Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 09-02-2011, n. 4746 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 16 luglio 2010 il Tribunale di Venezia, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., dichiarava la perdita di efficacia del provvedimento cautelare emesso l’1 luglio 2010, contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna, dalla Corte d’assise d’appello di Venezia nei confronti di L.A., cui veniva irrogata la pena di ventuno anni e sei mesi di reclusione, in quanto ritenuto responsabile dei delitti di omicidio volontario e di porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo condannato alla pena.

Ad avviso del Tribunale era stato violato il disposto di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, a seguito della tardiva trasmissione degli atti processuali, da cui il giudice di secondo grado aveva desunto la sussistenza delle esigenze cautelari sotto il profilo dell’art. 274 c.p.p., lett. b) e c).

2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia, il quale lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento del fatto, nonchè violazione dell’art. 295 c.p.p., così come modificato dalla L. 23 aprile 2009, n. 38.

Osserva che sia dalla sentenza di primo grado che dalle impugnazioni della parte pubblica e privata – atti tutti tempestivamente trasmessi al Tribunale del riesame – emergeva in maniera inequivocabile il pericolo di fuga dell’imputato, desumibile dalla circostanza che L. era scappato nella notte tra il (OMISSIS) (data di consumazione dell’omicidio) e, inoltre, dal fatto che, durante la latitanza, lo stesso aveva usato false generalità. In ogni caso il pericolo di fuga era in re ipsa, trattandosi di imputato straniero, condannato ad una lunga pena detentiva. Argomenta, infine, che il Tribunale non aveva considerato che, a seguito della novella introdotta dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, per il delitto di omicidio volontario la custodia cautelare in carcere è obbligatoria, salvo che siano acquisiti elementi da cui risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari, nel caso di specie non provata.
Motivi della decisione

1. Occorre preliminarmente rilevare la manifesta infondatezza della eccezione di nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p., prospettata dai difensori di L.A., in conseguenza dell’asserita omessa notifica ad entrambi del decreto di fissazione dell’udienza camerale dinanzi a questa Corte.

Risulta, infatti, che l’avv. Tebaldi ha ricevuto rituale notifica del decreto di fissazione dell’udienza camerale dinanzi alla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione il 19 novembre 2010 e che l’avv. Cazzola ha ricevuto analogo, regolare avviso il 26 novembre 2010. 2. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia è fondato.

In merito alla ritenuta violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, s’impone una duplice premessa metodologica.

2.1. Quando è dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la Corte di cassazione è "giudice anche del fatto" e per risolvere la relativa questione può – e talora deve necessariamente -accedere all’esame dei relativi atti processuali, esame che è, invece, precluso soltanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), (Sez. Un. 31 ottobre 2001, ric. Policastro).

2.2. All’esito delle modifiche apportate all’art. 309 c.p.p., dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, l’istituto del riesame dei provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dal giudice non è più finalizzato, come in passato, a costituire una garanzia dell’accesso difensivo agli atti, bensì è prevalentemente incentrato, in una logica di tipo sostanziale, sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso l’esame degli atti dai quali possano desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura prescelta.

L’obbligo di trasmissione degli atti sopravvenuti è limitato a quelli effettivamente favorevoli all’indagato, idonei a influire positivamente sulla sua posizione (Sez. Un. 11 gennaio 2001, Mennuni).

In conseguenza del controllo a più ampio raggio dell’ordinanza applicativa, si è per converso venuto attenuando il potere selettivo del pubblico ministero (Sez. Un. 5 marzo 1997, Glicora).

Tale approdo ermeneutico, polarizzato sui dati sostanziali qualificanti, la cui omessa o tardiva trasmissione al giudice del riesame produce la caducazione della misura, ha accentuato la "prova di resistenza" del provvedimento restrittivo in riferimento all’irrilevanza, ai fini della legittimità e della correttezza della decisione cautelare, di elementi non trasmessi o ininfluenti sulla decisione ovvero di elementi già noti alla difesa (conosciuti o conoscibili), in quanto nella sua disponibilità (Sez. Un 27 marzo 2002 n. 19853).

Dall’evoluzione interpretativa successiva alla novella del 1995 e dalle pronunzie delle Sezioni Unite di questa Corte in precedenza richiamate emerge una progressiva valorizzazione del ruolo del difensore che, essendo ormai a conoscenza sostanziale degli elementi posti a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura grazie agli adempimenti esecutivi previsti dall’art. 293 c.p.p., comma 3, è responsabilizzato alla produzione vicaria, sganciata dal termine perentorio di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, di materiale utile per la decisione in sede di riesame in coincidenza di specifiche prospettazioni fino all’udienza camerale e nel corso della stessa, con particolare riguardo alla sopravvenienza di elementi favorevoli al suo assistito.

Le conseguenze caducatorie dell’omessa trasmissione di atti conseguono, pertanto, non a genetiche deduzioni al riguardo, ma alla denuncia di specifiche omissioni di dati sostanziali decisivi, presi in considerazione dal giudice cautelare e sui quali deve svolgersi il controllo in sede di riesame.

2.3. Nel caso di specie, dall’esame degli atti risulta che al Tribunale del riesame sono stati tempestivamente trasmessi, nel rispetto del termine stabilito dall’art. 309 c.p.p., comma 5, i seguenti atti: a) l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Verona il 9 luglio 2002; b) l’ordinanza del Tribunale del riesame in data 30 luglio 2002 con la quale veniva annullato il provvedimento restrittivo della libertà personale; c) la sentenza pronunziata l’11 aprile 2005 dalla Corte d’assise di Verona; d) l’appello del pubblico ministero in data 7 ottobre 2005; e) l’appello della parte civile dell’1 dicembre 2005;

f) il dispositivo della sentenza d’appello, pronunciata l’1 luglio 2010 dalla Corte d’assise d’appello di Venezia; g) la richiesta di emissione di ordinanza di custodia cautelare in carcere, formulata dal Procuratore generale all’udienza dell’11 febbraio 2008; h) il nuovo provvedimento restrittivo della libertà personale, adottato all’esito della condanna in appello, e il relativo verbale di esecuzione.

Il complesso di questi atti, ritualmente a disposizione del Tribunale del riesame, conteneva gli elementi di fatto da cui il giudice d’appello, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero, ha desunto la sussistenza delle esigenze cautelari ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. b) e c).

Come esattamente rilevato dal Procuratore generale ricorrente, la decisione della Corte d’assise di Verona (cfr. f. 26 della sentenza) faceva espresso riferimento alla fuga dell’imputato nella notte tra il (OMISSIS) – lasso di tempo coincidente con la consumazione dell’omicidio – e all’utilizzo, per la prima volta, di false generalità durante la latitanza.

Dal dispositivo della sentenza di secondo grado, pronunziata all’esito del dibattimento celebratosi nel contraddittorio fra le parti, risultava che L.A., cittadino straniero, era stato condannato l’1 luglio 2010 dalla Corte d’assise d’appello di Venezia alla pena di ventuno anni e sei mesi di reclusione, in quanto ritenuto responsabile dei delitti di omicidio volontario e di porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo.

Il Tribunale competente ex art. 309 c.p.p., disponeva, quindi, del complesso degli atti, tempestivamente trasmessi, utilizzati dal giudice d’appello per l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che, nell’apprezzamento delle esigenze cautelari, aveva in particolare valorizzato la circostanza che l’imputato era un cittadino straniero, condannato ad una lunga pena da espiare per gravi delitti, il quale si era dato alla fuga subito dopo la consumazione dell’omicidio per il quale era intervenuta affermazione di penale responsabilità e, durante la latitanza, aveva utilizzato false generalità. 3. Il Tribunale del riesame ha, inoltre, omesso una compiuta disamina dell’art. 275 c.p.p.. La disposizione in esame, modificata dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, art. 16, conv. con modificazioni dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, e, successivamente, dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, art. 14, L. 26 marzo 2001, n. 128, e, infine, dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38, comprende, per effetto dei citati interventi legislativi, i commi 1 – bis e 2 – ter.

Il comma 1 – bis impone al giudice, contestualmente alla pronuncia di una sentenza di condanna, un particolare esame delle esigenze cautelari dell’art. 274 c.p.p., ex lett. b) e c), comprensivo dell’esito del procedimento, della sanzione applicata, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, al fine di stabilire se, a seguito della decisione di condanna, si renda necessaria l’adozione di una misura cautelare personale.

Il comma 2 – ter, regola, invece, l’applicazione di misure cautelari personali nei casi di condanna in appello per uno dei reati indicati dall’art. 380, comma 1, commessi da un soggetto recidivo, stabilendo l’obbligatorietà dell’adozione della misura cautelare in presenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., esaminate secondo i parametri fissati dal comma 1 bis della medesima disposizione.

Risulta, dunque, evidente la diversa portata delle due disposizioni, delle quali la prima, come è reso palese anche dal chiaro e univoco tenore letterale, impone al giudice che pronunci una sentenza di condanna una valutazione discrezionale, in base a parametri predefiniti, della sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b) e c), mentre la seconda stabilisce l’obbligo per il giudice di appello, quando l’anzidetta valutazione si risolva nell’accertamento della sussistenza delle esigenze cautelari, di adottare la misura nei casi in precedenza indicati di condanna per uno dei reati elencati nell’art. 380 c.p.p., comma 1, commessi da soggetto recidivo (Sez. 4^, 12 giugno 2002, n. 28094;

Sez. 1^, 24 aprile 2003, n. 30298).

L’interpretazione logico sistematica dei commi 1 – bis e 2 – ter dell’art. 275 c.p.p., rende evidente che, al di fuori delle ipotesi (art. 275, comma 2 – ter) in cui l’adozione della misura è obbligatoria, rimane comunque salva la facoltà del giudice d’appello di valutare discrezionalmente la necessità o meno della misura, non diversamente da quanto può fare il giudice di primo grado.

Una differente lettura delle due disposizioni porterebbe a risultati paradossali, attribuendo al giudice di primo grado un potere più ampio e incisivo rispetto a quello d’appello, pur in presenza di un accertamento di merito più approfondito in conseguenza dell’intervenuto vaglio delle censure mosse alla decisione del giudice di prime cure.

Si può, quindi, affermare che l’art. 275 c.p.p., comma 1 – bis, che impone al giudice di osservare determinati criteri ai fini della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari "contestualmente" a una sentenza di condanna, lungi da limitare l’applicabilità delle misure cautelari al momento stesso della pronuncia della sentenza di condanna, impone solo una particolare regola di giudizio in ordine all’esame delle esigenze cautelari, qualora l’imputato sia stato condannato. Pur se la previsione può apparire scontata – essendo ovvio che dopo una condanna il giudice investito di una domanda cautelare debba tener conto degli elementi che a tale pronuncia si accompagnino – appare chiaro che la sua ratio sia quella di ampliare i margini di applicabilità delle misure cautelari in termini di apprezzamento della sussistenza di esigenze cautelari e dei criteri di scelta tra esse e, nello stesso tempo, di imporre al giudice, in presenza di una richiesta del pubblico ministero, di non ritardare a un tempo successivo alla pronuncia di condanna la decisione circa l’applicazione della misura (Sez. 1^, 8 ottobre 2008, n. 43814; Cass., Sez. 6^, 19 gennaio 2005, n. 14223).

4. In base ai principi sinora illustrati s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Venezia.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Venezia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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