". Da ciò discende, secondo il ricorrente, la nullità dell’accordo sindacale, proprio per essere stato utilizzato un criterio non idoneo a selezionare gli esodandi nell’ambito degli esuberi determinati in base alle esigenze aziendali.

Il motivo non è fondato.

Il giudice di appello non ha ravvisato, sulla base di adeguata e logica motivazione, la violazione nel caso di specie della richiamata norma di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, ritenendo il criterio dell’anzianità contributiva idoneo sia ai fini dell’individuazione delle eccedenze sia ai fini della selezione degli esodandi, proprio per la natura oggettiva di tale criterio e per le ragioni che avevano determinato le scelte aziendali- volte ad ottenere il complessivo abbattimento del costo lavoro- comunicate ai organizzazioni sindacati, da esse condivise e attuate attraverso il successivo accordo del 15.01.2003. 4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 158 del 200, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5).

Sostiene che egli avrebbe dovuto comunque essere escluso dal programma di riduzione del personale, perchè alla data del loro licenziamento (1.04.2004) la Banca Intesa aveva ampiamente superato, per i quadri direttivi, il limite numerico indicato nella tabella allegata alla lettera 19.12.2002 di avvio della procedura.

Aggiunge che la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente a giustificare la decisione, in quanto in contrasto con il D.M. relativo al Fondo di solidarietà.

Questo motivo va disatteso sia sulla base delle argomentazioni svolte in relazione ai precedenti motivi sia perchè gli accordi aziendali hanno legittimamente determinato il numero complessivo delle uscite con riferimento all’intero complesso aziendale e non anche il numero di uscite per i singoli livelli di inquadramento e per le singole posizioni aziendali, sicchè la censura del ricorrente sul maggiore numero di uscite di quadri direttivi appare del tutto irrilevante.

L’irrilevanza della censura del F., come ha osservato la sentenza impugnata, è la logica conseguenza di quanto affermato nella stessa decisione "circa la natura del licenziamento collettivo posto in essere e l’obiettivo che con esso voleva essere raggiunto, ossia quello di una consistente riduzione del numero dei dipendenti, da selezionarsi in base al criterio della maggiore anzianità contributiva: obiettivo che pare sia stato raggiunto in coerenza con gli strumenti che si erano concordati".

Va poi rilevato che il dedotto scarto tra esuberi dichiarati e quelli effettuati nell’area dei quadri direttivi non è affatto rispecchiato nel quesito (formulato a pag. 37 del ricorso).

Quanto alla collocazione del F. è assorbente e decisiva la constatazione che la statuizione del primo giudice non risulta impugnata.

Con riguardo alla dedotta violazione del D.M. n. 158 del 2000, art. 8, che disciplina l’accesso dei lavoratori in esubero alle prestazioni erogate dal Fondo di solidarietà- va osservato che il giudice di appello ha verificato tale profilo ritenendo che la Banca, per far fronte all’esubero, sin dalle iniziali dichiarazioni aveva dato atto in modo assolutamente trasparente di voler far ricorso al criterio della maggiore anzianità, costituente una delle condizioni per l’accesso alle prestazioni dell’anzidetto Fondo.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

La censura investe l’impugnata sentenza per avere con motivazione "sbrigativa" e "superficiale" rigettato la doglianza dell’appellante, secondo cui la "datrice di lavoro non aveva rispettato nemmeno il limite numerico globale di 5700 unità dichiarato prima e riportato nei suddetti accordi".

Il motivo è infondato, in quanto il giudice di appello ha accertato, con esauriente motivazione, che al momento del licenziamento l’appellante rientrava sicuramente- proprio per la sua rilevante anzianità- nel numero complessivo dei lavoratori interessati dalla procedura di riduzione del personale, ossia in quei 5700 esuberi più volte riconfermati anche in sede di accordo sindacale e che quindi erano e restavano l’oggetto della complessiva procedura, indipendentemente dalle marginali vicende che potevano riguardare gli andamenti degli organici.

Appaiono inconferenti poi i richiami ad altra decisione della Corte di Appello di Torino riguardante altri lavoratori ( G., B., Be., A., B.), la cui posizione in graduatoria non è stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata.

6. Con il sesto motivo il ricorrente il ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivi della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5). Il F. censura l’impugnata sentenza per avere rigettato la doglianza secondo cui la Banca avrebbe omesso totalmente ogni indicazione delle modalità di applicazione del criterio di scelta ai sensi del richiamato L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 98. E ciò in contrasto con le statuizioni della Corte di Cassazione.

Anche questa censura è infondata.

Va rilevato in primo luogo che la Corte torinese ha espressamente richiamato "l’insegnamento della Corte di cassazione, secondo cui la norma in esame è diretta a rendere trasparente la scelta operata così da porre i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizioni di controllare la correttezza della operazione e la rispondenza degli accordi raggiunti". La Corte di Appello ha quindi osservato, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, che le comunicazioni della Banca avevano soddisfatto ai requisiti di legge, alla stregua di un accertamento, riferito proprio al rispetto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, che è riservato, al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici (cfr Cass. n. 5942 del 2004).

Orbene la Corte territoriale, in linea con consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha ritenuto perfettamente legittima, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti collettivi, l’adozione del criterio di scelta, in accordo tra datore di lavoro e sindacati, della vicinanza al pensionamento, come in precedenza si è evidenziato (cfr Cass. n. 21541 del 2006; Cass. n. 20455 del 2006; Cass. n. 15377 del 2004, Cass. n. 13962 del 2002).

Il ricorrente, a sostegno del proprio assunto, si è richiamato al precedente giurisprudenziale, costituito da Cass. n. 16805 del 2003, che si riferisce all’ipotesi in cui il giudice di merito non sia stato in grado di rilevare se tutti i lavoratori in possesso dei requisiti richiesti siano stati inseriti nell’una o nell’altra categoria da scrutinare, nè vi sia stata corretta applicazione dei criteri di valutazione comparativa. Tale precedente non è pertinente, giacchè nella fattispecie in esame il giudice di appello ha effettuato, come già detto, motivato e puntuale accertamento, non ponendosi un problema di comparazione e/o di graduatoria di soggetti coinvolti, in relazione a quelli, che, come il F., sono stati licenziati in applicazione del criterio di scelta prioritario, costituito dalla prossimità a pensione.

7. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 54,00 oltre Euro 3000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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