Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-03-2011, n. 6241 Pensione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14 febbraio 2006, la Corte di appello di Torino confermava, così rigettando l’impugnazione dell’INPS, la decisione di primo grado, che aveva accolto la domanda di A.S., collocato anticipatamente in pensione ai sensi del D.L. 25 novembre 1995, n. 501, art. 4, convertito nella L. 5 gennaio 1996, n. 11, di riliquidazione della pensione sulla base di un’anzianità contributiva di trentacinque anni, con la condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle differenze spettanti, al suddetto titolo, dalla data del pensionamento.

La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di decadenza riproposta dall’appellante, per la mancanza del ricorso amministrativo avverso l’originaria liquidazione della pensione, richiamava la giurisprudenza di legittimità nel frattempo intervenuta sulla questione in esame, e quindi affermava l’operatività della maggiorazione contributiva prevista da quella norma non solo ai fini del conseguimento del diritto a pensione, ma anche per determinare la misura del relativo trattamento economico.

La cassazione di questa sentenza è domandata dall’INPS con ricorso, basato su due motivi, cui l’intimato ha resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.

Disposta la trattazione del ricorso in Camera di consiglio, il Procuratore Generale ha concluso come in atti.
Motivi della decisione

Con il primo motivo l’INPS denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.L. 25 novembre 1995, n. 501, art. 4, convertito nella L. 5 gennaio 1996, n. 11. In sintesi, sostiene che l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità e, con essa, dalla sentenza impugnata, non corrisponde al dato letterale della disposizione citata, la quale, relativa ai piani di prepensionamento del personale dipendente da aziende di trasporto pubblico, non contiene alcuna esplicita previsione riferibile alla misura della pensione, con ciò esprimendo chiaramente l’intento di limitare il fittizio incremento di anzianità al solo raggiungimento del requisito temporale del diritto al trattamento pensionistico, altrimenti non perfezionato. Del resto, aggiunge l’INPS, quando il legislatore ha inteso estendere benefici virtuali, come quello in esame, alla misura della prestazione (nel senso di calcolarne l’ammontare anche computando la maggiorazione fittizia) lo ha detto espressamente (si citano altre ipotesi di precedenti pensionamenti anticipati in cui ciò è avvenuto); e, nella specie, una disposizione chiaramente riferita (anche) all’ammontare della pensione si rendeva tanto più necessaria, dal momento che l’intervento legislativo del 95 intendeva rimediare alla grave crisi del settore del trasporto pubblico e al previsto programma di prepensionamento doveva darsi attuazione mediante una complessa procedura (commi 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 dell’articolo in commento) i cui meccanismi non contemplano modalità di copertura della contribuzione aggiuntiva. on il secondo motivo l’Istituto ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, come sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, convertito nella L. 14 novembre 1992, n. 438, e del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito nella L. 1 giugno 1991, n. 166. Assume l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nell’escludere la decadenza stabilita dalle norme denunciate, in quanto ad avviso dell’Istituto la disposizione dettata dal citato art. 6, deve essere riferita a tutte le azioni giudiziarie che costituiscono l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale, e quindi a tutte le domande avanzate per la tutela di quel diritto, compresa l’azione volta ad ottenere quella che il pensionato ritiene essere la corretta misura della prestazione previdenziale.

I ricorso è manifestamente infondato.

Riguardo al secondo motivo, che per ragioni di ordine logico deve essere esaminato con priorità rispetto all’altro mezzo di annullamento, si deve fare applicazione del principio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 29 maggio 2009 n. 12720. Le quali, in analoga controversia concernente la misura del trattamento di pensione liquidato ad un autoferrotranviere collocato in pensione anticipata ai sensi del D.L. 25 novembre 1995, n. 501, art. 4, convertito nella L. 5 gennaio 1996, n. 11, intervenendo sul contrasto di giurisprudenza verificatosi fra le sezioni semplici sull’applicabilità del termine di decadenza alle ulteriori rivendicazioni concernenti la stessa prestazione previdenziale già riconosciuta, hanno affermato: "La decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale".

In ordine al primo motivo, si deve osservare che la questione relativa al significato e alla portata della citata disposizione del D.L. n. 501 del 1995, art. 4, ha formato oggetto di numerosissime pronunce di questa Corte, il cui orientamento può dirsi ormai consolidato nel senso che la maggiorazione dell’anzianità contributiva da essa riconosciuta ai fini dell’accesso anticipato alla pensione da parte dei dipendenti di aziende autoferrotranviarie deve ritenersi rilevante anche ai fini della misura della pensione medesima (cfr. fra le tante, Cass. 24 novembre 2003 n. 17822, Cass. 12 marzo 2004 n. 5146, Cass. 29 marzo 2004 n. 6227, Cass. 8 maggio 2004 n. 8787, Cass. 10 agosto 2005 n. 16835, Cass. 10 agosto 2006 n. 18145, e da ultimo la richiamata decisione delle Sezioni Unite n. 12720 del 2009). A un tale risultato ermeneutico la Corte è pervenuta sulla base di un’attenta considerazione degli elementi letterali e di elementi logico-sistematici altrettanto rilevanti: in particolare, considerando che la limitazione, per il lavoratore, della facoltà di fruire dell’aumento figurativo dell’anzianità contributiva ai fini dell’accesso al pensionamento – limitazione prevista nell’ultimo periodo dell’art. 4, comma 1 ("Tale maggiorazione non potrà, in ogni caso, essere superiore al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto di lavoro e quella del conseguimento del requisito di età pensionabile previsto dalle norme sul Fondo ed in vigore al momento di presentazione della domanda") – è suscettibile di avere una effettiva funzione solo se l’aumento di anzianità contributiva rileva anche ai fini dell’ammontare del trattamento di pensione e, sotto il profilo sistematico, sottolineando come clausole limitative del genere di quella contenuta nella parte finale dell’art. 4, comma 1, cit. caratterizzino le normative di prepensionamento che prevedono il riconoscimento a tutti gli effetti degli aumenti convenzionali di anzianità, mentre provvedimenti normativi, pressochè coevi a quello in esame, con cui si è voluto solamente concedere l’accesso al pensionamento anticipato con un’anzianità contributiva superiore a quella ordinaria, (ma) senza il riconoscimento di una maggiore anzianità ai fini del computo della pensione, sono stati formulati in termini del tutto diversi (si cita, ad esempio, la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 5, che ha previsto la possibilità di collocamento in quiescenza anticipato del personale in esubero strutturale delle aziende di trasporto in gestione commissariale governativa).

Alla stregua del riferito consolidato orientamento giurisprudenziale deve essere definita la presente controversia, dovendosi rilevare che, anche ad ammettere che la norma in esame si presti ad interpretazioni diverse, gli argomenti portati dall’INPS a sostegno di una sua lettura contrastante con quella offerta dalla richiamata giurisprudenza o sono già stati scrutinati o, comunque, non pongono in evidenza, con riguardo alle ragioni che giustificano la ricostruzione della voluntas legis da essa operata, aspetti di incoerenza e di irragionevolezza di gravita tale da esonerare questo giudice di legittimità dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della sua funzione (di rilevanza costituzionale) di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, in modo che risulti garantita, attraverso quella reale parità di trattamento che si fonda sulla stabilità degli orientamenti giurisprudenziali, l’effettività del principio costituzionale di uguaglianza (vedi Cass. Sez. Unite 4 luglio 2003 n. 10615, 15 aprile 2003 n. 5994).

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento, in favore di A.S., delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 20,00 (venti) per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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