Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-03-2011, n. 6186 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione in riassunzione del 1990, B.S. e C.E., proprietari di due agrumeti in (OMISSIS), convenivano di fronte al tribunale di C.L. M.B.I. e D.P.C., proprietari del terreno su cui insisteva una vasca agricola, su cui essi attori godevano di servitù attiva di utilizzazione nonchè di fruizione di dei canali per l’adduzione delle acque e chiedevano che fosse dichiarata l’esistenza a favore dei loro fondi della servitù predetta secondo quanto previsto dall’atto per notar Castro Ferro del 1950, consentendo l’uso dei canali , con condanna dei convenuti al ripristino dello stantuffo ed alla riparazione dei canali, oltre al risarcimento del danno.

Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ad assumendo che la vasca di cui al cennato atto del 1950 non era quella insistente sul loro fondo; con sentenza del 2001, l’adito Tribunale rigettava la domanda attorea e regolava le spese. Avverso tale decisione proponevano appello il C.B. e C. e L. O., quali eredi di C.E., nelle more deceduta;

resistevano le controparti.

Con sentenza in data 25.11/9.12.2004, la corte di appello di Catania accoglieva il gravame e regolava le spese: osservava la Corte etnea che in base alle risultanze della due CTU espletate e della prova testimoniale assunta, era da ritenersi che la vasca citata nell’alto del 1950 fosse quella sita nel fondo dei convenuti e che gli originari attori avevano diritto a servirsi dei canali occorrenti per l’adduzione dell’acqua sui loro fondi, mentre respingeva le ulteriori domande attoree.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di sei motivi M.B. e D.P.C.; resiste con controricorso, in cui si prospetta un profilo di improcedibilità del ricorso, C.B.S. che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato basato su di un solo motivo, illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione

I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la stessa sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Va preliminarmente esaminata l’eccezione, prospettata in memoria dal controricorrente, di improccdibilità del ricorso principale per mancato deposito del ricorso stesso entro il termine di venti giorni dalla notifica; la stessa non ha pregio, atteso che la notifica è avvenuta i l/7 ed il deposito, siccome effettuato a mezzo posta, il 13.7 successivo e pertanto nel termine prescritto (venti giorni) dall’art. 369 c.p.c.; è appena il caso di ricordare che in caso di deposito a mezzo posta, lo stesso si ha per avvenuto con la consegna del plico all’Ufficio postale.

Venendo all’esame del ricorso principale, i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente atteso che entrambi, sotto profili solo parzialmente diversi, attengono a dedotta violazione degli artt. 1027 e 1658 c.c. e artt. 1362 e 1363 stesso codice, lamentando in buona sostanza che la Corte etnea abbia identificato la vasca di raccolta acque insistente sul terreno acquistato dai coniugi M. – B., con il serbatoio grande indicato nell’atto di acquisto, così incorrendo in erronea interpretazione del rogito.

Le censure sono prive di pregio, atteso che l’interpretazione data dalla sentenza impugnata al rogito de quo appare scevra da vizi logici od argomentativi, mentre le risultanze della CTU svolta in sede pretorile non sono nel senso indicato in ricorso e confortano invece la tesi adottata dalla Corte distrettuale; non sussistono le lamentate violazioni di legge, atteso che gli argomenti addotti per suffragarne la sussistenza impingono in valutazioni di fatto non prospettabili in questa sede di legittimità. Sia la successiva consulenza che le deposizioni dei testi assunti hanno peraltro confermato lo stato dei luoghi quale recepito in sentenza.

Nè ha pregio la dedotta errata interpretazione del rogito, atteso che, con rigore lessicale ed argomentativo, la Corte etnea ha dato pieno conto delle ragioni per cui perveniva alla conclusione poi fatta propria, evidenziando anche l’uso fatto dei termini di cui all’atto.

La censura pertanto si risolve nella doglianza relativa alla ubicazione della vasca, peraltro ampiamente trattata in sentenza e risolta alla stregua di tutti gli elementi processuali raccolti.

I due mezzi devono esser pertanto respinti.

Con il terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 99, 100 e 112 c.p.c.; ci si duole del fatto che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare circa la legittimazione passiva (unica proposta al giudice di appello).

Non è fondato; si verte infatti in tema di servitù e pertanto di un diritto reale che ingenera un rapporto di dipendenza tra due fondi;

in caso di controversia, legittimati a stare in giudizio sono i proprietari dei fondi stessi, a nulla rilevando se coincidano o meno con coloro che hanno costituito la servitù de qua.

In realtà, l’eccezione avrebbe avuto senso se fosse stata accolta l’argomentazione relativa all’ubicazione della vasca in altro fondo, ma, posto che la stessa non è stata recepita, implicitamente la Corte etnea ha rigettato la questione, non incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.

Il quarto motivo attiene alla mancata risposta, da parte della sentenza impugnata, alle critiche rivolle alle consulenze tecniche su cui la stessa si è basata, così evidenziandosi un vizio di motivazione.

Per un verso il motivo è generico, atteso che viene riportata solo in minima parte l’argomentazione, contenuta nella consulenza relativa alla fase pretorile che contrasterebbe con le concordi risultanze delle due consulenze eseguite nei successivi stadi del giudizio e non si da adeguato conto delle argomentazioni con cui quel consulente (di parte) sarebbe pervenuto alle sue conclusioni e, per altro verso viola il principio di autosufficienza del ricorso, atteso che non riporta compiutamente le ragioni su cui la critica sarebbe basata.

Con il quinto mezzo si lamenta erronea valutazione delle risultanze della prova testimoniale; l’aver riportato (in parte) le deposizioni di alcuni testi non dimostra che la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata sia erronea e, comunque, la valutazione della prova è compito del giudice del merito, che non è incorso in vizi argomentativi o logici al riguardo.

Non emergono sostanziali elementi atti ad inficiare la valenza di una valutazione di merito che attiene comunque ad uno dei mezzi probatori utilizzati per pervenire alla conclusioni adottate.

Con il sesto motivo si lamenta violazione dell’art. 354 c.p.c. in ragione del fatto che i tubi per l’adduzione delle acque al fondo dominante attraversano fondi di terzi non evocati in giudizio; la questione è del tutto nuova, non essendo mai stata proposta nel corso del pregressi gradi di giudizio e presenta comunque profili di incompletezza e di opinabilità; non può pertanto trovare accoglimento.

Il ricorso principale deve essere pertanto respinto, mentre l’incidentale, condizionato, risulta assorbito.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

riuniti i ricorsi, la Corte respinge il principale; assorbito l’incidentale. Condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per spese, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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