Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-03-2011, n. 6024

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Napoli del 11,12.2003, sulla domanda di differenze di provvigioni pattuite e di determinazione della misura delle stesse, di pagamento dell’indennità di scioglimento del contratto e dell’indennità di incasso, proposta da S.A. nei confronti della Spa FARVIMA Medicinali, quest’ultima era stata.,al pagamento di complessivi Euro 76.069,72, oltre accessori, a titolo di indennità ulteriore per gli incassi; erano state, invece, rigettate la domanda dell’agente relativa alla richiesta di pagamento dell’indennità di scioglimento del contratto e la domanda riconvenzionale spiegata dalla società anche per i danni connessi ad una asserito sviamento della clientela da parte dello S..

Con sentenza depositata il 14.7.2008, la Corte di Appello di Napoli, sull’appello proposto dalla società, in parziale accoglimento dello stesso ed in riforma della impugnata sentenza, rigettava la domanda principale di cui al ricorso introduttivo, nonchè la riconvenzionale della società riproposta con appello incidentale e compensava tra le parti le spese di lite del doppio grado.

Riteneva la Corte territoriale che non era stata fornita la prova della dedotta ulteriore attività di incasso rispetto a quella prevista in sede di conferimento dell’incarico agenziale; che l’attività di incasso vantata dal ricorrente per l’attività di esazione dei crediti e non già limitatamente ad alcune partite rimaste in sospeso non giustificava compensi ulteriori, atteso che dal contratto si evinceva che le parti, a momento della sottoscrizione dell’accordo, avevano previsto la possibilità che l’agente potesse provvedere, su incarico della società, all’incasso della somme dovute dai clienti nei casi ivi contemplati, riferiti all’insolvenza e morosità dei predetti. Nè erano state allegate e provate circostanze da cui desumere che l’accordo di cui al mandato si fosse poi modificato, con estensione dell’incarico alla riscossione in via generalizzata; l’attività di incasso, come emerso dalle testimonianze acquisite, riguardava, invero, il solo "scaduto", ossia unicamente le situazioni morose dei clienti della FARVIMA spa procacciati dall’agente S.. Anche la riconvenzionale doveva ritenersi priva di fondamento, attesa l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 2113 c.c. non trattandosi di diritti inderogabili quanto alle invocate provvigioni spettanti. Ogni altra pretesa dallo S. vantata ed azionata per differenze provvigionali doveva ritenersi in contrasto con quanto emerso dalla CTU e solo genericamente contestato.

Propone ricorso per Cassazione S.A., affidando l’impugnazione a quattro motivi.

Resiste, con controricorso, a società, la quale ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo, lo S. deduce l’omesso esame su un punto decisivo della controversia – sulla misura fondamentale della provvigione – ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume il ricorrente che la materia del contendere era la definizione di quale fosse la provvigione afferente il farmaco e non afferiva all’esistenza di provvigioni di ammontare superiore a quello concordato in sede di incarico.

Con il secondo motivo, lamenta l’erroneità della decisione in ordine alla esistenza di una provvigione superiore a quella base, l’omesso esame di un punto decisivo della controversia art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine ai successivi e specifici punti controversi.

Evidenzia che la base contabile era contestata e messa in discussione e che, peraltro, la Corte di Appello aveva omesso di esaminare parte della documentazione, non acquisita da ctu per errore della cancelleria. Rileva il mancato riconoscimento delle differenze provvigionali sui farmaci e parafarmaci e l’esistenza della del livello provvigionale, ammontante, sul farmaco, alla percentuale dell’1%. Assume che dal coacervo degli affari e delle provvigioni esitate il Ctu avrebbe dovuto espungere gli affari per i quali era stata rinvenuta una maggiore provvigione di quella ritenuta accertata dal Tribunale e che, proprio in ragione di tale errore contabile, il conteggio provvigionale non era attendibile, in quanto non si era proceduto alla diversificazione nell’ambito del compendio contabile.

Con il terzo motivo di ricorso, e con riferimento alla questione afferente gli incassi, il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione, che si presentava disarticolata in relazione ai fatti, il travisamento degli stessi ed il contrasto logico ( art. 360 c.p.c., n. 5); deduce, inoltre, l’omessa applicazione dell’art. 3 AEC 9.6.1988 e dell’art. 2041 c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto riferibile l’attività di incasso solo allo "scaduto", ma che, poi, contraddittoriamente, senza motivazione e prova al riguardo, aveva reputato che il termine scaduto fosse da interpretare come insoluto.

Assume che la facoltà di riscossione non rientra negli elementi essenziali o naturali del contratto di agenzia ‘e, quindi, necessita sempre di apposita autorizzazione e che per la stessa compete una provvigione supplementare. Riporta il disposto dell’art. 3 AEC de 9.6.1988 a conforto della tesi sostenuta. In ogni caso, deduce l’applicabilità dell’art. 2041 c.c., per l’attività continuativa di riscossione degli scaduti.

Infine, con il quarto motivo, lo S. lamenta l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n 5.

Deduce il mancato completamento de mezzo istruttorio richiesto, con riferimento alla istanza di escussione dei clienti, al fine di rendere possibile la conferma, ovvero l’esclusione, in maniera definitiva, di quanto in discussione.

Deve dichiararsi l’inammissibilità del primo e del secondo motivo del ricorso per violazione del principio di autosufficienza e di quanto prescritto, per i ricorsi relativi a sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore della L. n. 40 del 2006, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione al deposito di atti processuali, documenti, su cui il ricorso si fonda. Il requisito non appare nella specie soddisfatto, atteso che si è omesso di precisare in quale sede processuale i documenti, quali la lettera di conferimento d’incarico, i documenti contabili dei quali si assume l’omesso esame sono stati prodotti nelle fasi di merito e dove, quindi, la Corte potrebbe esaminarli in questa sede, per effetto della relativa già avvenuta produzione nelle fasi di merito.

Al riguardo, è stato, invero, osservato, che anche con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360, n. 3 o di un vizio costituente error in procedendo ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio n. 4 dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2; che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art 372 cod. proc. civ., comma 1 (cfr. Cass. 25.5.2007 n. 12239; Cass. 20594/2007: 20437/2008; 4056/2009).

Anche la ctu, su cui si fondano le contestazioni formulate in ordine al modus operandi dell’ausiliare, non risulta prodotta, nè richiamata e trasfusa nel ricorso nei termini sopra precisati, e ciò a prescindere dalla mancanza di ogni riferimento a rilievi tempestivamente e ritualmente avanzati in merito alla consulenza tecnica di ufficio, rispetto ai quali andrebbe valutata la stessa ammissibilità delle censure oggi avanzate.

Quanto al terzo motivo di impugnazione, rileva la Corte che non è dato rinvenire alcuna contraddizione nel ragionamento della Corte territoriale nella individuazione delle ragioni che avevano condotto la stessa ad escludere che all’agente competesse un’indennità ulteriore per l’incasso degli insoluti Deve al riguardo premettersi che il testo della norma contrattuale di cui all’art. 3, comma 3, A.E.C., richiamato dallo stesso ricorrente, prevede che "L’agente o rappresentante non facoltà di riscuotere per la ditta nè di concedere sconti o dilazioni, salvo diverso accordo scritto, qualora gli venga conferito l’incarico continuativo ha diritto a separata provvigione . L’obbligo di stabilire la provvigione di cui trattasi non sussiste per il caso in cui l’agente o rappresentante svolga la sola attività di recupero degli insoluti. In modo logico e correttamente argomentato il giudice del gravame ha rilevato come il debito non pagato alla scadenza diviene perciò stesso insoluto ed ha evidenziato, all’esito dell’analitico esame della documentazione contabile anche alla stregua di quanto accertato in sede di ctu contabile, che lo stesso compare in ogni mese successivo, riportato sempre nello stesso preciso ammontare, nel tabulato dei crediti "sospesi" e cioè scaduti e non pagati. Pertanto, poichè l’attività di incasso svolta riguardava soltanto crediti non onorati alla scadenza (clienti insolventi o morosi), correttamente ed interpretando il testo contrattuale in conformità ai criteri di ermeneutica contrattuale, la corte territoriale ha statuito che nulla poteva essere riconosciuto all’agente a titolo di incasso.

Ogni altro rilievo anche di controparte relativo alla formazione di giudicato in merito agli ulteriori compensi provvigionali risulta inconferente ed inammissibile, atteso che l’atto di transazione e quietanza del 23.9.1992 non investe la ratio decidendi se non in relazione al rigetto della riconvenzionale proposta dalla società.

Anche la censura proposta con richiamo all’art. 2041 c.c. risulta inammissibile, nella misura in cui l’agente non ha mai proposto tale domanda, nè richiama passaggi argomentativi e richieste in tal senso già prospettate nella fase del merito.

Infine, quanto alla doglianza relativa alla mancata ammissione di mezzi istruttori richiesti (in particolare escussione di clienti quali testi per confermare od escludere definitivamente quanto in contestazione tra le parti) deve rilevarsi la genericità della relativa censura che non fa riferimento alcuno ai capi di prova ed alle circostanze di fatto da demandare ai testi. E principio affermato da questo Corte quello secondo il quale il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorie o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ., comma 1 con ord., 6 sez., 30.7.2010 n. 17915)).

Inoltre, deve anche considerarsi che i provvedimenti, positivi o negativi, emessi dal giudice di merito in merito all’ammissione di prove e sulla richiesta di esibizione ex art. 210 cod. proc civ., sono censurabili in sede di legittimità se non sorretti da motivazione sufficiente; in quanto, con particolare riferimento alla denegata ammissione del mezzo di prova, il diniego si traduce in un vizio della sentenza qualora, in sede di controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – dell’esame e della valutazione compiuti dai giudice di merito, risulti che il ragionamento svolto sia incompleto, incoerente o irragionevole, sempre che il mezzo di prova richiesto e non ammesso sia diretto alla dimostrazione di punti decisivi della controversia (cfr.. da ultimo, tra le tante, Cass. 17.3.2010 n. 6439).

Alla stregua di tali osservazioni il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in applicazione della regola della soccombenza.
P.Q.M.

La Corte così provvede;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 21,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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