Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-03-2011, n. 6023 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 26 maggio 2008, la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla Fondiaria Assicurazioni s.p.a. a I.G., in data 19 settembre 1998, ritenendo insussistenti i comportamenti illeciti contestati al lavoratore venuto meno, secondo la società, ai doveri fondamentali del liquidatore, commettendo errori nella liquidazione di sinistri, in relazione alla congruità dei danni e alla dinamica dei sinistri, omettendo di svolgere la necessaria attività di istruzione e verifica dei sinistri denunciati, nè rilevando situazioni sospette con concatenazione di sinistri e coinvolgimento di persone in tempi ravvicinati, per un numero complessivo di 99 sinistri, mai segnalando nulla alla Direzione.

2. La Corte territoriale riteneva dimostrata, sulla base della valutazione dei ponderosi dati istruttori, la conoscenza, e non la mera conoscibilità, da parte degli organi di vertice della società, delle liquidazioni prive di ogni preventivo accertamento e delle anomalie nelle procedure in un’area connotata dalla pressante presenza di organizzazioni criminali, circostanza che incideva sulla validità del recesso, infirmandola, attesa la tolleranza, da parte della società, della deviazione dalle generali direttive in tema di osservanza delle procedure di accertamento dei sinistri. Il Giudice del gravame ha, inoltre, escluso il diritto della società al ristoro dei danni provocati da liquidazioni irregolari, per la medesima accertata situazione di tolleranza da parte dei vertici aziendali.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Fondiaria Assicurazioni s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’intimato ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Va preliminarmente disattesa l’eccezione sollevata dall’intimato e concernente l’inammissibilità del ricorso in esame, per aver la ricorrente omesso di descrivere, con un minimo di compiutezza, le vicende processuali e le allegazioni delle parti nei gradi di merito della controversia.

5. La norma di cui all’art. 366 c.p.c. ("Contenuto del ricorso"), al comma 1, n. 3, prevede che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti della causa. Questa Corte ha chiarito che, per soddisfare il requisito imposto dalla predetta disposizione del codice di rito, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito plurimis, Cass. n. 7825/2006).

6. Nella specie, ad avviso del Collegio, il ricorso in esame risponde ai requisiti richiesti, dedicando adeguato spazio alla narrazione delle vicende processuali sia del primo che del secondo grado di giudizio nonchè alle allegazioni delle parti.

7. Va disattesa anche l’ulteriore sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366-bis c.p.c. in relazione alla errata formulazione dei quesiti di diritto ivi indicati. Al riguardo, questa Corte ha puntualizzato che il quesito di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta affermativa o negativa discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

8. Dall’esame dei quesiti formulati in ricorso, emerge la rispondenza degli stessi al principio sopra richiamato, non apparendo per nulla inconferenti rispetto all’illustrazione dei motivi di impugnazione, nè tali da richiedere un accertamento di fatto da parte della Corte nè, infine, da poter essere considerati genericamente formulati, ma essendo invece inequivocabilmente rivolti ad ottenere la pronuncia affermativa o negativa sulla specifica questione trattata (cfr., ex multis, Cass. S. U. n. 20360/2007).

9. Passando all’esame del primo articolato motivo di ricorso, con esso la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 112 c.p.c.. La censura della sentenza impugnata per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 è illustrata con riferimento alla tempestività della contestazione dell’addebito in considerazione della complessità dei controlli da effettuare e dei fascicoli da esaminare tenuto conto delle quasi 100 procedure irregolari di liquidazione, e si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se l’immediatezza della contestazione dell’addebito, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, va intesa in un’accezione relativa, ritenendo la stessa compatibile con un intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore. La censura per violazione dell’art. 112 c.p.c. si conclude con il quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se la statuizione che non trova corrispondenza nella domanda proposta dalla parte, costituisce ultrapetizione violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..

10. La denuncia di difetto di motivazione è fondata. Come costantemente affermata da questa Corte, in tema di licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichi o meno il ritardo (ex multis Cass. 15649/2010).

11. Nella specie, il Giudice d’appello, a fronte della specifica censura in ordine alla tempestività, non ha specificamente ed adeguatamente motivato la sua valutazione in relazione al tempo in cui sono state comunicate le contestazioni mosse al liquidatore, essendosi limitato, nell’iter argomentativo, ad una generica disamina volta a riconnettere il denunciato profilo procedimentale alla generale consapevolezza, da parte degli organi direttivi centrali e periferici, delle irregolarità nell’operato del liquidatore ovvero, ed in guisa di mera ipotesi argomentativa, alla disfunzione interna all’organizzazione aziendale connotata da discrasia tra organi di vertice e struttura territoriale. Di tali assetti organizzativi il giudice del gravame ha rimarcato l’inidoneità a ripercuotersi sulla giustificazione del ritardo nella contestazione, trascurando di coniugare, e valutare, la regola dell’immediatezza con un congruo spazio temporale imposto dalla laboriosità delle indagini in rapporto alla complessità dei controlli da effettuare e dei fascicoli da esaminare, in considerazione del numero, prossimo quasi al centinaio, delle procedure irregolari di liquidazione denunciate.

12. La denunciata violazione del precetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato è, invece, inammissibile trattandosi di censura riferita a meri passaggi motivazionali della sentenza e non alla pronunzia giudiziaria. Invero, la Corte territoriale, a fronte delle ammissioni dello stesso Iannucci di aver liquidato sinistri falsi o comunque gravemente sospetti e non liquidabili, ha fatto ricadere la responsabilità di tale peculiare condotta sulla società ricorrente sia per aver impartito la direttiva di liquidare alla delinquenza, quando impossibile o sconsigliabile opporre rifiuto, importi, anche per sinistri irregolari, non superiori a L. 1.500.000, sia per non aver svolto i dovuti controlli o predisposto soluzioni ulteriori al già richiamato divieto di liquidare oltre una predeterminata cifra.

13. Accanto a questa disposizione di carattere generale, la stessa sentenza, tuttavia, richiama anche la nota del 1/12/1994 indirizzata agli ispettori liquidatori di Caserta, nella quale la società ricorrente prescriveva una serie di raccomandazioni liquidative legate "all’attuale fenomenologia delittuosa in accoglimento di alcune istanze emerse in sede associativa ANIA nella riunione tenutasi a Napoli il 13/10/94", quali "estrarre fotocopia carta di circolazione, scattare fotografie con data, effettuare pagamenti con quietanze separate, a mezzo bonifico o comunque senza diretta consegna di assegni pro manibus, estrarre fotocopia documento d’identità del percipiente o del beneficiario in caso di pagamento tramite bonifico non possa essere effettuato, favorire lo scambio d’informazioni e di documentazioni nonchè la partecipazione di liquidatori di zona ad incontri periodici per concordare iniziative operative comuni". 14. La Corte, dopo aver fatto cenno a tale iniziativa, poi sostanzialmente estromessa dall’iter argomentativo, ha ritenuto le predette raccomandazioni del tutto generiche senza, però, motivare tale affermazione, sostenendo che l’appellata avrebbe dovuto, invece, "smobilitare completamente la propria struttura liquidativa dalla difficile realtà provinciale, perciò facilmente controllabile e condizionabile, per accentrarla invece in ambiti metropolitani, più difficilmente manipolabili", così svolgendo un argomento del tutto estraneo e, comunque, irrilevante, rispetto al tema in oggetto. Ciò, tuttavia, non integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi, come detto, di meri passaggi motivazionali della sentenza.

15. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. e L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 e omessa motivazione sulla questione della sussistenza della giusta causa di licenziamento anche in relazione al rigetto dell’appello incidentale. Si insiste nel rilievo per cui non sarebbe stato provato dal liquidatore che i sinistri irregolari sarebbero stati liquidati sotto pressioni e minacce e che mai il liquidatore aveva comunicato alla Direzione di aver liquidato i sinistri senza il rispetto delle procedure e sotto minaccia. L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se la reiterata liquidazione di sinistri di comprovata falsità, o quanto meno dubbi, da parte del liquidatore di impresa assicurativa, nonchè la mancata o grossolana applicazione da parte dello stesso delle procedure liquidative disposte dal datore di lavoro, integra l’ipotesi di giusta causa ovvero di giustificato motivo soggettivo, che legittima l’applicazione nei confronti del dipendente della sanzione disciplinare del licenziamento.

16. Il denunciato errore di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata è fondato. Invero, la Fondiaria, con una prima missiva del 12 giugno 1998, aveva contestato a I. che "da un primo controllo a campione recentemente effettuato sui sinistri da lei liquidati sono emersi numerosi comportamenti e circostanze a lei riferibili di estrema gravità…Infatti, nello svolgimento delle attività di liquidazione dei sinistri ella non solo ha commesso degli errori (ad es. in relazione alla congruità dei danni riportati ed alla dinamica dei sinistri) ed in generale si è comportato con intollerabile negligenza; ma spesso ha addirittura omesso totalmente di svolgere quella necessaria attività di istruzione e di verifica dei sinistri denunciati che rientrano tra i doveri fondamentali del liquidatore (ad es. non provvedendo alla nomina del perito). Si tenga conto che ella altresì, non ha rilevato che le pratiche in oggetto evidenziano situazioni gravemente sospette, di concatenazione di sinistri e di coinvolgimento delle stesse persone, in tempi ravvicinati, in numero elevato di sinistri; nè ha mai segnalato nulla in proposito alla nostra direzione. In particolare le contestiamo n. 10 sinistri da noi controllati a campione". A seguito di un’ulteriore lettera di contestazione, il numero dei sinistri, dei quali la società assume l’irregolarità è stato elevato e quantificato in 99. Seguiva, da parte della società, l’intimazione del recesso per giusta causa, per aver pagato un numero preoccupante (circa 100) di sinistri mai avvenuti o gravemente sospetti, violando sistematicamente le procedure liquidative predisposte dalla società. 17. Orbene, la Corte territoriale si è diffusamente profusa nella descrizione del contesto socio-ambientale in cui operava I., al pari di altri colleghi liquidatori, delineando un quadro di compromissione, condizionamento e limitazione dell’agire nel rispetto della legalità, culminato, a riprova della piena consapevolezza della situazione da parte degli stessi organi dirigenziali della società, con l’affissione, nei locali dell’Ispettorato di Caserta, allo scopo di limitare esborsi non dovuti e verosimilmente richiesti dalla criminalità locale, di un cartello con il quale si autorizzavano liquidazioni entro un tetto di un milione e mezzo di lire. La Corte di merito ha considerato tale iniziativa come diretta a contenere, entro un determinato limite, la liquidazione dei sinistri sospetti ed ha altresì ritenuto indubitabile che poi, in definitiva, ogni decisione venisse rimessa ai liquidatori di zona.

Essa ha, altresì, escluso collusioni o profitti personali dei liquidatori, prendendo in considerazione anche l’esito dei procedimenti penali conclusi con provvedimento di archiviazione.

18. Tuttavia, ad avviso del Collegio, le dette considerazioni dei Giudici del gravame non hanno applicato correttamente l’art. 2119 c.c. elidendo l’autonoma rilevanza ex se della condotta del liquidatore e valorizzando, invece, esclusivamente una sorta di "tollerata acquiescenza se non precisa strategia aziendale" nella gestione delle liquidazioni affidandosi, la società, consapevolmente, alla "piena discrezionalità dell’operatore", costretto a "districarsi e a destreggiarsi tra carichi di lavoro, criminali incalliti ed oscuri personaggi senza remore alcune, ed esigenze di tutela della propria incolumità e dei familiari, nonchè pure rispetto a contrapposte esigenze datoriali, volte ad assicurare, comunque, nel tempo un apprezzabile, stabile e congruo margine di profitto tra ricavi, costi perdite, in ogni caso dovute e scontate". 19. Si legge, ancora, nella sentenza di appello, che "il fenomeno delle indebite richieste di liquidazioni in ambito casertano era generalmente esteso e ben conosciuto dalla stessa Direzione generale di Fondiaria". Osserva il collegio che la liquidazione di sinistri palesemente inesistenti (come riconosciuto anche dalla Corte e mai smentito da I.) è certamente circostanza che va a minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra il dipendente ed datore di lavoro e che, dunque, giustifica il recesso della società.

Tuttavia, la decisione dei Giudici del gravame, in nessun modo si è incentrata sulla specifica condotta del I. e sui suoi comportamenti nei riguardi della società, risolvendosi, invece, nella disamina, in termini generali, del difficile tessuto socio- economico-criminale dell’area casertana pervasivo dello svolgimento dell’attività assicurativa svolta in quell’area, con pressochè totale condanna dei comportamenti della Compagnia.

20. Sennonchè, come già affermato da questa Corte con orientamento al quale il Collegio intende dare seguito, l’imperversare della criminalità non può atteggiarsi ad esimente della condotta individuale del lavoratore, contestualmente alla riprovazione verso i comportamenti datoriali, e giustificare la reiterata liquidazione di falsi sinistri, effettuata entro una soglia suggerita dal datore di lavoro o al di sopra di quella soglia, senza che il lavoratore richieda un tempestivo intervento dei qualificati organi societari ovvero si rivolga, per la denuncia dei singoli casi, ai competenti organi di polizia giudiziaria (v. Cass. 26489/2010).

21. In conclusione, deve essere affermato il principio secondo cui costituisce illecito disciplinare il ripetuto pagamento di indennizzi da parte del liquidatore dipendente da una società di assicurazioni, con pacifica irregolarità delle relative procedure ed a causa di attività estorsiva da parte di associazioni delinquenziali, quando il liquidatore non abbia tempestivamente informato dei singoli fatti, ossia delle pressioni ricevute, il datore di lavoro, ne gli organi di polizia e quand’anche la detta attività delinquenziale costituisse fatto genericamente notorio.

22. Il difetto di motivazione e l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale comportano la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla stessa Corte d’appello che, in diversa composizione, procederà a nuova valutazione sia della contestata tempestività, sia quanto alla gravità dell’illecito, secondo i criteri testè enunciati, ed anche all’esame della domanda di risarcimento del danno, che la datrice di lavoro ha proposto in riconvenzionale e che ha formato oggetto di appello incidentale.

23. La Corte d’appello di Napoli, giudice di rinvio in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

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