Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 09-02-2011, n. 4737 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 21 aprile 2010 il Tribunale di sorveglianza di Potenza dichiarava insussistente la collaborazione di B.M. ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 58-ter e successive modifiche e, per l’effetto, dichiarava inammissibili le istanze di affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare ordinaria e speciale.

Il Tribunale osservava che B. è stato condannato per i delitti concorsuali di detenzione illegale e porto di armi comuni da sparo, aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, e che, rientrando tale reato nella previsione normativa di cui all’art. 4- bis ord. pen., comma 1, prima fascia, le domande presentate diventeranno ammissibili solo a completa espiazione del quantum di pena inflitta per il suddetto delitto ostativo o in presenza di elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della condotta collaborativa (art. 58 ter ord. pen.; Corte Cost. sent. n. 306 del 1993, n. 357 del 1994, n. 68 del 1995). Nel caso in esame le informazioni fornite dalla competente Autorità giudiziaria di Napoli e la sentenza irrevocabile di condanna evidenziavano un rilevante ruolo criminale di B. che, prestandosi a fungere da custode delle armi dello zio ( C.A.), esponente di spicco dell’associazione camorristica dei Casalesi e, in particolare del sottogruppo territoriale competente per la zona di Grazzanise, favoriva l’operatività del gruppo. In questo contesto, contraddistinto da un ruolo non secondario di B., non era stata accertata alcuna forma di resipiscenza o nè di collaborazione del predetto che, atteso l’importante compito fiduciario svolto, avrebbe potuto fornire un importante contributo nel rivelare elementi a sua conoscenza in ordine alle dinamiche e all’operatività del sodalizio da lui agevolato.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, B., il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta violazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento al diniego dei benefici invocati, tenuto conto della natura del reato per il quale è stata pronunziata sentenza di condanna, della mancanza di precedenti per delitti associativi, dell’assenza di elementi obiettivi su cui fondare l’affermazione della contiguità di B. al clan capeggiato dallo zio, della mancata acquisizione di elementi obiettivi in ordine a collegamenti con la criminalità organizzata, del completo smantellamento del clan di Grazzanise, nonchè del contenuto positivo della relazione comportamentale redatta dagli organismi della Casa Circondariale di Melfi e dell’intervenuta volontaria costituzione di B..
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Occorre premettere che, secondo una lettura costituzionalmente orientata (Corte Cost, sent. 27 luglio 1994, n. 357; 1 marzo 1995 n. 68) e alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte in materia (Sez. Un. 30 giugno 1999, ric. Ronga, rv. 214356), i benefici penitenziali ben possono essere concessi anche con riferimento ai delitti ostativi previsti dall’art. 4 bis ord. pen., qualora il condannato non abbia prestato collaborazione per l’impossibilità determinata dal non avere egli potuto acquisire, per il ruolo marginale svolto, conoscenze utili riversabili nell’investigazione ovvero per l’avvenuto totale accertamento dei fatti oggetto dei reati alla commissione dei quali seguì la condanna (c.d. ipotesi della collaborazione "irrilevante" o "impossibile").

E’, inoltre, conforme alla ratto del divieto di concessione dei benefici previsti dall’art. 4 bis ord. pen. un’interpretazione secondo la quale il presupposto dell’utile collaborazione non può intendersi limitato ai delitti ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, ma è esteso agli altri reati cumulati per i quali il soggetto risulti in esecuzione di pena (Sez. Un. 30 giugno 1999, ric. Ronga, rv. 214356; Sez. 1, 26 giugno 1997, ric. Battisti, rv. 207969;

Sez. 1, 12 novembre 1996, rv. 205998).

2. Tanto premesso, il giudice censurato ha fatto corretta applicazione delle regole sopra enunciate, laddove ha evidenziato, con riferimento all’insussistenza dei pressuposti della "collaborazione inesegibile", il ruolo rivestito dall’istante, anche in virtù dei legami di parentela con un esponente di spicco del clan di Grazzanise, nella consumazione dei delitti in materia di armi, funzionali ad agevolare l’operatività del clan di stampo camorristico.

L’ordinanza impugnata è altresì esente da censure nella parte in cui, a proposito della dedotta "collaborazione impossibile", ha sottolineato l’omesso integrale accertamento dei fatti, inquadrabili in un contesto di criminalità organizzata, come del resto desumibile dalla ritenuta sussistenza, da parte del giudice della cognizione, dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, e la mancata integrale identificazione dei soggetti operanti all’interno dello stesso.

A fronte di tale giudizio di merito, il ricorrente propone una non consentita ricostruzione alternativa delle circostanze di fatto acquisite, non consentita in sede di legittimità, laddove, come nel caso in esame, la motivazione sia sorretta da un corretto iter argomentativo.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *