Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 09-02-2011, n. 4739 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Il tribunale di sorveglianza di Potenza, con ordinanza 28.4/4.5.2010, rigettava il reclamo proposto da M.A. avverso il provvedimento 14.1.2010 del magistrato di sorveglianza della stessa città, di rigetto della richiesta di un permesso premio in forza di una duplice considerazione tratta dalla analisi della situazione di fatto collegata alle regole costitutive della disposizione di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4 bis: il richiedente scontava, tra l’altro, una pena all’ergastolo per il delitto di omicidio che il giudice di sorveglianza aveva ritenuto aggravato dall’essere stato commesso con modalità ed in un contesto mafioso; non ricorrevano le condizioni – la collaborazione con la giustizia o l’impossibilità di una utile collaborazione – imposte dalla disposizione citata quali condizioni preliminari per poter procedere alla valutazione sulla meritevolezza o meno del beneficio.

Aggiungeva il tribunale di sorveglianza che nessun effetto in positivo,a fronte della situazione di fatto e di diritto poco sopra esposte, poteva concedersi al fatto che al M. fossero state concessi in precedenza dal magistrato permessi premio che non avevano dato adito a problematiche in merito alla condotta di risocializzazione del prevenuto.

2 – Ricorre avverso l’ordinanza M.A. e deduce violazione degli artt. 4 bis e 30 ter ord. pen., art. 125 c.p.p., art. 27 Cost. e art. 3 C.e.d.u., per una serie di ragioni sintetizzabili nel modo seguente:

a) insussistenza dell’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, per essere stata la stessa espressamente esclusa dal giudice del merito che ha inflitto la pena dell’ergastolo. b) violazione del ne bis in idem perchè in precedenza il magistrato di sorveglianza aveva concesso permessi premio valutando la non ricorrenza delle cause ostative invece considerate dall’ordinanza oggetto di ricorso. In proposito il ricorrente richiama il precedente di questa Corte – Sez. 1^, 16.4.2009, nr. 18566/09, D’Andrea Marco Francesco – che aveva opposto il divieto del ne bis in idem al provvedimento del tribunale di sorveglianza che aveva revocato la semi- libertà in precedenza concessa, in tesi illegittimamente, al condannato. c) violazione ancora dell’art. 4 bis cit. che condiziona la concessione del permesso premio al condannato per omicidio al fatto della mera mancanza di elementi tali da far ritenere la sussistenza di elementi di collegamento con la criminalità organizzata, situazione che fotografava la fattispecie concreta de qua. d) espiazione del quantum di pena – 21 anni- per avere già scontato il prevenuto il quantum di pena necessario per accedere e a qualsivoglia misura alternativa.

In conclusione il ricorrente chiedeva che la questione di diritto, per il contrasto della giurisprudenza menzionata nel provvedimento impugnato con la decisione citata nel ricorso – Sez. 1^, 16.4.2009 – fosse sottoposta all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte.

Con memoria aggiunta depositata il 20.12.2010 si ribadivano le ragioni in precedenza esposta, insistendo in particolare sulla violazione dell’art. 27 Cost., comma 3, a seguito della interruzione del percorso rieducativo interrotto con il provvedimento oggetto di ricorso.

3 – Il ricorso non ha fondamento.

Invero nessun contrasto come paventato dal ricorrente è dato riscontrare tra le decisioni menzionate nell’atto di impugnazione.

Invero, da un lato, è giurisprudenza costante quella che ritiene legittimo il diniego di concessione del permesso premio al condannato per reato commesso per motivi di mafia che il tribunale di sorveglianza abbia accertato attraverso l’esame del contenuto della sentenza di condanna, a nulla rilevando che nel giudizio non sia stata contestata o riconosciuta l’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Non vi è dubbio che laddove il giudice di merito abbia contestato e irrevocabilmente accertato l’esistenza della aggravante de qua, nessun ulteriore sindacato della decisione spetta al giudice della sorveglianza. La contraria opinione, sì, segnerebbe un vulnus inaccettabile all’autorità del giudicato.

Ma nella specie non si rinviene affatto una valutazione negativa del giudice della cognizione sul fatto in merito alla sussistenza dell’aggravante. Si rinviene invece una valutazione positiva e la determinazione corretta di non considerarla, l’aggravante, perchè preclusa, la considerazione, ai fini della determinazione della pena, ai sensi dell’art. 7 cit., compiutamente giustificata, la pena dell’ergastolo, per il solo fatto non circostanziato. Val la pena riportare sul punto le considerazioni del tribunale tratte dal contesto motivazionale dei giudici di primo e secondo grado che hanno accertato il fatto omicidiario: "…si è trattato di un omicidio aggravato commesso nell'(OMISSIS), con modalità mafiose, con le caratteristiche indiscutibili di una esecuzione di stampo mafioso, al fine precipuo di agevolare una organizzazione a delinquere mafiosa…e per reagire ad un omicidio di un associato da parte di un clan rivale".

Peraltro nessuna violazione del ne bis in idem, come di conseguenza nessun contrasto giurisprudenziale, è dato registrare con riferimento alla sentenza della Sez. 1^, 16.4.2009 cit.: invero l’annullamento del provvedimento di revoca della misura alternativa aveva ad oggetto il provvedimento di concessione del beneficio ormai irrevocabilmente statuito, essendo preclusa una rivisitazione dei presupposti già irrevocabilmente considerati. Laddove, invece, la revoca della semilibertà è ammessa ai sensi degli artt. 51, 51 bis e 51 ter ord. pen., per fatti e circostanze sopravvenute e ben distinte dagli originali presupposti che ne hanno condizionato la concessione. Di certo la rivisitazione dei presupposti condizionanti la prima concessione potranno essere rivalutati, ed in modo difforme, nel caso di un provvedimento che riguardi una seconda, nuova concessione del beneficio.

L’illegittimità ordinanza non può derivare,come pur sostiene il ricorrente, che richiama precedenti sentenze della Corte costituzionale, per il fatto che egli aveva già in passato usufruito di permessi- premio. E’ pur vero che la Corte cosi, con sent. n. 504/1995 e n. 306/1993, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 356 del 1992, art. 15, comma 2, nella parte in cui prevedeva che la revoca delle misure alternative alla detenzione fosse disposta per i condannati per i delitti del primo periodo del primo comma che non si trovano nella condizione per l’applicazione della L. n. 354 del 1975, art. 58 ter, anche quando non fosse stata accertata la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata. Ma tali interventi non possono applicarsi al M. perchè riguardano situazioni relativi a detenuti che,alla data dell’entrata in vigore dell’art. 15 citato, erano già stati ammessi alle misure alternative ed avevano in corso un trattamento in fase già avanzata, sicchè la revoca di tali benefici è stata ritenuta illegittima dal giudice delle leggi. Nel caso di specie il M., al momento dell’entrata in vigore della legge in questione, non aveva usufruito di benefici penitenziari, con la conseguente piena operatività del divieto di concessione dei benefici ritenuto dal tribunale in assenza di collaborazione con la giustizia.

Ne consegue che, concesso irrevocabilmente un permesso premio, che non doveva essere concesso, a parte l’operatività del principio realistico secondo cui quod factum est, infectum fieri nequit, è un fuor di luogo eccepire la formazione del giudicato in relazione ad un provvedimento diverso, distinto dal primo, per le sue diverse modalità cronologiche ed eventualmente topografiche e modali. Il giudicato, invero, si forma sul deciso, sul dispositivo del provvedimento, e non già certo sulle motivazioni,sulle ragioni poste a base del comando o della disposizione conclusiva del sillogismo giudiziario.

La risposta alle ulteriori deduzioni del ricorrente, riassunte sub lett. e) e d) del precedente paragrafo 2 e che presuppongono l’insussistenza della situazione di fatto costitutiva della circostanza aggravante di cui all’art. 7 cit., rimane assorbita dalle considerazioni che precedono. Ne consegue l’infondatezza delle ragioni che,secondo il ricorrente, dovrebbero motivare la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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