T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 03-02-2011, n. 344 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Riferisce l’amministrazione ricorrente di avere implicitamente dato il proprio assenso alla proposta del nuovo Piano Cave della Provincia di Milano, adottato con deliberazione n. 16570/2002, n. rep. gen. 40/2002, del 21.11.2002, pervenuta al Comune di Trezzo S/A ai fini del parere obbligatorio previsto da parte delle amministrazioni nel cui territorio si trovano localizzate le cave.

In particolare, spiega la difesa dell’ente locale, come tale parere implicito fosse motivato in ragione della previsione, contenuta nella suddetta proposta, di riduzione dell’ambito e dei quantitativi di argilla cavabili dall’ATE A2 posto sul proprio territorio.

Sennonché, lamenta il Comune ricorrente, inopinatamente, in sede di adozione definitiva della proposta, il Consiglio provinciale, anche in relazione alle osservazioni presentate, avrebbe modificato in modo sostanziale i contenuti e il disegno complessivo del Piano Cave, anche con riferimento al settore merceologico relativo all’estrazione dell’argilla. In sostanza, l’amministrazione provinciale avrebbe deciso, con deliberazione n.1/2004 del 15.01.2004, di sopprimere le aree di escavazione in origine previste nel Parco delle Groane e, al fine di redistribuire i relativi volumi, pari a 500.000 mc., avrebbe assegnato ulteriori 300.000 mc. all’ATE A2 ricadente nel Comune di Trezzo sull’Adda, così portando la superficie dell’attività estrattiva del predetto ente da 327.000 mc. a 459.000 mc. e il volume di piano dei materiali da estrarre da 624.000 mc. a 924.000 mc. Il tutto, a mente dell’ente ricorrente, senza alcuna motivazione in ordine ai pareri e alle osservazioni ricevute e senza minimamente interpellare, sulla modifica in questione, l’amministrazione comunale interessata.

Pur avendo segnalato la predetta illegittimità dell’agire provinciale ai competenti uffici della Giunta regionale lombarda, trasmettendo le proprie osservazioni sulla illogicità e irrazionalità della scelta provinciale e richiedendo che, in sede di approvazione, il Consiglio regionale ripristinasse le originarie volumetrie, anche tale ultimo consesso, con deliberazione C.R. VIII/166 del 16.05.2006, pubbl. sul BURL 3° S.S. del 30.06.2006, formalmente comunicata a cura della Provincia in data 20.07.2006, avrebbe approvato il Piano senza tenere conto delle osservazioni del Comune di Trezzo S/A.

Da ciò l’odierno gravame, affidato a 4 motivi di ricorso, meglio specificati nella parte in diritto, con cui si denunciano plurimi profili di illegittimità degli atti in epigrafe specificati.

Si sono costituite la Provincia di Milano e la Regione Lombardia, controdeducendo con separate memorie alle censure avversarie e sollevando, la prima, eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità del gravame.

Con ordinanza n. 228 del 27.11.2009 il Collegio ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’impresa "La Fornace Laterizi spa" in quanto interessata alla cava di argilla per cui è causa.

La parte ricorrente ha ottemperato in data 24.12.2009.

Alla pubblica udienza del 23.11.2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, il Collegio ritiene opportuno premettere alcuni cenni sulla disciplina della programmazione delle attività di coltivazione di cava, così come delineata, nella Regione Lombardia, dalla legge regionale 08.08.1998 n.14.

Trattasi, com’è noto, di disciplina che si attua attraverso piani provinciali, anche distinti per tipi di materiali estratti, proposti dalle Province e approvati dal Consiglio regionale con deliberazione amministrativa.

Detti piani stabiliscono la localizzazione, la qualità e la quantità delle risorse utilizzabili, individuate nel territorio, per tipologia di materiale.

Essi, in particolare, seguendo il procedimento scandito dagli artt. 7 e ss. della L. reg. cit., sono adottati (salvo il potere sostitutivo della Regione in caso di inerzia) dalle Province e depositati per un periodo di 60 giorni nelle rispettive segreterie provinciali, per dare modo ai soggetti a qualsiasi titolo interessati di presentare osservazioni. Indi, entro 30 giorni dall’avvenuto deposito, le stesse Province provvedono a richiedere il parere dei Comuni implicati, dei Consorzi di bonifica per il territorio di competenza e dei soggetti competenti in materia di beni ambientali (nonché, quando la proposta di piano prevede la possibilità di attività di cava in ambiti territoriali compresi nelle aree protette, di cui all’art. 1 della L.R. n. 86 del 1983 e successive modificazioni ed integrazioni, dell’ente gestore in ordine alla compatibilità della proposta con il regime di tutela dell’area protetta). I pareri de quibus, quindi, devono essere espressi entro 60 giorni dalla richiesta: decorso tale termine la Provincia può procedere indipendentemente dall’acquisizione dei pareri. Entro i successivi 60 giorni la proposta, motivata in ordine alle osservazioni ed ai pareri ricevuti, è adottata in via definitiva ed è trasmessa alla Giunta regionale con la relativa documentazione entro i successivi 30 giorni.

A questo punto, entro 120 giorni dalla ricezione della proposta di piano provinciale, la Giunta regionale la esamina apportando, ove necessario, anche sulla base dei pareri e delle osservazioni pervenute, integrazioni e modifiche.

Scaduto il predetto termine la Giunta regionale, entro i successivi 30 giorni, trasmette la proposta di piano al Consiglio regionale, che la approva entro i successivi 60 giorni.

Così tratteggiato il sistema elaborato dal legislatore regionale per la formazione del Piano Cave, emerge chiaramente l’aspirazione, salvaguardata dalla citata normativa, a coinvolgere nel procedimento in esame tutti i soggetti a vario titolo interessati, onde consentire loro di svolgere ivi le proprie osservazioni e di fornire ivi il proprio apporto in evidente funzione collaborativa.

Ne consegue che, tale partecipazione, dovendo assolvere ad una funzione sostanziale e non meramente formale, deve essere salvaguardata, non soltanto, com’è nell’ipotesi fisiologica, in sede di elaborazione della proposta di Piano da parte dell’ente provinciale (fattispecie assunta dal legislatore regionale come situazionetipo), ma, altresì, in sede di approvazione regionale del Piano stesso.

In altri termini, si deve ritenere che, qualora il Consiglio regionale, anziché apportare modifiche di dettaglio al Piano, adotti (allargando le maglie della previsione di cui all’art. 8 L.R. cit.) soluzioni sostanzialmente difformi rispetto a quelle della proposta provinciale, il Piano medesimo dovrà essere restituito alla Provincia, affinché questa recuperi l’apporto, in termini di osservazioni, da parte dei soggetti interessati, che in precedenza si erano espressi su una proposta sostanzialmente diversa da quella fatta propria dal Consiglio regionale, ripristinando, così, il rispetto del principio della partecipazione e del contraddittorio sostanziale fra le parti.

La legge, in verità, solo all’art. 7 in tema di adozione del Piano, ha espressamente disciplinato la procedura di partecipazione al procedimento da parte di tutti i soggetti interessati, mentre nulla ha detto, al riguardo, in relazione alla fase di approvazione, pur avendo previsto la possibilità di introduzione di modificazioni al piano anche da parte del Consiglio regionale.

In tale contesto, la giurisprudenza – che si è confrontata con la prassi applicativa (che ha configurato come ordinaria modalità operativa quella che era configurata dalla legge come mera eventualità) – ha elaborato un criterio interpretativo delle norme, volto a ricondurre ad unità sistematica il procedimento, assicurando in ogni fase il rispetto dell’interesse partecipativo di ognuno dei portatori d’interesse, pubblici e privati. Tale filone giurisprudenziale, in particolare (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 14.5.2009 n. 3733) è incline ad affermare che i soggetti privati hanno diritto di presentare osservazioni, ex art. 10 della L. n. 241/90, anche nella fase di disamina del piano innanzi al Consiglio regionale. Sul punto, è utile riportare alcuni passaggi della decisione n. 2743 del 6.6.2008 della VI Sezione del Consiglio di Stato, ove si è statuito che: "…la Regione, una volta constatata l’opportunità di destinare alla creazione di una cava un territorio, trascurato dalla provincia competente, che quindi non ha acquisito il parere del comune interessato, ha l’onere di coinvolgere gli enti locali nella scelta, rimettendo, a tale scopo, gli atti alla provincia perché acquisisca il parere del comune interessato e formuli le proprie osservazioni al riguardo".

Tale conclusione conferma, quindi, l’osservazione poc’anzi fatta propria dal Collegio, secondo cui l’omissione procedimentale non può avere soltanto un significato formale, pretendendone uno sostanziale. In altri termini, proprio perché il procedimento viene a configurarsi – nell’ottica del legislatore regionale e della conseguente prassi applicativa – come una serie di cerchi concentrici nell’ambito dei quali è possibile introdurre modificazioni, è necessario che, sulle stesse, sia coerentemente assicurato il contraddittorio istruttorio, al fine di non pervenire alla scelta di soluzioni non rispettose dei principi dettati dalla stessa legge regionale in tema di piani cave (cfr. quanto dispone, a proposito del "Contenuto dei piani", l’art. 6 della cit. L.R. n. 14/98).

Il principio del giusto procedimento si deve coniugare, quindi, anche con quello della adeguata istruttoria procedimentale, al fine di armonizzare i divergenti interessi coinvolti nella procedura pianificatoria estrattiva di che trattasi.

In sostanziale coerenza con i principi ora affermati si pongono, altresì, le argomentazioni svolte dal T.A.R. Lombardia, Brescia (cfr. ex plurimis, sentenza del 4.5.2009 n. 893 e, più di recente, la decisione dell’8 febbraio 2010, n. 618), il quale ha posto in luce che: "La legge in questione…disciplina il piano delle cave come piano "provinciale", ovvero demanda a detto ente la sua formazione, sentiti gli enti minori che il suo territorio compongono, ovvero i Comuni; la legge stessa quindi non va interpretata, almeno fin quando sia possibile evitarlo, nel senso di svuotare dette competenze, e in particolare di accentrare la formazione del piano al superiore livello regionale. Tale risultato, oltretutto, sarebbe contrario al principio costituzionale di sussidiarietà verticale, là dove esso impone di allocare le competenze presso gli enti locali di livello il più possibile vicino al cittadino, e quindi di evitare non necessarie ingerenze degli enti di livello superiore, in primo luogo lo Stato, ma anche la Regione". In detta sentenza si è, quindi, concluso nel senso che: "le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l. r. 14/98, là dove prevedono che alla proposta presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la Giunta regionale possa apportare "integrazioni e modifiche" da sottoporre poi al Consiglio regionale per l’approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi. In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola" (così la decisione n. 893/2009 cit.).

2. Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in esame, si possono così ricavare le seguenti considerazioni:

– quanto alle questioni preliminari:

2.1 la provincia di Milano ha eccepito la tardività dell’odierno ricorso, in quanto il Comune di Trezzo S/A avrebbe notificato il gravame avverso la deliberazione provinciale di adozione del Piano, datata 15.01.2004, solo in data 13.10.2006, pur avendone avuto conoscenza sin dal 20.05.2004, allorché avrebbe trasmesso ai competenti uffici regionali la propria nota contenente le osservazioni sulla proposta di Piano Cave.

L’eccezione non può essere condivisa.

Stando all’impostazione seguita nell’odierno ricorso, il medesimo gravame è rivolto, in primis, avverso la deliberazione del Consiglio Regionale n. VIII/166, di approvazione del Piano Cave e, alla stregua di atto presupposto, avverso la deliberazione di adozione della proposta di Piano Cave, ad opera della Provincia di Milano, assunta in data 15.01.2004, in sostanziale modifica della precedente deliberazione del 21.11.2002 dello stesso ente, vertente sullo stesso oggetto e sulla quale era stato assunto il parere del Comune ricorrente.

Sennonché, argomentando dalle suesposte premesse, si ricava che l’adozione della proposta di Piano Cave non rappresenta un atto immediatamente lesivo, idoneo come tale a pregiudicare direttamente la posizione dei destinatari, in quanto essa dà luogo soltanto ad un progetto di Piano, su cui dovranno necessariamente esprimersi gli organi regionali, che potranno anche apportarvi delle modifiche, se del caso a costo di ripetere il "passaggio" in sede provinciale in caso di innovazioni di rilievo.

Ne consegue che, non soltanto, la proposta di Piano non rappresenta un presupposto indefettibile del Piano che sarà successivamente approvato dal Consiglio regionale, ma neppure si pone come atto immediatamente lesivo dei destinatari, i quali, pertanto, non potranno ritenersi onerati dell’impugnazione immediata della deliberazione recante la proposta in questione.

Sul punto, giova altresì rammentare come, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la mancata impugnazione della delibera di adozione di uno strumento urbanistico non precluda l’impugnabilità del piano definitivamente approvato, anche per vizi propri della fase di adozione, da parte di ogni interessato (non escluso chi abbia già acquisito conoscenza del piano adottato), posto che, l’approvazione dà vita ad un atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano approvato (cfr. ex pluribus: Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3341; 3 marzo 1997, n. 181; 13 maggio 1992, n. 511; 23 settembre 1985, n. 403; Ad. Plenaria, 9 marzo 1983, n. 1; T.A.R. Emilia Romagna – Parma, 10 marzo 2005, n. 136; T.A.R. Brescia, 5 gennaio 2005, n. 3; nonché, di particolare interesse sul punto: T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 19 marzo 2009, n. 2860, secondo cui: "La mancata impugnazione del piano territoriale adottato (ma non ancora approvato) non preclude agli interessati la possibilità di proporre ricorso avverso l’atto al momento della sua approvazione, in quanto gli atti di adozione e di approvazione degli strumenti di pianificazione possono essere gravati autonomamente e indistintamente. Ai fini dell’ammissibilità del ricorso è sufficiente anche il solo interesse strumentale all’annullamento di un atto di pianificazione urbanistica in ragione dei possibili vantaggi desumibili dal rinnovo della procedura"; e, ancora, con particolare riguardo al P.R.G., T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 14 ottobre 2008, n. 1141, secondo cui: "…l’inammissibilità dell’impugnazione della deliberazione comunale di adozione del piano, in assenza di un qualsiasi atto direttamente lesivo dell’interesse del soggetto, non rende perciò inammissibile anche il successivo ricorso proposto per l’annullamento della delibera di approvazione dello strumento urbanistico, ancorché questo secondo ricorso comprenda censure attinenti ai presunti vizi della fase di adozione "; nello stesso senso, T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 19 settembre 2007, n. 2704, secondo cui: "L’approvazione del piano dà vita ad un atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano adottato, per cui configurandosi l’atto di adozione e quello di approvazione come due provvedimenti ben distinti, essi possono essere impugnati autonomamente e distintamente, senza che la mancata impugnazione del primo comporti preclusione o decadenza del diritto di ricorso contro il piano approvato o che la mancata impugnazione del secondo comporti automaticamente il venir meno dell’interesse al ricorso già eventualmente presentato contro il primo "; analogamente, T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 19 settembre 2007, n. 2704, per cui: "Nell’ambito del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, caratterizzato dalla fase di adozione e successiva fase di approvazione, le stesse si pongano su un piano di distinta autonomia, in cui l’atto di adozione può essere oggetto di immediata impugnazione qualora immediatamente lesivo nello stesso modo ed alle stesse condizioni del piano approvato").

2.2 Sulla eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica al controinteressato, il Collegio osserva quanto segue.

L’odierno ricorso risulta notificato, tra gli altri, al Consorzio del Parco delle Groane, proprio in qualità di controinteressato, trattandosi del soggetto che ha dato causa o ha concorso a dare causa (stando allo "schema d’intesa" di cui si fa cenno nell’emendamento apportato alla originaria proposta provinciale), alla redistribuzione dei volumi originariamente previsti, con ricollocazione di 300.000 mc. di argilla, dapprima previsti nel Parco delle Groane e poi riallocati nell’ATE A2, nel territorio del ricorrente comune.

Ne consegue che, dovendo essere il ricorso notificato, a pena di decadenza, ad almeno uno dei controinteressati, non sussiste il lamentato vizio del ricorso. D’altro canto, il Collegio ha ritenuto comunque opportuno disporre l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti della soc. Fornace Laterizi, incombente a cui la ricorrente ha provveduto, senza che a ciò abbia fatto seguito la costituzione della intimata società.

L’eccezione deve essere, pertanto, disattesa.

3. Passando all’esame del merito del ricorso, va riportato, in sintesi, il primo motivo, come di seguito rubricato:

3.1 Violazione degli artt. 7 della L.R. n.14/1998, 5 e 118 della Cost., 13 del d.lgs. n. 267/2000, violazione del principio del giusti procedimento, eccesso di potere per manifesta illogicità, travisamento, carenza dei presupposti e sviamento della causa tipica.

Ciò di cui, in sostanza, si duole l’ente ricorrente, è che non sia stata garantita la sua effettiva partecipazione al procedimento di pianificazione in questione, avendo la Provincia sottoposto al Comune di Trezzo S/A un Piano sostanzialmente diverso da quello poi adottato. In tal senso, spiega ancora l’ente locale, non può non essere intesa alla stregua di modifica sostanziale quella attuata dalla Provincia di Milano, poi confermata nel passaggio regionale, con la ricollocazione di ben 500.000 mc di argilla, su un totale di fabbisogno provinciale pari a 1.124.000 mc.

Il motivo è fondato.

Richiamando le considerazioni svolte nelle premesse, non v’è dubbio che le innovazioni apportate alla originaria proposta dalla Provincia non possono essere considerate di mero dettaglio, involgendo una sostanziale modifica della dislocazione delle aree di escavazione e della relativa portata, sì da intaccare l’impostazione complessiva del Piano.

Per effetto di tale modifica, pertanto, la proposta avrebbe dovuto essere nuovamente sottoposta al vaglio dei Comuni interessati, primo fra i quali l’odierno ricorrente, pena lo svuotamento dell’apporto, in funzione collaborativa e consultivoistruttoria, previsto dall’art. 7 più volte citato (cfr., a proposito della analoga situazione che si potrebbe determinare laddove una modifica, non di mero dettaglio, sia introdotta dalla Regione, la decisione del Consiglio Stato, sez. VI, del 6 giugno 2008, n. 2743, secondo cui la Regione non avrebbe il potere di introdurla autonomamente, bensì "deve rimettere gli atti alla Provincia perché questa acquisisca il parere del Comune interessato e formuli le proprie osservazioni al riguardo"; sul punto, preme poi richiamare la giurisprudenza della Sezione, fra cui T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 11 novembre 2009, n. 5015; TAR Lombardia, sez. IV, 28.5.2007 n. 4700 e le successive sentenze nn. 3733, 3734, 3735 e 3736, tutte del 14.5.2009, ove si è ritenuto che il Consiglio Regionale, chiamato all’approvazione del Piano Cave provinciale, secondo quanto stabilito dalla legge regionale n.14/1998, svolge una funzione di carattere amministrativo soggetta ai doveri di imparzialità ed obiettività propri dell’azione amministrativa, con conseguente obbligo di motivazione delle proprie scelte, soprattutto allorché l’organo consiliare decide di disattendere le conclusioni alle quali sono giunti altri enti od organi pubblici coinvolti nel complesso procedimento di approvazione del piano cave – quali l’Amministrazione provinciale interessata oppure la Giunta Regionale – oppure quando si tratta di esaminare osservazioni presentate da soggetti privati partecipanti al procedimento amministrativo).

3.2 Dall’accoglimento del primo motivo deve ricavarsi la fondatezza anche del terzo motivo di ricorso, con cui si deduce, sia, la illegittimità derivata della deliberazione del Consiglio regionale di approvazione del Piano Cave della Provincia di Milano, per i vizi di cui era affetta la proposta provinciale, sia l’illegittimità per vizi propri, per la totale omessa considerazione delle osservazioni presentate dall’ente ricorrente in ordine ai vizi di metodo e di contenuto della scelta provinciale.

Richiamando quanto già detto, va ribadito, sul punto, come la Regione avrebbe potuto, in limine, sanare il deficit partecipativo ed istruttorio perpetrato, nel caso in esame, dalla Provincia ai danni del Comune ricorrente, valutando e riscontrando le osservazioni presentate in sede regionale dal Comune stesso. Per contro, nulla di tutto ciò risulta avvenuto, non risultando affatto, dalla copiosa documentazione agli atti di causa, che la scelta regionale di approvare la proposta provinciale di redistribuzione di 500.000 mc. di argilla, originariamente previsti nel Parco delle Groane, con tutte le relative conseguenze quanto a superficie cavabile all’interno dell’ATE a2, abbia fatto i conti con le osservazioni presentate al riguardo dall’ente ricorrente.

4. Ne consegue che, assorbiti i mezzi non espressamente scrutinati, il ricorso deve essere, nei suesposti sensi, accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati e salvo il potere del Consiglio Regionale di determinarsi nuovamente in merito alle osservazioni presentate, nel rispetto dell’obbligo di motivazione e delle garanzie di partecipazione al procedimento, come esposto nella presente pronuncia.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico delle parti resistenti nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Pone le spese di lite a carico delle amministrazioni resistenti, nella misura di euro 1.500,00 ciascuna, e a favore del Comune ricorrente, per un totale di complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *