Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-01-2011) 09-02-2011, n. 4750 Istituti di prevenzione e di pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– 1 – Con ordinanza 19/20.5.2010 il tribunale di sorveglianza di Torino rigettava l’istanza, ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 47 ter, comma 1 ter, di detenzione domiciliare in luogo del differimento della pena avanzata da T.G. detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo per il reato di omicidio e di rapina aggravata, per il fatto che l’infermità psichica,- sindrome ansioso depressiva – come accertata del detenuto non determinava una grave infermità fisica, come richiesta dalla normativa richiamata dal ricorrente per poter legittimare il provvedimento richiesto. I giudici della sorveglianza hanno preso atto della diagnosi di "grave disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso,caratterizzato da un elevatissimo rischio di suicidio relativo alla ingiusta detenzione", hanno considerato anche i tentativi posti in essere dal detenuto di gesti autolesionistici nel 1995 e nel 2005, come anche, in conseguenza della sindrome ansiosa depressiva, del vistoso dimagrimento e del progressivo distacco da ogni attività sociale, ma hanno ritenuto che le condizioni di salute non fossero di gravità tale da non potere essere fronteggiata attraverso una allocazione del detenuto appropriata ed adeguata alle necessità del caso concreto.

In proposito hanno ritenuto non rispondente alle necessità del detenuto l’inserimento in un casa circondariale ordinaria ed hanno suggerito l’allocazione del T. in un reparto osservativo di cui al D.P.R. n. 230 del 2000, art. 112.

– 2 – Ricorre, tramite difensore, avverso l’ordinanza il T. denunciando la violazione delle norme internazionali che vietano trattamenti penitenziari contrari all’umanità – art. 3 CEDU e art. 4 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea -, il fraintendimento dei giudici della sorveglianza che motivano con riferimento esclusivo alle circostanze condizionanti il differimento della pena, laddove il T. aveva richiesto la possibilità di espiare la pena in stato di detenzione domiciliare ex at. 47 ter ord. pen., per gravi ragioni umanitarie, richiamando le argomentazioni e le conclusioni, in punto di diagnosi, offerte dalla psicologa – psicoterapeuta P.B. in data 26.2.2010 nei termini di un serio pericolo, perla gravità dello stato fisico psicologico del detenuto, che questi compia atti di auto – distruzione.

Con una memoria difensiva 30.12.2010,la difesa del ricorrente presentava motivi aggiunti che esplicitavano le pregresse argomentazioni, richiamando precedenti giurisprudenziali di questa Corte.

– 3 – Il ricorso, nei termini di cui alla motivazione, non è fondato.

Vi è subito da precisare che alcun fraintendimento dei giudici della sorveglianza si è verificato a fronte della richiesta del T.:

è pur vero che il discorso giustificativo giudiziale si è svolto prendendo in considerazione gli artt. 146 e 147 per verificare, nella fattispecie, la ricorrenza o meno delle condizioni che potessero giustificare un rinvio della esecuzione della pena, ma una tale verifica era necessariamente prodromica per l’ulteriore decisione in punto di concessione della detenzione domiciliare che, nel caso di condanna all’ergastolo, è dalla legge condizionata per l’appunto alla ricorrenza delle condizioni di salute indicate dagli articoli richiamati del codice penale.

Ora sul punto se è pur vero, giuste le puntualizzazione dell’ordinanza impugnata, che l’infermità psichica, eventualmente tale da impedire l’esecuzione ordinaria della pena non determina il rinvio della esecuzione della stessa ex artt. 146 e 147, imponendo solo i provvedimenti di cui all’art. 148 c.p., occorrendo per il rinvio che la malattia psichiatrica si risolva anche in una malattia fisica (cfr, per tutte, Sez. 1^, 15.4.2004, Petruolo, Rv 228132), deve ritenersi pur tuttavia che non rientra certo nel concetto di infermità fisica, come richiamato dall’art. 148 c.p., lo stato depressivo,anche se grave, che non costituisce certo una infermità nella misura in cui non incide sulla capacità di intendere e volere (in tal senso, Cass. Sez. 1^, 5.3/15.5.1992, Verdola, Rv. 189991).

In altra occasione, peraltro, questa Corte, – per una fattispecie di depressione maggiore di quella del ricorrente, con rischio di suicidio, di incapacità di reggere la stazione eretta e di condizioni generali scadute con ipotonia ed ipertrofia muscolare – ha avuto modo di affermare che la detenzione domiciliare applicata in luogo del rinvio dell’esecuzione della pena, escludendo la sottoposizione del condannato al regime penitenziario e consentendogli di vivere dignitosamente nell’ambito familiare e provvedere nel modo più ampio alla cura della sua salute, non può considerarsi, in astratto, contraria al senso di umanità (v. Sez. 1^, 8/28.5. 2009, Aquino, Rv. 189991). Ne consegue che il giudice può disporla, la detenzione domiciliare, in tutti i casi in cui, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo che si attua attraverso i previsti interventi obbligatoli del servizio sociale e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle di difesa sociale, faccia ritenere ancora necessario un minimo controllo da parte dello Stato Ma nella specie i giudici della sorveglianza,con un discorso giustificativo esente da critiche sul piano della legittimità, non hanno ritenuto che le condizioni fisiche si presentassero, su un piano di chiarezza, con un carattere di gravità tale da giustificare il rinvio della esecuzione e l’eventuale concessione della detenzione domiciliare. Ed hanno in un certo senso rigettato il ricorso allo stato, ma in un certo senso condizionandolo agli esiti del periodo di carcerazione che hanno suggerito all’organo della esecuzione potersi eseguire, con il richiamo pur improprio al D.P.R. n. 230 del 2000, art. 112, in un apposito Istituto attrezzato per fronteggiare medicalmente lo stato di malattia rilevata. In aderenza alla ratio del terzo comma della predetta disposizione, quei giudici potranno all’esito del trattamento e delle cure, procedere, sussistendone le condizioni, ad una nuova determinazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso, con la condanna del ricorrente alle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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