Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-03-2011, n. 6188 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Su ricorso, corredato dal parere dell’ordine professionale, degli ingegneri P.G. ed C.E. e dell’architetto S.M., il Presidente del Tribunale di Enna emise il decreto ingiuntivo n. 41/94 nei confronti del Comune di quella città, per il pagamento di residue spettanze professionali ammontanti a L. 115.625.578, oltre interessi, pari al 40% del compenso agli istanti spettante, in forza di disciplinare prevedente la progettazione di un piano urbanistico di zona particolareggiato e di recupero.

Il comune si oppose, tra l’altro deducendo che l’effettivo e complessivo ammontare delle spettanze era quello immutabile di L. 80.000.000 previsto nel disciplinare ed in via riconvenzionale chiese la condanna di tre professionisti al risarcimento dei danni, per avere completato l’incarico in violazione delle condizioni di cui alla convenzione.

Costituitisi gli opposti, resistevano all’opposizione ed alla riconvenzionale, segnatamente deducendo che la determinazione convenzionale del compenso era solo approssimativa e presuntiva, facendo il disciplinare riferimento alle tariffe professionali. Con sentenza n. 638/00 l’adito tribunale rigettò l’opposizione e la domanda riconvenzionale. Proposto appello dall’ente soccombente, resistito dagli appellati, la Corte di Caltanissetta, riformava la decisione, revocando il decreto ingiuntivo e determinando le complessive spettanze ancora dovute ai tre professionisti nel 40% dell’importo di Euro 41.316, 15 (pari alle originarie L. 80.000.000), confermando il rigetto della domanda riconvenzionale e compensando le spese del doppio grado, sulla base delle seguenti essenziali ragioni:

a) omnicomprensività del compenso di L. 80.000.000, testualmente prevista dall’art. 9 della convenzione, con evidenti finalità di contenimento e preventiva determinazione senza riserve della spesse valore meramente indicativo, a fini giustificativi della suddetta determinazione, del richiamo alla tariffe professionali;

b) insussistenza della nullità, ai sensi dell’art. 1418 in relazione all’art. 2233 c.c., del suddetto patto, in quanto liberamente convenuto tra le parti e per insussistenza di un interesse generale imponente l’inderogabilità dei minimi tariffari;

c) insussistenza dell’inadempimento ascritto ai tre professionisti, non avendo il Comune indirizzato alcuna sollecitazione ai medesimi, essendosi reso conto che il ritardo nella prestazione era dovuto alla mancanza delle mappe catastali di zona, tanto da adottare, dopo aver integrato la documentazione, una nuova delibera integrativa del disciplinare. La suesposta sentenza è stata impugnata dai tre professionisti con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Ha resistito il Comune di Enna con controricorso, contenente ricorso incidentale deducente due motivi.
Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riunitici sensi dell’art. 335 c.p.c., i reciproci ricorsi. Con il primo motivo di quello principale vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1370 c.c., con connesse carenze e contraddittorietà della motivazione, censurandosi l’interpretazione del disciplinare fornita dalla corte territoriale. In particolare, i giudici nisseni si sarebbero fermati al ritenuto tenore letterale della convenzione, senza indagare l’effettiva volontà comune delle parti e, comunque, non applicando i sussidiari canoni ermeneutica. Detta volontà, peraltro, anche dal testo della pattuizione, contenente un chiaro richiamo alle tariffe professionali ed ai parametri ministeriali ed evidenziante la natura meramente presuntiva del calcolo, avrebbe dovuto essere ricostruita, non diversamente da quanto avvenuto in altri analoghi giudizi tra le medesime parti, applicando anche i criteri dell’interpretazione complessiva delle clausole, della buona fede, della maggiore aderenza alla natura ed all’oggetto del contratto e, comunque, nel dubbio, nel senso meno favorevole alla parte che aveva predisposto lo stesso, secondo la tesi sostenuta dai professionisti.

Il motivo non merita accoglimento, risolvendosi in una palese proposta di diversa lettura delle risultanze istruttorie ai fini dell’ermeneusi contrattuale, operazione che è riservata al giudice di merito e che può essere censurata soltanto se la violazione dei canoni interpretativi dettati dall’art. 1362 c.c. e segg. risulti palese o inficiata, sul piano logico, da evidenti errori o lacune.

Non essendo ammesso, in sede di legittimità, alcun raffronto comparativo tra l’interpretazione fornita dal giudice di merito e quella proposto dal ricorrente, dovendosi questa Corte limitare al vaglio della tenuta logico – giuridica, in sè considerata, della soluzione adottata in quella sede, le censure devono essere tutte disattese.

Premesso che, come è stato più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, l’elemento letterale costituisce, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 1, pur sempre il dato di partenza e comunque il principale criterio ai fini dell’accertamento dell’intenzione delle parti, allorquando la chiarezza ed univocità delle espressioni adoperate consentano di accertarne con immediatezza la comune volontà, con la conseguenza che resta superata la necessità di ricorrere agli altri canoni ermeneutici, contenuti negli articoli successivi a quello citato e di natura sussidiaria, deve ritenersi che nel caso di specie i giudici di appello abbiano correttamente applicato la suddetta fondamentale regola, evidenziando come, in un contesto negoziale nel quale una delle parti era un ente pubblico, vincolato ai preventivi stanziamenti di bilancio, la tassativa riportata clausola conclusiva, secondo cui "le competenze tecniche sopra citate sono omnicomprensive e vengono considerate remunerative a tutti gli effetti", non desse adito a dubbi di sorta sulla convenuta immodificabilità (significativamente coniugando al presente il verbo: "sono" e non "saranno") delle previste spettanze.

Nè tale criterio poteva ritenersi incompatibile con l’aver, in precedenza le parti citato le tariffe professionali e qualificato "presunte" le determinate spettanze, citazione e qualificazione che rispondevano soltanto all’esigenza di precisare come l’impegno di spesa fosse stato quantificato (anche in questo caso coniugando il verbo al presente indicativo: "ammontano") le tariffe suddette a quello che, secondo una stima a priori, tuttavia, non suscettibile di successive modifiche in virtù delle riportata precisazione finale, sarebbe stato il presumibile impegno richiesto ai tre professionisti per l’espletamento dell’incarico.

Le ragioni appena esposte comportano la reiezione anche del secondo motivo, nel quale si lamenta che, in violazione dell’art. 115 c.p.c. e, comunque, con omessa o contraddittoria motivazione, la corte di merito non abbia rivalutato il compenso in questione, tenuto conto che le prestazioni, previste nel 1984, erano state espletate nel 1989: è evidente come l’accertata, tassativa, immodificabilità del compenso comportasse l’implicita reiezione anche di questa pretesa, sicchè nessuna omissione o contraddittorietà di motivazione può ascriversi ai giudici di appello. Anche il terzo motivo, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1419 e 2233, della L. n. 340 del 1976, con connessi vizi della motivazione, per non essere stata rilevata la nullità della deroga alle tariffe professionali, va respinto.

Al riguardo la doglianza, oltre alla discutibilità della premessa (dacchè le parti, citando le tariffe professionali e dichiarando di aver al riguardo determinato il compenso in base alla preventivata, ancorchè immodificabile, consistenza dell’incarico, non hanno derogato alle stesse), resta superata, nelle sue conclusioni, dalla giurisprudenza di questa Corte (v., in particolare e tra le più recenti, Cass. nn. 21235/09, 18223/09, conf. n. 1223/03), dalla quale il collegio non ravvisa motivi per doversi discostare, secondo cui il compenso va determinato in base alla tariffa professionale e adeguato all’importanza dell’opera soltanto nei casi in cui non sia stato liberamente pattuito tra le parti (in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale di determinazione del compenso conferendo priorità alla convenzione, e, solo in mancanza di quest’ultima, prevedendo il ricorso, nell’ordine, alla tariffe, agli usi ed infine alla determinazione del giudice), mentre la violazione dei precetti normativi sull’inderogabilità dei minimi tariffari (come nel caso degli ingegneri ed architetti ex L. n. 340 del 1976) non importa nullità per violazione di una norma imperativa, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, trattandosi di precetti riferibili non ad esigenze di carattere generale, bensì a meri interessi di categoria professionale.

Fondato è invece il quarto motivo, con il quale si lamenta che, in violazione della L. 2 marzo 1949, n. 149, e con omessa motivazione, i giudici di appello, riconoscendo i soli interessi legali sulla somma attribuita agli attori e, peraltro, senza stabilirne la decorrenza, non abbiano fatto riferimento al tasso ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, previsto dalla citata norma, con la decorrenza dal sessantunesimo giorno successivo a quello della comunicazione della parcella.

In effetti la relativa statuizione, costituente corretta applicazione di una norma speciale, prevalente su quella civilistica di ordine generale e che il giudice è tenuto ad osservare nella determinazione dei richiesti interessi moratori (v. Cass. n. 9409/06), era contenuta nel decreto ingiuntivo opposto (confermato dal primo giudice), che si era al riguardo attenuto alla specifica richiesta dei ricorrenti;

sicchè il motivo non può ritenersi comportare una domanda nuova, che, accolta in primo grado, non necessitava di espressa riproposizione in quello di appello.

L’accoglimento del motivo comporta la cassazione in parte de qua della sentenza impugnata, che va disposta senza rinvio e con diretta pronunzia nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., determinandosi nella particolare misura prevista dalla disposizione speciale gli interessi moratori dovuti ai tre professionisti sul residuo compenso loro spettante;la decorrenza, tuttavia, in mancanza di prova circa la data dell’invio della parcella, va fissata da quella della notificazione del decreto ingiuntivo, primo atto di costituzione in mora di data certa risultante ex actis. Passando all’esame del ricorso incidentale, rileva la Corte che lo stesso deve essere respinto. Il primo motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione di una lunga serie di norme processuali ( artt. 112, 115, 116, 342, 345 c.p.c.) e sostanziali ( artt. 1218, 1362, 1363, 143, 1455, 1456, 1457, 1458 e 1460 c.c.), e vizi vari della motivazione, con riferimento alla reiezione della domanda ricnvenzionale, si risolve in realtà, in una palese doglianza di merito, con la quale, senza evidenziare alcun effettivo malgoverno delle richiamate disposizione, nè carenze o vizi logici testuali dell’apparato argomentativo, si censura una valutazione di merito, adeguatamente motivata dai giudici di appello. Questi, infatti, sulla base di accertamenti di fatto, che in questa sede non possono essere censurati, hanno dato atto sia delle ragioni giustificative del ritardo, escludendo gli estremi dell’inadempimento colpevole, sia della circostanza che la stessa committente amministrazione ne avesse tenuto conto, provvedendo agli adempimenti ed integrazioni documentali richiesti dai professionisti, senza sollevare contestazioni di sorta, così implicitamente ammettendole non la propria responsabilità, quanto meno l’incolpevolezza del ritardo, tanto da addivenire alla stipula di un disciplinare integrativo.

Nessuna lacuna o vizio logico, nè violazione dei principi in materia di adempimento dei contratti è dato intravedere in tale motivazione, sicchè le doglianze al riguardo si risolvono in palesi tentativi di accreditare una diversa valutazione delle risultanze processuali, il che non è consentito in sede di legittimità.

Il residuo motivo, censurante la compensazione delle spese, resta assorbito dal nuovo regolamento della stesse, anche per il giudizio di appello, reso necessario dall’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale e della connessa statuizione di merito.

A tal riguardo, tenuto conto dell’esito finale e complessivo della controversia, nell’ambito della quale la domanda di residuo adempimento dei sostanziali attori è risultata fondata, sia pure in parte, si ritiene equa la compensazione totale delle spese dell’intero processo, sia dei gradi di merito, sia del presente.
P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta i primi tre motivi di quello principale, nonchè il ricorso incidentale, accoglie il quarto motivo del ricorso principale, cassa in relazione alla relativa censura la sentenza impugnata e, pronunziando nel merito, determina gli interessi sulla somma dovuta, dal Comune di Enna a S.M., P. G. e C.E., secondo la sentenza medesima, nella misura del tasso di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, con decorrenza dalla data della notificazione del decreto ingiuntivo.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero processo.

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