Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-01-2011) 09-02-2011, n. 4700 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Salvatore, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 12/5/2010 la Corte di Assise di Appello di Palermo confermava la sentenza 11/6/09 del Gup del Tribunale di Palermo che in esito a giudizio abbreviato condannava A.C. alla pena di anni 14 e mesi 4 di reclusione per i reati in continuazione (in (OMISSIS)) di omicidio in danno di S.C. e di porto ingiustificato di coltello.

Il corpo di S.C. (a seguito di segnalazione telefonica ricevuta intorno alle 16,30) era rinvenuto dalla Pg riverso per terra, già cadavere, sulla via prospiciente la sua abitazione con una grave ferita all’addome e nella mano destra un laccio colorato con attaccata la chiave della macchina parcheggiata poco distante.

Non ritrovata sul posto l’arma del delitto. Secondo quanto riferito dalla moglie l’uomo, che in passato aveva avuto problemi di tossicodipendenza, era da poco uscito di casa per andare a prendere un caffè.

Secondo l’autopsia la vittima era deceduta intorno alle 16,00 per un colpo di arma da punta e taglio (tipo coltello) all’emitorace sinistro in regione precordiale all’altezza del 5^ spazio intercostale. La presenza di una ferita da taglio al 2 dito della mano destra e di escoriazioni cutanee al 3 e 4 dito della stessa mano facevano ritenere probabile una colluttazione fra la vittima e l’aggressore.

Il giorno successivo, presso l’abitazione dell’odierno imputato A.C., che talune fonti anonime indicavano come autore del fatto (e che nel frattempo si era reso irreperibile), erano rinvenute nel cesto della biancheria una maglia e una canottiera che presentavano tracce di sostanza ematica. Qualche giorno dopo gli stessi familiari dell’ A. riferivano di aver saputo da alcuni frequentatori del quartiere che ad uccidere lo S. era stato il loro congiunto.

A.C. si costituiva il 16/2/04, ammettendo il fatto ma precisandone le modalità: con lo S. era insorta una lite perchè l’altro si lamentava della cattiva qualità della droga che aveva appena acquistato da lui e voleva esserne rimborsato; al suo rifiuto aveva estratto un coltello, prima minacciandolo e poi prendendo a colpirlo alle mani e al petto; nel corso della colluttazione egli era riuscito a bloccare il polso della mano che impugnava il coltello e a ritorcerglielo contro. A quel punto l’altro gli si era "buttato addosso", ma subito, forse intimorito dalle grida dei passanti, gli aveva dato una spinta e si era dato alla fuga; solo dopo, vedendosi sporco di sangue, egli aveva capito di averlo involontariamente colpito quando gli sì era violentemente buttato addosso. Impaurito, era andato a casa e dopo essersi cambiato si era reso irreperibile, fino a quando aveva deciso di costituirsi.

L’ispezione sul corpo dell’ A. riscontrava un’area cicatriziale di cm 1,5 x 0,2 nella regione mammaria sinistra, lesioni escoriate ed abrase sul dorso della mano destra, plurime escoriazioni sulla coscia destra e sulla spalla destra. Un supplemento di indagine per verificare la fondatezza della tesi difensiva segnalava la inverosimiglianza della stessa, la nettezza della lesione cutanea, la direzione e la notevole profondità del tramite (13 cm) indicando come la lama fosse penetrata nei tessuti spinta da una considerevole forza viva. Necessaria, quindi, una partecipazione attiva (volontaria) dell’ A. nello svolgersi dell’evento, anche ipotizzando una concorrente spinta dell’antagonista.

Analoghe le conclusioni dei periti nominati dal Gip in sede di incidente probatorio, che tuttavia non escludevano, sia pure su base meramente ipotetica, un’esclusiva efficacia causale di un movimento, anche involontario, dello S. verso la lama rivolta contro di lui.

Tali conclusioni (peraltro contraddette dagli elementi di prova c.d. generica, come rilevato dal giudice d’appello) inducevano ad ulteriore approfondimento istruttorio (nelle forme dell’incidente probatorio): una perizia medico legale e un esperimento giudiziale.

GH esiti erano nel senso di escludere categoricamente, nella sua interezza, e l’ipotesi della legittima difesa e la fondatezza della versione dei fatti rappresentata dall’imputato, rilevandosi come l’unica ricostruzione emergente dagli atti fosse quella che vedeva A.C. impugnare un coltello e sferrare volontariamente il fendente mortale allo S.: la morfologia della ferita (nettezza dei margini, assenza delle c.d. "codette" o incisure alle estremità) e la sua collocazione (al petto) deponevano inconfutabilmente per un colpo vibrato con estrema violenza e velocità da un aggressore posto davanti alla vittima, che poi estraeva l’arma con altrettanta rapidità facendole ripercorrere lo stesso tramite di entrata.

La versione dell’imputato, secondo i giudici di merito, era altresì esclusa dal mancato ritrovamento dell’arma del delitto (se i fatti si fossero verificati come da lui riferito, non vi sarebbe stata ragione alcuna di far sparire l’arma, sul cui manico avrebbero dovuto comparire unicamente le impronte della vittima). Totalmente assente, inoltre, qualunque segno di compressione sull’avambraccio, sul polso o sulla mano della vittima, come invece avrebbe dovuto esserci se davvero A. avesse bloccato il polso del suo presunto aggressore che impugnava l’arma, ritorcendogliela contro. Infine la mano dello S. teneva il laccio cui era attaccata la chiave della sua autovettura ed era da escludere che egli, destrorso, impugnasse il coltello con la stessa mano (peraltro essa stessa attinta da una ferita da taglio al secondo dito) con cui teneva la chiave. Nè era pensabile, vista la lesione al cuore subita, che la vittima potesse aver dato una spinta all’altro (come da quello riferito) ed essere fuggita. La stessa lesione riscontrata alla regione mammaria sinistra dell’ A., in assenza di penetrazione nella cavità toracica e soluzioni di continuo negli indumenti indossati (non trapassati da alcuna lama), era compatibile con un mezzo contundente a piccola superficie d’impatto, come appunto una chiave.

Ciò posto, la Corte di Appello riteneva superflua una rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (nuova perizia o nuovo esperimento giudiziale) richiesta dall’imputato e confermava la sentenza del Gup. Ricorreva per cassazione la difesa dell’imputato.

Con un primo motivo deduceva vizio di motivazione. Nonostante il giudice di appello avesse puntualmente elencato i dati realmente utili ai fini della ricostruzione della dinamica lesiva, non aveva tuttavia fornito adeguata motivazione della ragione per cui non aveva ritenuto plausibile la ricostruzione offerta dall’imputato, disattendendo, per contro, le doglianze espresse dalla difesa in merito alle ipotesi, rigide, considerate nell’esperimento giudiziale:

1) un colpo vibrato con estrema violenza e velocità da un aggressore posto davanti alla vittima; 2) una ferita auto-inferta dalla vittima a seguito della semplice torsione del polso da parte dell’ A..

Ciò che veniva specialmente criticato era proprio la rigidità delle due ipotesi. Nella prima si era trascurato che lo S. era più alto e robusto dell’ A., di talchè un colpo frontale di coltello tenuto come una spada avrebbe attinto all’addome e non al petto dell’antagonista e se invece il braccio dell’ A. fosse stato teso e sollevato la ferita non sarebbe stata frontale e dal basso verso l’alto ma spostata da destra a sinistra e, sia pur lievemente, dall’alto verso il basso. Nella seconda si era ignorato che nel racconto dell’ A. non si era mai fatto riferimento alla "semplice" torsione del polso dello S., ma anche alla circostanza che nel contempo lo S. si era "violentemente scagliato" contro l’ A.; di tale spinta non si faceva cenno, nè eventualmente si spiegava perchè fosse incompatibile con la morte della vittima.

Con un secondo motivo si lamentava la mancata disposizione di ulteriore perizia o di nuovo esperimento giudiziale. L’esigenza nasceva specialmente dal supplemento di consulenza voluta dal Pm ( M. – R.), che concludeva per la possibilità di un concorso dell’azione dell’ A. con quella dello S. nel senso riferito dal primo, e dall’analoga possibilità formulata dai primi periti nominati dal Gip ( N. – F.), confermata da uno di essi ( N.) in sede di incidente probatorio. Non solo tali ipotesi immotivatamente erano state ritenute superate dall’esperimento giudiziale, ma neppure degne di ulteriore verifica.

Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG concludeva per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, conformemente la difesa di parte civile e per il suo accoglimento la difesa dell’imputato.

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.

Il primo motivo deduce un’inesistente vizio di motivazione della sentenza impugnata. Nel dolersi di un immotivato rigetto della ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato e delle stesse osservazioni difensive in merito alla rigidità delle ipotesi alternative formulate in sede di esperimento giudiziale, il ricorrente trascura la circostanza che sia l’adesione alla tesi accusatoria che il corrispondente rigetto dell’ipotesi difensiva e dei correlati dubbi alla ricostruzione peritale in sede di esperimento giudiziario riposa su elementi oggettivi di prova generica di significato univoco e assoluta persuasività. Premesso infatti che le deduzioni dei consulenti M. – R., anche ipotizzando una concorrente spinta della vittima, prevedevano comunque come necessaria una partecipazione attiva e volontaria dell’ A. e che i periti N. – F., lungi dal concludere nel senso voluto dal ricorrente, sì sono limitati a non escludere, in via ipotetica, un’efficacia causale esclusiva dell’eventuale movimento involontario autolesivo della vittima, il giudice di merito ha comunque rilevato espressamente come l’ipotesi collidesse con altri inconfutabili elementi di prova c.d. generica oltre che con la logica: il mancato rinvenimento del coltello (che solo chi, persona diversa dalla vittima, vi avesse lasciato delle impronte aveva interesse ad eliminare); l’assenza di qualunque segno di compressione sull’avambraccio, sul polso o sulla mano della vittima, che invece avrebbe dovuto esserci se davvero l’ A. avesse ritorto il coltello contro lo S. torcendogli il polso; la presenza del laccio con la chiave dell’auto nella mano destra della vittima (quella che avrebbe dovuto impugnare il coltello) e la stessa ferita da taglio che compare sul secondo dito della stessa mano. A fronte del cumulo dei dati probatori a carico dell’imputato, la versione di costui, forte dell’assenza di testimoni al fatto, si rivela per quello che è, e cioè per il tentativo di ribaltare sulla vittima, sulla sola base di una ricostruzione ipotetica del fatto, priva di riscontri e contraddetta da quelli oggettivamente in atti, l’attribuzione della volontà aggressiva dell’agente e la responsabilità dell’esito mortale dell’azione.

Manifestamente infondata, per le stesse ragioni, la pretesa di ritenere una mancata assunzione di prova decisiva (ex art. 606 c.p.p., lett. d)) il corretto esercizio del potere valutativo del giudice di appello (per di più in sede di giudizio abbreviato) in ordine all’utilità di un approfondimento istruttorio.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e di una congrua sanzione pecuniaria, nonchè alla refusione delle spese di parte civile.
P.Q.M.

visto l’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle Ammende, nonchè alla refusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida nella somma complessiva di Euro 2.000 (duemila), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, a favore dell’Erario (posizione parti civili relativa ad Al.

D. e figli) e nella somma complessiva di Euro 2.000 (duemila), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, a favore delle parti civili S.D. e P.P..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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