Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 09-02-2011, n. 4696 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- P.A.N. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli che, tra le altre, confermava la condanna inflittale in primo grado, con sentenza della corte di assise della stessa città in data 25.2.2008, per i delitti di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina di giovani donne indotte all’attività di prostituzione e perciò stesso sfruttate – art. 416 c.p., commi 1, 2, e 3 -, di induzione e sfruttamento della prostituzione in concorso – artt. 81 cpv. e 110 c.p. e L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4, n. 1 -, di favoreggiamento al fine introdurre in Italia giovani donne in violazione della legge sull’immigrazione di stranieri, sempre al fine di sfruttarne la prostituzione – artt. 81 cpv. e 110 c.p. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 3bis e 3 ter e succes. modif. -, modificando la prima statuizione con sentenza della corte di assise di Napoli in data 25.2.2008, in seguito al giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate delle già riconosciute attenuanti generiche, per via della riduzione della pena che quantificava in cinque anni di reclusione e seimila Euro di multa.

In breve i fatti come emergenti dalle sentenze di primo e secondo grado quanto agli aspetti trattati dai motivi di ricorso: la condotta dell’imputata viene inquadrata quale elemento di collegamento di organizzate e articolate attività associative proprie di soggetti operanti in Romania e funzionali a reclutare giovani donne da trasferire in Italia per indurle alla prostituzione di cui sfruttavano i proventi, nonchè di soggetti, operanti in Italia, ed impegnati a trasferire le ragazze da una città all’altra, – Napoli, Ravenna, Bari -, a sistemarle in case di appuntamento, a istruirle sul comportamento da tenere con i clienti, sulla destinazione delle somme ricavate dalla attività di prostituzione divise tra il promotore della associazione e reclutante le ragazze romene – tale C. – e le persone che offrivano ospitalità e proteggevano le giovani prostitute in Italia.

Il ruolo della P. nel contesto dell’organizzazione i giudici di merito lo hanno tratto dalle dichiarazioni di M. C.I., già moglie del C., e di tre ragazze rumene, tali B.G., T.C. e M. D., sorprese a prostituirsi in due appartamenti allocati al secondo ed al terzo piano di un immobile sito in (OMISSIS). Nella occasione erano stati tratti in arresto la gestrice delle due case, la cittadina domenicana L.J.Y. M., condannata con altra sentenza del tribunale di Napoli, passata in giudicato, per il delitto di sfruttamento della prostituzione, ed altri due uomini, anch’essi domenicani, tali Mo.Ra. e Mi.Me.Ca., condannati alle pene di legge, per i delitti di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e di induzione,agevolazione e sfruttamento della prostituzione, con la sentenza oggi oggetto del ricorso della sola P..

-2- I giudici di secondo grado, dopo aver rigettato una serie di eccezioni sul rito, che saranno ripetute in sede di ricorso e opportunamente trattate nella parte relativa alla descrizione dei motivi di impugnazione, hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da M.C.I., da B.G., da Ma.

D., e da T.C. almeno nelle parti di seguito esposte:

a) la prima, M.C.I., ha dichiarato di conoscere da vecchia data la P., che gestiva a (OMISSIS) una casa di appuntamenti all’interno di un lussuoso albergo della città, e che coadiuvava in Romania il C. a selezionare le ragazze da inviare in Italia. Con riferimento alla attività svolta in Italia, una volta che l’imputata si era trasferita a Milano, i giudici di merito, attenti alle sue parziali ritrattazioni nel dibattimento di primo grado, dimostrano di non fare molto affidamento, se non per la circostanza che, una volta arrestato nel 2001 il C., due ragazze, che si prostituivano a Padova, si recavano, insieme al fratello del predetto, a Milano, in casa della P.. b) I giudici di merito valorizzano, ai fini del loro convincimento, le circostanze riferite da B.G., anche se la stessa ha patteggiato la pena per il delitto di sfruttamento della prostituzione nei confronti delle due ragazze, la Ma. e la T., con lei sorprese a prostituirsi nell’appartamento di via (OMISSIS). La B. ha riferito che, malgrado l’arresto del C., la sua organizzazione, di cui ella conosceva i meccanismi, continuò ad operare ed anzi incrementò il giro degli affari. Entrata in Italia nel 2003, convinta dal Co., questi l’avrebbe accompagnata al pullman in partenza per l’Italia, era stata contattata dalla P. che l’aveva prelevata all’arrivo e portata nella sua casa dove le avrebbe riferito l’attività, fin da quel momento ignorata, che l’attendeva:

prostituirsi. Sempre la P. le aveva dato tutte le istruzioni in merito, per poi accompagnarla alla stazione da dove era partita, con un biglietto acquistato dalla predettala per Bari ed ivi prostituirsi, consegnando il denaro ricavato metà alla proprietaria dell’appartamento ed inviando l’altra metà al C. in Romania a mezzo della Wester Union. Dopo quindici giorni, nel luglio del 2003 in seguito alle istruzioni per telefono del C., si era trasferita a Napoli, dove continuò a lavorare, pur con maggiore libertà e con le stesse modalità delle precedenti, tra le quali l’inserzione di annunci sul giornale il (OMISSIS) per invitare i clienti, indicando il numero del telefonino che veniva consegnato dalla tenutaria della casa, la consegna del denaro, per metà alla gestrice della casa, per l’altra al C. si era spostata poi a Ravenna, non sa dire se per disposizione di quest’ultimo o della P. a cui comunque versava il denaro ricavato dalla attività ma sapeva che quest’ultima, per conto del sodalizio, continuava a reperire personalmente le abitazioni dove poter sistemare le ragazze.

L’ulteriore racconto della B., rientrata in Romania per pochi giorni per poi ritornare a Napoli insieme ad un’altra ragazza, Ma.Da., ed i rapporti con i due imputati, M. R. e Mi.Me.Ca., non interessa l’attuale processo, perchè l’imputata non interviene più nelle vicende della B..

Il racconto della B. è ritenuto credibile dai giudici di merito perchè riscontrato dal fatto che la P. ha ammesso l’incontro a Milano con la B., e riscontrato ancora dalle dichiarazioni rese dalla M., dal fatto che le istruzioni dell’imputata alla B. ripetevano le stesse cadenze impositive che venivano date alle altre ragazze, tra le quali Ma.Da. e T.C., dal fatto che era stato acquisito il dato della possibilità per il C., anche se residente in Romania, di spostare le ragazze nei vari luoghi dove riusciva a trovare la disponibilità di case di appuntamento.

-3- La ricorrente propone personalmente ben cinque motivi di ricorso, i primi quattro costitutivi di eccezioni sul rito promosse e rigettate in sede di appello, i seguenti:

a) violazione dell’art. 581 c.p.p. in relazione all’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) per essere stata dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità, promossa in sede di udienza preliminare e reiterata nei vari gradi di giudizio, correlata alla notifica al difensore dell’imputata dell’avviso di fissazione della udienza preliminare del 18.5.2007, senza l’acclusa richiesta di rinvio a giudizio. L’eccezione era stata sollevata nel corso degli atti introduttivi del giudizio " preliminare", ripetuta ex art. 491 c.p. in limine litis ed ancora in sede di impugnazione della sentenza di primo grado e secondo grado e dell’ordinanza che l’aveva rigettata.

Collegata ad un tale motivo è l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 419 c.p.p., comma 2, in relazione all’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., nonchè in relazione all’art. 6 della CEDU, se e nella parte in cui non dispone che la richiesta di rinvio a giudizio non venga notificata, insieme all’avviso dell’udienza preliminare,al difensore dell’imputato.

Sul punto la reiezione della eccezione in sentenza veniva motivata con il mero rilievo che le ragioni poste a suo sostegno erano generiche e non specifiche. b) violazione dell’art. 417 c.p.p., comma 1, lett. b) perchè il tempo ed il luogo dei commessi reati non erano indicati nel capo di imputazione e comunque, se lo erano, lo erano in modo da prestarsi ad equivoci di interpretazione.

La sentenza sul punto riteneva che e dal contesto dell’imputazione e dal fatto che tempi e luoghi erano indicati in calce all’ultima imputazione, sub capo d), ma con chiaro riferimento a tutte le imputazioni precedenti si ricavava senza equivoci di sorta la determinatezza della imputazione in V relazione agli aspetti come sopra denunciati. c) Violazione dell’art. 16 c.p.p., comma 3 per essersi dovuta i individuare la competenza territoriale con riferimento al reato di cui al capo b) dell’originaria imputazione – la riduzione in schiavitù ex art. 600 c.p. per il quale l’imputata era stata assolta in prime cure – e quindi per doveri radicare la competenza a Milano, dove si era realizzata l’attività di agevolazione all’ingresso in Italia delle ragazze, e comunque sempre a Milano dove si era svolta la programmazione, l’ideazione e la direzione della attività criminosa facente capo al sodalizio, e non invece, come ritenuto in sentenza, in Napoli, dove si sarebbe realizzata l’operatività della struttura associativa. d) Violazione dell’art. 521 in relazione all’art. 522 c.p.p. per essere stata contestata in sede di rinvio a giudizio una fattispecie diversa – l’associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù delle ragazze che esercitavano il meretricio ex art. 416 comma 6 c.p.- da quella poi ritenuta in sentenza ex art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3, che erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto, non diversa, ma solo caratterizzata da un disvalore giuridico sociale meno grave rispetto a quella ipotizzata in sede di prima contestazione. e) Violazione, infine, dell’art. 192 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione sugli indizi di colpevolezza come risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo.

In particolare la ricorrente ravvisa illogicità nel ritenere attendibili le dichiarazioni di M.C., moglie, successivamente separata, di C.I., la quale in dibattimento ha dichiarato di non avere più notizie del marito dal momento del suo arresto avvenuto nel 2002, e della B.G. – peraltro condannata con sentenza irrevocabile in seguito al patteggiamento della pena per il reato di sfruttamento della prostituzione ai danni di Ma.Mi. e T.C. – in base alla individuazione di riscontri esterni, dopo che i giudici hanno ritenuto l’inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni.

Ancora la ricorrente segnala il travisamento della prova in merito al fatto che la M. non ha mai dichiarato di gestire in Romania una casa di appuntamento in un lussuoso albergo della città di (OMISSIS).

Il motivo di ricorso poi si sofferma a sottolineare le aporie e le dichiarazioni a singhiozzo della B. circa i contatti avuti con la P., a rimarcare che le altre due ragazze sorprese a prostituirsi in Napoli alcun contatto hanno avuto con l’imputata, concludendo che erronea, e basata sul nulla, sarebbe l’affermazione in sentenza secondo cui "la P. costituiva una vera e propria testa di ponte per le ragazze che arrivavano in Italia".

-5- Il ricorso, e per tutti i cinque motivi di ricorso, è infondato.

Certo deve convenirsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che l’eccezione di nullità è stata dall’interessata ammissibilmente sollevata e ripetuta nel giudizio di primo grado per essere stata impugnata la correlata, contraria risposta giudiziale attraverso il riferimento congiunto sia alla ordinanza 19.6.2007 reiettiva sia alla sentenza. Ma il vero è che quell’eccezione è del tutto infondata alla stregua della lettera e della ratio dell’art. 419, commi 1 e 2, alla cui stregua l’avviso dell’udienza preliminare al difensore, contrariamente che all’imputato, non va notificato con la richiesta di rinvio a giudizio. Del resto alcuna menomazione del diritto di difesa tecnica può con ragionevolezza configurarsi, dal momento che l’avviso al difensore, contrariamente questa volta all’avviso all’imputato, si accompagna all’avvertimento della facoltà di prendere visione, tra l’altro, degli atti, nei quali in via precipua è contenuta per l’appunto la richiesta di rinvio a giudizio. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sul punto sollevata con il primo motivo di ricorso.

Parimenti senza successo si eccepisce l’omessa indicazione del luogo e del tempo dei commessi reati, perchè sia la prima che la seconda modalità sono indicate, riassuntivamente, e con certezza, in calce all’ultimo capo di imputazione, con riferimento ai luoghi ed al periodo in cui ed entro il quale si collocano i singoli reati in contestazione. Parimenti non coglie nel segno l’eccezione di incompetenza territoriale, nella misura in cui il criterio adottato deve avere riferimento sì, nel caso di connessione dei reati, al giudice competente per il reato più grave: e nella specie il reato più grave, anche se in ordine ad esso l’imputata è stata assolta in primo grado, deve ritenersi il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù di persone, – al fine di sfruttarne la prostituzione – ex art. 600 c.p., consumato indubbiamente a Napoli dove le donne, esportate dalla Romania spesso con false promesse di lavoro, si prostituivano e, secondo l’originaria contestazione, erano ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. Ed ancora nessuna violazione, pur sostenuta dalla difesa della ricorrente, del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza può ravvisarsi nel caso in cui l’imputazione riguardi una associazione finalizzata a ridurre le persone in stato di soggezione continuativa ex art. 416 c.p., ult. pv. e la sentenza, invece, ravvisi una responsabilità per un delitto associativo finalizzato allo sfruttamento della prostituzione: a tacer d’ altro, nel caso di specie, la riduzione in schiavitù era finalizzata, intesi, alla costrizione a prestazioni sessuali a pagamento, sicchè la contestazione più grave conteneva nella descrizione delle condotte già il riferimento al reato di sfruttamento.

Con l’ultimo motivo di ricorso si svolge il tentativo di indurre questa Corte all’esame del merito della motivazione in ordine agli elementi probatori ed alle regole di inferenza considerate dai giudici della corte di assise di appello di Napoli. Il motivo di ricorso, infatti, si impegna ad isolare l’una dalle altre le deposizioni di M.C., di B.G., di Ma.

M. di T.C., sottolineandone le contraddizioni e le omissioni. Ma un tale modo di procedere non è consentito in sede di legittimità allorchè il giudice del merito ha sì valutato le contraddizioni e le eventuali omissioni e,malgrado questo, con logici riferimenti ed accostamenti, ed usando regole inferenziali del tutto logiche, ha ritenuto che le attendibilità sia pur parziali di quelle dichiarazioni, collegate a dati oggettivi emersi nel processo, hanno delineato un complessivo quadro probatorio sufficiente per il suo giudizio di colpevolezza. Così le dichiarazioni di M.C. I., già moglie del C., sono state valorizzate nella parte in cui riferivano di una attività organizzata per lo sfruttamento della prostituzione del C., coadiuvato dalla P., che gestiva ragazze che si prostituivano in un albergo della città di (OMISSIS) e che successivamente, sempre per conto del C. cominciò a selezionare le ragazze da mandare in Italia,dove in seguito ebbe a trasferirsi. Circostanze tutte queste riscontrate in forza delle dichiarazioni della B. che viene accolta in Italia dalla imputata che l’avvia ad una casa di appuntamento a Bari e poco dopo a Napoli, dove si prostituisce via via con altre ragazze, tutte in contatto con l’organizzazione facente capo al C.. Le istruzioni sul modo di comportarsi, la divisione del danaro ricavato dalla prostituzione e quant’altro erano state impartite dall’imputata. Ed è oltremo significativo il fatto che i due uomini, Mo.Ra. e Mi.Me., che esercitavano, abitandovi, una attività di controllo nella casa di appuntamento di (OMISSIS), collegati peraltro a C., sono stati imputati nel processo de quo e condannati per gli stessi reati ascritti alla P..

Se questo costituisce il nocciolo duro dell’apparato argomentativo dei giudici di merito, questa Corte deve ribadire il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova, di talchè la verifica di conformità delle rappresentazioni dell’elemento probatorio nella motivazione e, rispettivamente, nel relativo atto del processo, va condotta per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e avalutativa, del "significante", ma non anche, come pretende il motivo di ricorso in esame, del "significato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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