Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-02-2011, n. 804 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 3915 del 2010, L.P., M.S., G.P., I.A.P., P.G.P. e A.P. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sezione seconda, n. 2459 del 28 dicembre 2009 con la quale è stato deciso, in parte accogliendo, in parte respingendo ed in parte dichiarando inammissibile, il ricorso proposto contro il CACIP Consorzio industriale provinciale di Cagliari, già CASIC Consorzio area sviluppo industriale di Cagliari: 1) per l’accertamento della radicale nullità ed inesistenza, per carenza assoluta di potere, di tutti gli atti del procedimento espropriativo promosso dal C.A.S.I.C. per la realizzazione dei lavori di infrastrutturazione, lottizzazione e localizzazione industriale dell’agglomerato industriale di Elmas, di cui ai Decreti di espropriazione pronunciati dal Presidente della Giunta Regionale con i nn° 5/160 del 19 dicembre 1995 e 5/126 del 6 ottobre 1997, con i quali è stata espropriata in favore del C.A.S.I.C. ed a danno dei ricorrenti l’area fabbricabile sita in Elmas distinta in catasto al Foglio 12, mappale 228/b, della superficie di mq. 390, tratta dall’originario mappale 228 della superficie di mq. 3.200; ovvero, in mero subordine, 2) per l’annullamento dei predetti atti in quanto illegittimi; 3) e per la condanna del C.A.S.I.C. e, per quanto occorra, della Soc. A. S.n.c. a restituire ai ricorrenti, previa rimessa in pristino e libera da persone e cose, l’intera area di loro proprietà di mq. 3.200 distinta in catasto del Comune di Elmas con l’originario mappale 228 del Foglio 12; 4) ovvero, subordinatamente, per la condanna del C.A.S.I.C., qualora non si ritenesse giuridicamente possibile la restituzione, a pagare ai ricorrenti l’integrale risarcimento per equivalente dell’immobile di cui si tratta, in misura pari al suo pieno valore di mercato alla data dell’emananda sentenza che dovesse accertare l’impossibilità giuridica del ripristino in forma specifica del diritto di proprietà violato; 5) ed in ogni caso per la condanna, in sede di giurisdizione esclusiva, del C.A.S.I.C. a risarcire integralmente ai ricorrenti i danni loro arrecati con l’occupazione temporanea senza titolo della stessa area, dalla data della presa di possesso, e precisamente dal 23 giugno 1983 per quanto concerne la superficie di mq. 3.032, e per la superficie restante dalla data in cui risulterà avvenuta la relativa presa di possesso, e fino alla data del ripristino, o in forma specifica, o mediante risarcimento per equivalente, del diritto di proprietà violato; 6) ed infine per l’accertamento della radicale inefficacia ed inopponibilità ai ricorrenti sia della vendita effettuata dal C.A.S.I.C. in favore della Soc. A. di parte dell’area di cui trattasi con atto a rogito Notaio Felice Contu in data 7 giugno 1994, registrato a Cagliari il 24 giugno 1994 al n° 4207 e trascritto a Cagliari il 4 luglio 1994 alla Casella 13905 art. 9193, perché travolta dall’annullamento giurisdizionale, con efficacia ex tunc, del Decreto di espropriazione da cui traeva il proprio titolo la parte alienante, sia dell’ipoteca per la somma di Lire 4.600.000.000 (quattromiliardiseicentomilioni di lire) consentita dalla Soc. A. in favore della Soc. B.C. S.p.A. su parte stessa area con atto a rogito Notaio Vittorio Giua Marassi in data 27 novembre 1995, registrato a Cagliari il 29 novembre 1995 al n° 6047 ed iscritto a Cagliari il 29 novembre 1995 alla Cas. 28438 Art. 4137, trattandosi di ipoteca concessa da chi, per effetto del già avvenuto annullamento giurisdizionale del Decreto di espropriazione del 1986, non era proprietario e non aveva alcun diritto sull’area di cui si tratta.

La sentenza del T.A.R. Sardegna veniva peraltro gravata, con opposte argomentazioni, dal CACIP Consorzio industriale provinciale di Cagliari, già CASIC Consorzio area sviluppo industriale di Cagliari, con ricorso iscritto al n. 3915 del 2010.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, gli originari ricorrenti avevano premesso di essere comproprietari pro indiviso – la signora L.P. per la quota ideale della metà, ed i Signori M.S., G.P., I.A.P., A.P., P.G.P. ed A.P., quali eredi del Sig. S.P. deceduto in data 26 gennaio 1995, per la quota dell’altra metà – dell’area fabbricabile in Comune di Elmas della superficie di mq. 3.200 distinta in catasto al Foglio 12 con l’originario mappale 288, successivamente frazionata.

Sull’area insistevano un capannone della superficie di circa 150 mq., realizzato nel 1958 ed ancora in buono stato, salvo che per la copertura ormai in rovina, ed una casa di abitazione di circa 90 mq. realizzata all’inizio degli anni "60 ed ancora abitabile.

Con il ricorso n° 1016/86, la Signora L.P. ed il Sig. S.P. (quest’ultimo dante causa degli attuali ricorrenti Sigg. S. e P.) avevano impugnato il Decreto del Presidente della Giunta Regionale n° 5/18 del 17.3.1986, col quale era stata disposta in favore del C.A.S.I.C., per l’esecuzione dei lavori di infrastrutturazione e lottizzazione dell’agglomerato secondario di Elmas, la definitiva espropriazione del mappale 228/a di mq. 2.810, e tutti gli atti del relativo procedimento espropriativo.

Con sentenza n° 1043/94 del 30 giugno 1994 – notificata alla Regione il 16 luglio 1994 ed al C.A.S.I.C. il 30 agosto 1994, e quindi passata in giudicato, in mancanza di appello, alla data del 15 novembre 1994 – il T.A.R. aveva accolto il ricorso annullando l’intero procedimento espropriativo, per non essere stato condotto nei confronti dei ricorrenti, intestatari catastali, assorbendo le altre censure.

I ricorrenti osservano comunque che lo stesso procedimento, quand’anche non fosse stato interamente annullato, dovrebbe comunque ritenersi radicalmente nullo per carenza assoluta di potere, secondo i recenti insegnamenti delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, difettando del tutto qualsivoglia atto iniziale contenente la fissazione dei quattro termini di cui all’art. 13 della Legge n° 2359 del 1865.

Negli anni successivi il C.A.S.I.C. non ha dato alcuna esecuzione alla sentenza, ma soltanto, tra la fine del 1997 ed i primi mesi del 1998 ha fatto notificare (sembra, peraltro, soltanto ad alcuni dei ricorrenti) il Decreto del Presidente della Giunta Regionale n° 5/126 del 6 ottobre 1997, col quale, integrando il precedente decreto n° 5/160 del 19.12.1995, si pronuncia l’espropriazione in favore dello stesso C.A.S.I.C. del mappale 228/b della superficie di mq. 390.

La notifica, peraltro, è avvenuta senza alcuna indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere e senza, naturalmente, che del procedimento espropriativo fosse stato mai dato alcun preventivo avviso ai proprietari ai sensi dell’art. 7 della Legge n° 241 del 1990 e dell’art. 12 della L.R. 31 agosto 1990 n° 40.

Da ultimo, si affermava ancora in ricorso, si è avuta casualmente notizia che nel frattempo parte dell’area di cui si tratta è stata venduta dal C.A.S.I.C. alla Soc. A. con l’atto pubblico a rogito Notaio Felice Contu in data 7 giugno 1994 e che successivamente la Soc. A., con l’atto pubblico a rogito Notaio Vittorio Giua Marassi in data 27 novembre 1995, ha concesso ipoteca alla Soc. B.C. S.p.A. per l’importo di Lire 4.600.000.000.

A sostegno del ricorso gli interessati facevano valere i seguenti motivi:

1) nullità ed inesistenza, per assoluta carenza di potere, di tutti gli atti del procedimento espropriativo culminato con i Decreti di espropriazione n° 5/160 del 19.12.1995 e n° 5/126 del 6.10.1997, aventi ad oggetto la parte di area distinta in catasto col mappale 228/b del Foglio 12, della superficie di mq. 390, stante la mancata fissazione dei termini di cui all’art. 13 della Legge n° 2359 del 1865;

2) in via meramente subordinata, per l’ipotesi in cui il Tribunale ritenesse che la mancata indicazione originaria dei termini espropriativi non determina radicale nullità per carenza di potere, ma semplice invalidità, i ricorrenti chiedono comunque l’annullamento, in sede di giurisdizione di legittimità, di tutti gli atti del procedimento espropriativo culminato con i Decreti di espropriazione n° 5/160 del 19.12.1995 e n° 5/126 del 6.10.1997, aventi ad oggetto la parte di area distinta in catasto col mappale 228/b del Foglio 12, della superficie di mq. 390;

3) inefficacia e inopponibilità ai ricorrenti dell’atto pubblico di vendita in data 7 giugno 1994, a rogito Notaio Contu, perché il titolo della parte alienante è stato travolto ex tunc dall’annullamento giurisdizionale, e dell’atto pubblico in data 27 novembre 1995, a rogito Notaio Giua Marassi con cui è stata accesa l’ipoteca (atto addirittura successivo al passaggio in giudicato della sentenza di codesto T.A.R. n° 1043/94), trattandosi di ipoteca concessa da chi non aveva alcun titolo a disporre dell’immobile.

Costituitosi il CACIP Consorzio industriale provinciale di Cagliari, già CASIC Consorzio area sviluppo industriale di Cagliari, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva parzialmente fondate le doglianze, con un’articolata motivazione in cui accoglieva le richiesta di annullamento degli atti, con le statuizioni consequenziali in tema di risarcimento e di restituzione del bene, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione in merito alla richiesta declaratoria di inefficacia del successivo atto traslativo di proprietà.

Contestando le statuizioni del primo giudice, entrambe le parti appellanti evidenziano l’erroneità della sentenza, i primi perché non esaustiva delle loro richieste, la seconda perché errata nella ricostruzione in fatto ed in diritto.

Nei due giudizi di appello si costituivano rispettivamente, nel ricorso n. 3915 del 2010, il Consorzio industriale provinciale di Cagliari, già CASIC Consorzio area sviluppo industriale di Cagliari, e nel ricorso n. 4005 del 2010, gli originari ricorrenti, con l’eccezione di Agostino P., deceduto in data 20 agosto 2003, come affermato in atti, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2010, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
Motivi della decisione

1. – In via preliminare, va disposta la riunione dei due appelli, in quanto proposti contro la stessa sentenza.

2. – Gli appelli non sono fondati e vanno respinti per i motivi di seguito precisati.

3. – Iniziando la disamina dalle ragioni proposte nel ricorso n. 3915 del 2010, evidenziata la palese inammissibilità del primo motivo che contiene un’istanza di correzione degli errori materiali contenute nella sentenza di primo grado e che va proposto con l’apposito rimedio giurisdizionale, rilevato che ai punti 2 e 3 dell’appello non sono contenute ragioni di doglianza, deve essere esaminato il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’erroneità del ritenuto difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di accertamento dell’inefficacia e dell’inopponibilità dell’atto pubblico notarile di trasferimento della proprietà dell’immobile oggetto di espropriazione dal CASIC alla società A.. A parere della difesa appellante, poiché il trasferimento della proprietà è una delle possibili finalità dell’espropriazione, questo deve essere considerato comportamento riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio del pubblico potere, e quindi ricompreso nell’ambito attribuito alla cognizione del giudice amministrativo.

4. – La doglianza non ha pregio.

Occorre rilevare che il procedimento espropriativo, nel quale vengono esercitati i poteri autoritativi spettanti alla pubblica amministrazione, si conclude al momento dell’acquisizione in capo al soggetto pubblico dell’utilità prima appartenente al privato. L’attività rientrante nell’ambito delle attribuzioni pubblicistiche è quindi quella che termina, nel caso in specie, con il decreto di esproprio. Da quel momento in poi, il regime giuridico del bene ablato cessa di essere regolato dal diritto amministrativo per finire invece nell’ambito del diritto comune e quindi nel regime ordinario della proprietà.

Pertanto, anche a volere accedere all’ampia nozione di riconducibilità al pubblico potere propugnata dalla difesa appellante, questa non può essere impiegata per travalicare i limiti ontologici dei procedimenti ablatori. Ne deriva che, completata la fase procedimentale autoritativa, a nulla rileva l’ulteriore destinazione impressa al bene, atteso che questo è, nelle more, transitato nella disponibilità, secondo le regole del codice civile, del soggetto avvantaggiato dall’espropriazione.

Deve quindi ritenersi corretta la valutazione operata dal giudice di prime cure che ha dichiarato, in relazione alla domanda di dichiarazione di inefficacia e di inopponibilità dell’atto di compravendita, il proprio difetto di giurisdizione.

5. – Con il successivo motivo, rubricato al numero 5, con il quale si censura la sentenza nella parte in cui ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto dagli appellanti P., S. e P., questo deve essere ritenuto inammissibile.

Infatti, la doglianza viene sollevata non in relazione agli esiti del ricorso, atteso che lo stesso ha esteso a tutti i ricorrenti gli effetti positivi dell’annullamento degli atti del procedimento espropriativo, ma in relazione al rilievo che tale dichiarazione ha avuto sulla regolazione delle spese di lite. Tuttavia, il giudice di primo grado ha disposto la compensazione non in rapporto alla presenza o all’assenza degli originari ricorrenti, ma in relazione alla soccombenza reciproca. Da questo punto di vista, la dichiarazione di irricevibilità è del tutto inconferente e, in relazione alla trattazione in appello, gli originari ricorrenti non conseguirebbero alcun vantaggio dall’accoglimento della loro doglianza.

La doglianza va quindi dichiarata inammissibile.

6. – È inammissibile anche il sesto motivo di ricorso, dove ci si duole del lapsus calami con cui il giudice ha individuato la fattispecie in discorso come occupazione acquisitiva e non come occupazione usurpativa. Non essendovi alcun vantaggio per gli appellanti dall’accoglimento di tale censura, la doglianza non può essere considerata.

7. – I motivi di ricorso di cui ai punti 7, 8, 9, 10 e 11 considerano congiuntamente e sotto diversi profili le disposizioni emanate dal T.A.R. in merito alle modalità alternative di restituzione del bene ovvero di sua acquisizione, mediante il procedimento di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001. Avverso tali statuizioni, i ricorrenti censurano il meccanismo individuato dal giudice di prime cure per regolare i rapporti tra le parti conseguenti all’annullamento degli atti del procedimento espropriativo.

7.1. – Le doglianze non possono essere accolte.

Occorre innanzi tutto evidenziare come correttamente il giudice di prime cure abbia disposto, aderendo all’ordine delle domande proposte dalle parti ricorrenti in primo grado, come esito principale della pronuncia la restituzione delle aree e poi, in subordine, una serie di adempimenti collegati all’eventuale utilizzo da parte dell’amministrazione del procedimento ablatorio di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001.

Tuttavia, tale seconda opportunità deve ritenersi venuta meno, stante la pronuncia di illegittimità costituzionale della citata norma, come conseguente alla pronuncia della Corte costituzionale del giorno 8 ottobre 2010, n. 293.

Ne deriva che la conseguenza immediata della pronuncia, applicabile alle fattispecie non esaurite e quindi anche alla vicenda in corso, è che l’amministrazione non potrà dare seguito alla parte della sentenza che stabilisce le modalità di applicazione della norma espunta dall’ordinamento. Rimane invece del tutto integra la statuizione principale della sentenza, che dispone la restituzione del bene in conseguenza dell’annullamento degli atti del procedimento espropriativo.

Pertanto, la sentenza deve essere unicamente letta in relazione al fatto sopravvenuto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del testo unico sulle espropriazioni, ma non necessita di emenda, in quanto le censure si soffermano su una statuizione secondaria ed eventuale non applicabile in sede esecutiva.

Conclusivamente, nessuna delle ragioni fin qui sostenute ha fondamento e quindi l’appello proposto da L.P., M.S., G.P., I.A.P., P.G.P. e A.P. deve essere respinto.

8. – Venendo ora alle ragioni sostenute dal CACIP nel ricorso n. 4005 del 2010, viene in rilievo il primo motivo di diritto, con il quale l’appellante consorzio si duole del rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle domande risarcitorie conseguenti all’annullamento degli atti del procedimento amministrativo di espropriazione.

8.1. – La doglianza non ha pregio.

Va, infatti, ricordato che, a seguito di un lungo travaglio giurisprudenziale, l’attuale assetto del riparto di attribuzioni tra le due magistrature è nel senso di ritenere che, anche nel caso di procedimento espropriativo non soggetto alle norme del D.P.R. n. 327/2001, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo un’azione con la quale i proprietari di un’area hanno chiesto la restituzione del fondo, o in subordine il risarcimento dei danni, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità. Rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell’indennità di occupazione legittima, in applicazione, ratione temporis, dell’art. 34 d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), l. n. 205/2000, senza che l’eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno può giustificare l’attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione (da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 9 febbraio 2010, n. 2788).

Pertanto, in disparte ogni considerazione sulla circostanza di quanto in concreto sia stata accolta la domanda, deve ritenersi che in ogni caso la giurisdizione sia stata correttamente radicata dinanzi al giudice amministrativo.

9. – Con il secondo motivo di ricorso, viene censurata la decisione nella parte in cui ha ritenuto tempestivo il ricorso proposto da S. M., P. I.A. e P. A., in quanto la notifica nei loro confronti era stata effettuata in maniera non regolare. Afferma la difesa appellante che la regolarità sarebbe invece desumibile dalla circostanza che le buste delle lettere contenevano esattamente i recapiti completi dei destinatari.

9.1. – La doglianza va respinta.

Come evidenziato dal giudice di primo grado, stante la mancata notifica a mani degli originari ricorrenti S. M., P. I.A. e P. A., la comunicazione degli atti andava effettuata ai sensi dell’articolo 140 del c.p.c., disciplina per cui la notifica si considerata a buon fine quando si ha la spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento al destinatario e con l’attestazione nella relata della data di spedizione e degli estremi d’identificazione della raccomandata, indipendentemente dalla consegna del piego al destinatario.

Tuttavia, nel caso in esame, le ricevute delle raccomandate, come pure le attestazioni dell’ufficiale giudiziario, non contengono gli indirizzi dei destinatari (assenza della via e numero civico) ma soltanto la città di destinazione.

Per altro verso, appare condivisibile la posizione garantista assunta dal T.A.R. della Sardegna in relazione alle conseguenze che la conoscenza dell’effettiva situazione proprietaria del bene determina in capo all’ente espropriante che è comunque tenuto, in via di fatto, a garantire il corretto esercizio dei diritti di partecipazione al procedimento amministrativo. D’altra parte, non è contestato che il Consorzio fosse perfettamente a conoscenza della proprietà dei soggetti prima indicati sul mappale 228/b della superficie di 390 mq, tant’è che ha cercato di notificare loro il decreto di espropriazione.

Ne deriva l’irritualità delle notifiche stesse e, conseguentemente, la ricevibilità del ricorso proposto.

10. – Con il terzo motivo di ricorso, viene dedotta l’erroneità dell’estensione del giudicato favorevole oltre i limiti di cui all’art. 2909 c.c. anche a quei ricorrenti la cui partecipazione al processo è stata dichiarata irricevibile. Tal estensione non sarebbe neppure concepibile in relazione alla natura degli atti espropriativi, atteso che gli stessi sono non collettivi ma plurimi.

10.1. – La doglianza è infondata.

Gli originari ricorrenti risultano essere comproprietari pro indiviso del bene in esame, per cui l’accertamento dell’illegittimità dell’espropriazione rifluisce necessariamente sul diritto fatto valere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa appellante, non è di natura parziaria. Si tratta, infatti, dell’esercizio di una posizione giuridica legittimante di carattere non scindibile, per cui l’eventuale pronuncia di annullamento afferente gli atti presupposti si riflette sull’atto conclusivo del procedimento ablatorio, ed esplica ugualmente i propri effetti su tutti i soggetti titolari di un diritto di comproprietà sullo stesso bene (in questo senso, ma in relazione alla minore posizione relativa all’opposizione alla stima del bene, si veda da ultimo, Cassazione civile, sez. I 03 maggio 2005, n. 9172, espressiva di un principio pacifico).

In quanto poi alla natura di atto plurimo, si tratta di questione qui non conferente, atteso che l’atto è tale se unisce in unico contesto soggetti diversi titolari di posizioni omogenee ed accomunabili, mentre in questo caso si ha un unico momento espropriativo relativo ad un unico bene. La circostanza che il bene sia di proprietà di soggetti diversi non è quindi elemento necessario e non è idoneo a qualificare l’atto de qua come atto plurimo.

11. – Con il quarto motivo di ricorso viene censurata la mancata considerazione dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato, in quanto l’illecito commesso risalirebbe ad oltre cinque anni prima.

11.1. – La doglianza non ha pregio.

Facendo correttamente applicazione della giurisprudenza consolidata in tema di fatti illeciti della pubblica amministrazione in tema di espropriazione, il T.A.R. ha evidenziato come l’occupazione di un’area di un privato, in assenza di un valido decreto di esproprio, non determina l’acquisto a titolo originario della proprietà da parte della pubblica amministrazione, ancorché la stessa abbia utilizzato l’area per la realizzazione di un’opera pubblica, con la conseguenza che fin quando non è emanato il provvedimento formale di acquisizione, non inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno sofferto dall’originario proprietario dell’area.

Si tratta di principio del tutto pacifico, dal quale non emergono ragioni per discostarsi. La censura va così respinta.

12. – Con il quinto motivo di doglianza si lamenta la mancata considerazione della legittimità degli atti gravati, sebbene non contenenti i termini di inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni, in quanto tali indicazioni sarebbero evincibili dalle norme vigenti, ed in particolare dall’art. 53 della legge n. 218 del 1978.

12.1. – La censura non può essere condivisa.

L’applicabilità della procedura eccezionale di cui all’art. 53 della legge n. 218 del 1978, con conseguente esonero dalle indicazioni dei termini di inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni, è condizionata al rispetto dello specifico procedimento disciplinato in quella sede. Infatti, nella speciale procedura invocata, alla mancata indicazione dei detti termini supplisce la circostanza che questi sono evincibili nell’atto di approvazione del piano per gli insediamenti produttivi, che ha l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere in esso prevista e ne fissa la durata in dieci anni (che costituisce anche il termine entro cui le previsioni del piano stesso devono essere attuate (cosi C.d.S., sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2939).

Tuttavia, come evidenziato in fatto, l’intero procedimento a cui fa riferimento la difesa appellante era stato già annullato dal giudice amministrativo, facendo così venir meno i suoi presupposti giuridici. Ne deriva che coerentemente con la funzione garantistica affidata all’indicazione dei termini d’inizio e di compimento dei lavori e delle espropriazioni a norma dall’art. 13 L. 25 giugno 1865 n. 2359, il T.A.R. ha ritenuto applicabile la normativa generale, considerando illegittimi gli atti impugnati proprio perché carenti di tali indicazioni. Ed infatti sarebbe del tutto illogico e lesivo delle garanzie procedimentali che l’ente pubblico potesse di fatto eludere il rispetto di tali principi, non essendo rinvenibili le dette prescrizioni né nell’atto a monte, in quanto non più vigente nell’ordinamento, né nell’atto a valle, carente in fatto di tali indicazioni.

La censura non può quindi essere accolta.

13. – Il sesto motivo di doglianza, relativo alla questione della valenza dell’atto di trasferimento della proprietà tra CASIC e A. esula dalla giurisdizione di questo giudice amministrativo, come sopra già illustrato.

14. – Con il settimo motivo, viene gravata la sentenza in relazione all’accoglimento della domanda di restituzione del bene, sotto diversi profili.

In relazione alla sconfessata circostanza che il difensore del Consorzio non si sarebbe opposto a tale restituzione, va rilevato l’inammissibilità della censura, atteso che, come evidenziato dalla stessa difesa, il patrocinante non aveva alcun titolo a disporre del diritto né il T.A.R. ha fondato la sua decisione su tale elemento.

In relazione alla circostanza che non può ordinarsi la restituzione del bene alla società A., alla quale è stato successivamente ceduto, deve ritenersi che si tratta di un aspetto ulteriore e successivo all’ambito cognitivo del giudice amministrativo, il cui apprezzamento deve essere lasciato alla magistratura civile e sul quale non ci si può soffermare, nemmeno in relazione ad un presunto consolidamento della proprietà tramite l’usucapione. In questa sede, va confermata la correttezza della pronuncia del T.A.R. che dispone la restituzione del bene in capo al soggetto espropriante, dando così vita ad un titolo giuridicamente azionabile in un’eventuale domanda di rivendica.

In relazione alla mancata previsione della prevalenza del procedimento ex art. 43 del testo unico sulle espropriazioni rispetto all’ordine di restituzione, non si può che fare rinvio a quanto precedentemente chiarito in tema di conseguenze dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale norma.

15. – Con l’ottavo motivo di appello, viene poi gravata la sentenza in relazione alla mancata quantificazione del risarcimento del danno dovuto dal Consorzio.

15.1. – Anche tale doglianza appare infondata.

In disparte ogni considerazione sulla possibilità di emettere sentenze di condanna in forma generica, va evidenziato come la quantificazione del danno sia comunque possibile in sede esecutiva, come peraltro indicato espressamente dalla stessa sentenza gravata.

Conclusivamente, anche l’appello iscritto al n. 4005 del 2010 deve essere respinto.

16. – La soccombenza reciproca delle parti consente di compensare integralmente le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito ai ricorsi in epigrafe, così provvede:

1. Dispone la riunione dei ricorsi n. 3915 del 2010 e n. 4005 del 2010;

2. Respinge gli appelli n. 3915 del 2010 e n. 4005 del 2010;

3. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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