Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 18.3.85 B.A., P. e F. citarono al giudizio del Tribunale di Bologna P.M., chiedendo l’esecuzione di forma specifica ex art. 2932 c.c., domanda poi mutata in corso di causa in quella di risoluzione per inadempimento, di un contratto preliminare di compravendita, ad oggetto di un complesso immobiliare sito (OMISSIS), oltre alla condanna del convenuto al risarcimento dei danni, segnatamente per la protratta detenzione del bene.
Si costituiva e resisteva il convenuto, spiegando domanda riconvenzionale per la restituzione dell’acconto e per il rimborso delle migliorie apportate all’immobile.
Con sentenza non definitiva del 12.5.98,non appellata, l’adito tribunale dichiarò risolto il contratto, disponendo, per la definizione delle reciproche pretese creditizie, il prosieguo del giudizio, all’esito del quale,espletate consulenze tecniche e prova testimoniale, con sentenza del 7.12.01 condannò degli attori alla restituzione dell’acconto di L. 87.000.000, oltre agli interessi, e dichiarò interamente compensati, ritenendoli equivalenti, i reciproci rimanenti crediti, così come le spese di giudizio.
Ma all’esito dell’appello dei C., cui aveva resistito il P., la Corte di Milano, in riforma di quella impugnata, con sentenza del 2.7.04 – 30.3.05, condannava: a) i C. alla restituzione dell’acconto di Euro 44.415,15, oltre interessi, nonchè al pagamento, a titolo di indennità ex art. 1150 c.c., della somma di Euro 26.680,00; b) il P. al risarcimento dei danni, in misura di Euro 49.972,00, ed al pagamento della soma di Euro 116.956,00 ai sensi dell’art. 1148 c.c., con i rispettivi interessi;
c) confermava nel resto la decisione di primo grado e condannava l’appellato alle spese del secondo.
La corte territoriale, premesso, tra l’altro e per quanto interessa ai fini del presente ricorso, che nella determinazione dell’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile dal P., possessore in buona fede,doveva prescindersi "dalle valutazioni attribuibili a fenomeni di rivalutazione monetaria e di lievitazione dei prezzi sul mercato immobiliare" e che il tribunale, anzichè utilizzare i precisi dati al riguardo forniti dal c.t.u., aveva fatto riferimento, in maniera sommaria, alla sola differenza di valore del complesso immobiliare tra la data della consegna e quella della restituzione, riteneva invece di doversi al riguardo attenere alla stima analitica esposta dall’ausiliare, relativamente all’apprezzamento commerciale del bene, per l’ipotesi di alienazione, specificamente e direttamente derivante dall’esecuzione dei lavori fatti eseguire dal promissario acquirente, senza tener conto degli incrementi dovuti ai diversi e già citati fattori economico – finanziari di natura esterna.
Contro la suddetta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Hanno resistito i C. con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso vengono dedotte "violazione o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c. – Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia".
Si censura la concreta determinazione dell’indennità liquidata dalla corte di merito per i miglioramenti apportati all’immobile, che sarebbero stati sottostimati, mentre, per converso, sarebbe stata attribuita un’eccessiva incidenza, ai fini dell’accertato aumento di valore (da L. 150 a L. 730 milioni) del bene nel periodo (1984-1996) intercorso tra l’epoca della consegna e quella della stima,ai fenomeni di rivalutazione monetaria e di lievitazione dei prezzi sul mercato immobiliare, finendo con l’attribuire agli stessi un incremento addirittura del 500%. In contrario si obietta che nel periodo in considerazione gli indici di svalutazione monetaria, desumibili dalla rilevazioni dell’ISTAT, sarebbero stati soltanto del 15% circa e che, pur ammettendo che gli immobili avessero registrato, sul relativo mercato, un incremento di valore maggiore, questo sarebbe stato al massimo del 30%; sicchè ben aveva deciso il primo giudice che, nel compensare le reciproche poste di credito, aveva considerato come l’accertato aumento di valore del bene fosse dovuto in massima parte agli "ingenti e ben mirati lavori di rifacimento e ristrutturazione effettuati.." dal deducente".
Le doglianze non meritano accoglimento, risolvendosi in palesi censure di merito non evidenzianti alcun malgoverno delle regole contenute nell’art. 1150 c.c., che nella specie sono state correttamente applicate, considerando – con statuizione che sul punto non ha formato oggetto d’impugnazione – il P. "possessore di buona fede", come tale avente diritto ad un’indennità corrispondente alla misura dell’aumento di valore conseguente ai miglioramenti apportati all’immobile. Dette censure attaccano, sul piano meramente fattuale, la determinazione in concreto di tale indennità, che peraltro è stata effettuata secondo criteri di massima sulla cui necessità di adozione, come si da atto nella sentenza impugnata, lo stesso odierno ricorrente aveva convenuto. A tal riguardo, dunque, in un contesto nel quale non era controverso che, ai fini della determinazione dell’indennità di cui all’art. 1150 citato, comma 3, dovesse tenersi conto soltanto di quella parte di incremento di valore direttamente attribuibile agli apportati miglioramenti e prescindersi da quella conseguente ai fenomeni di inflazione monetaria ed aumento del livello dei prezzi sul mercato immobiliare, il rinvio da parte del giudice di appello all’elaborato peritale, che aveva analiticamente esposto le ragioni del calcolo, operato secondo i criteri sopra indicati, soddisfa all’obbligo della motivazione, nella specie assolto per relationem al recepito parere dell’ausiliare.
Tale rinvio avrebbe potuto integrare difetto di motivazione soltanto nell’ipotesi, nella specie non ricorrente, in cui alcuna delle parti avesse espresso, in sede di merito, specifiche ed argomentate censure la relazione del c.t.u.; ma tanto non risulta dalla sentenza impugnatale si precisa nel ricorso. Pertanto le critiche a posteriori, basate su valutazioni personali e opinabili dati, peraltro in palese contrasto con il ben notorio andamento dei prezzi del mercato immobiliare (la cui lievitazione nel periodo in considerazione ha di gran lunga sopravanzato, con carattere di generalità su tutto il territorio nazionale, la parallela discesa del potere di acquisto della moneta) ed il connesso generico richiamo all’approssimativa e "salomonica" compensazione dei reciproci crediti operata dal primo giudice, si risolvono in palesi censure in fatto, che, in quanto prive del carattere di specificità e dirette ad accreditare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, vanno considerate inammissibili.
Il ricorso va conclusivamente respinto, con conseguente condanna del soccombente alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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