T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 04-02-2011, n. 708 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 23/07/09 e depositato il successivo 5 agosto la A.M. s.a. s ha impugnato la disposizione dirigenziale n. 509 del 16/07/2009, notificata in pari data, con la quale il Comune di Napoli gli ingiungeva la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, ex art. 27 comma 2 D.P.R. 380/01, in relazione ad opere di ristrutturazione edilizia abusivamente realizzate alla via Petrarca n. 48 – in zona sottoposta a vincolo ambientale con D.M. 24/01/1953 "collina di Posillipo versante mare" e con D.M. del 28/03/1985, "collina di Posillipo versante Flegreo", su una rotonda destinata a belvedere pubblico di circa m. 540,00 e consistenti in:

1) manufatto in muratura a forma irregolare completo di solaio di copertura di circa mq. 125x h m. 3,00 costituito da locale bar, cucina, deposito e bagni.

2)Deposito antistante quello di cui al punto 1, strutturato in ferro chiuso da ampie vetrate su i due lati prospicienti il belvedere comprensivo di un corpo sporgente di accesso per complessivi mq. 100,00X h. m. 2,70 al colmo e h. m. 2,30 alla gronda della copertura costituita da pannelli di plexiglas con sottostante controsoffittatura.

3)Manufatto a forma di corona circolare ubicato lungo il perimetro esterno del belvedere e contiguo al manufatto di cui al punto 2, di circa mq. 108,00X h.m. 2,70, strutturato in pilastrini di ferro, chiuso da vetrate e teloni in PVC sui lati semicircolari e di parziale muratura in ragione di m. 3,00 X 2,70 nell’angolo di nordovest, nonché coperto da pannelli in policarbonato ed un altezza di circa m. 2,70.

4)Area pavimentata in cotto e chiuso da cancello in ferro a due battenti e ringhiere.

A sostengo del ricorso ha dedotto in punto di fatto: 1) che essa ricorrente aveva ottenuto in data 13 luglio 1987 la voltura per la concessione della piattaforma panoramica, oggetto del gravato provvedimento, con accesso da via Petrarca; 2) che al momento della concessione sull’area vi erano le strutture tuttora esistenti, approssimativamente descritte nel provvedimento di concessione; 3) su detta area la ricorrente svolgeva attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande; 4) l’area era stata sottoposta a sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria, sul presupposto che la concessione, di durata ventennale, era scaduta; 4) su tale presupposto l’Amministrazione comunale aveva effettuato un sopralluogo, verificando le strutture esistenti, all’esito del quale aveva emesso il gravato provvedimento; 5) l’area in questione era stata a suo tempo realizzata nell’ambito dei lavori d’esecuzione della convenzione di lottizzazione stipulata fra il Comune di Napoli e la società SPEME il 20 ottobre 1926, lottizzazione più volte integrata e modificata sino al 1968, in forza della quale era previsto che i concessionari avrebbero ceduto gratuitamente al Comune le aree occorrenti per tutte le vie e le piazza comprese nel rione, mentre al Comune era riservata la possibilità di destinare a terrazze panoramiche o giardini pubblici limitati appezzamenti di terreno.

Ciò posto in punto di fatto, ha articolato le seguenti censure avverso l’atto in epigrafe, affidate a tre motivi di ricorso:

1)Violazione degli art. 7 e ss. L. 241/90.

Il gravato provvedimento non è stato proceduto da alcun atto di avvio di procedimento, in violazione della normativa richiamata.

Detta comunicazione sarebbe stata necessaria per acquisire elementi di conoscenza indispensabili ai fini della corretta istruttoria del procedimento amministrativo e dell’esito finale dello stesso, alla stregua di quanto specificato nei successivi motivi di ricorso.

2) Eccesso di potere per difetto di istruttoria; violazione dell’art. 27 T.U. 380/01; difetto di motivazione e d’interesse pubblico; contraddittorietà.

Come attestato nella perizia giurata di parte, sulla scorta del materiale aereo fotogrammetrico, l’attuale situazione era consolidata almeno a far data dal 1984 e già dal 1975 esistevano almeno due delle tre strutture costituenti le strutture oggi esistenti (ovvero l’emiciclo e la struttura destinata a bar).

Inoltre, quando la ricorrente ottenne la voltura della concessione, nel luglio del 1987, sull’area insistevano già tutte le strutture oggetto dei provvedimenti impugnati, espressamente contemplate nell’atto di concessione.

A tale stregua non si comprende quale interesse pubblico sia stato posto a base dell’atto gravato.

Il Comune, prima di irrogare la sanzione demolitoria, avrebbe dovuto verificare la conformità della opere con la normativa urbanistica edilizia, ed in particolare con la convenzione di lottizzazione, in quanto atto di dettaglio. Valutazione questa del tutto omessa.

Ulteriore profilo di illegittimità è da rinvenirsi nella circostanza che il gravato provvedimento qualifica l’intervento che avrebbe realizzato la ricorrente quale intervento di ristrutturazione edilizia, che presuppone la preesistenza di legittime strutture. Conseguentemente nel gravato provvedimento avrebbe dovuto essere indicato ciò che era stato trasformato rispetto a ciò che esisteva in precedenza, per cui non poteva ordinarsi l’integrale demolizione ma solo la ricostituzione della situazione precedente gli ipotetici abusi.

3) Travisamento e difetto di istruttoria.

Alla stregua di quanto detto si evince che la ricorrente società è estranea ai presunti abusi, poichè quando la stessa aveva ottenuto la concessione le opere già esistevano, per cui alla stessa avrebbero potuto addebitarsi meri interventi manutentivi, essendo le strutture esistenti da tempo antecedente alla voltura della concessione in suo favore, sicché essa non avrebbe potuto essere qualificata come responsabile dell’abuso.

Si è costituito il Comune di Napoli, con deposito di documenti, instando per il rigetto del ricorso.

Con atto notificato in data 5 agosto 2009 e depositato il successivo 6 agosto parte ricorrente ha impugnato, a mezzo di motivi aggiunti, il provvedimento dirigenziale n. 9116 del 20.07.2009 a firma del Dirigente, 8° direzione centrale, Servizio commercio aree pubbliche, con cui si dichiarava inammissibile, per difetto di interesse l’istanza di concessione su suolo pubblico, in considerazione della riscontrata abusività delle opere sanzionata con il provvedimento gravato con il ricorso principale.

A sostengo di tale ricorso ha riproposto, per invalidità derivata, le medesime censure già oggetto del ricorso principale, nonché la seguente ulteriore censura:

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 e 16 del vigente testo unico del regolamento per l’occupazione su suolo pubblico e per l’applicazione del relativo canore. Eccesso di potere per manifesta illogicità e vizio del procedimento. Violazione dei principi della continuità dell’azione amministrativa e dell’autotutela;violazione dell’art. 21 nonies l. 241/90; contraddittorietà e contrasto con i precedenti; vizio del procedimento; violazione dell’art. 14 l. 241/90.

L’assunto dal quale muove il gravato provvedimento è che l’intervenuto ordine di demolizione da parte del servizio antiabusivismo edilizio avrebbe impedito il rilascio della concessione su suolo pubblico, laddove la fattispecie andava diversamente qualificata, avendo la ricorrente ottenuto in voltura la concessione su suolo pubblico, ove aveva esercitato per oltre venti anni la propria attività commerciale, usufruendo delle medesime strutture esistenti al momento del rilascio della concessione, rimaste sostanzialmente immutate.

Inoltre la ricorrente è allo stato titolare di concessione, come evincibile dal provvedimento n. 830 del 21 aprile 2006, con cui il medesimo servizio Commercio su aree pubbliche invitava il servizio riscossione entrate Ufficio Cosap a ritenere ancora valida la concessione permanente rilasciata in data 13 luglio 1987. L’ufficio Cosap quindi provvedeva con proprio atto a rilasciare la concessione su suolo pubblico.

Con atto notificato in data 5/08/2009 e depositato il successivo 25 settembre parte ricorrente ha proposto ulteriori motivi aggiunti, avverso gli atti già gravati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti, deducendo la seguente censura:

5)Violazione art. 97 Cost.; violazione dell’art. 1 l. 241/90; violazione del principio di efficacia, efficienza e buon andamento della P.A.. Difetto di istruttoria e di motivazione,

Allorchè il lungo lasso di tempo abbia consolidato le posizioni soggettive coinvolte, la P.A. non è libera di esercitare il potere repressivo edilizio, senza indicare con adeguata motivazione, le ragioni di pubblico interesse che giustificano il tardivo esercizio della funzione.

Nell’ipotesi di specie, come detto, le opere sanzionate esistevano da oltre un quarantennio ed erano direttamente contemplate dalla concessione di area pubblica del 1987, peraltro formalmente prorogata nel 2007, come in precedenza rilevato. Da ciò la necessità di una congrua motivazione sull’interesse pubblico perseguito, a fronte dell’interesse della ricorrente al mantenimento delle opere e alla protrazione dell’attività commerciale, fonte di lavoro a decine di persone ed importante dal punto di vista turistico – ricettivo.

All’esito dell’udienza camerale del 9 settembre 2009 fissata per la trattazione dell’istanza cautelare questa Sezione, ha accolto l’istanza di cautelare, con ordinanza sospensiva n. 2077/2099, richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, seguito pure di recente dalla Sezione (cfr TAR Campania, Napoli, Sez. IV n. 2357 del 5 maggio 2009) secondo il quale "la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello di ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato; ex multiis C.d.S., Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883; C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006).

Detta ordinanza è stata oggetto di riforma ad opera dell’ordinanza sospensiva del 16 dicembre 2009 n. 6231/2009 della IV sez. del Consiglio di Stato, sulla base del rilievo che gli interventi realizzati senza titolo dalla Società appellata integrano una ristrutturazione, ai sensi dell’art. 3, primo comma lett. d), del D.P.R. 380/01 e che, quindi, appariva giustificata l’adozione del provvedimento di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi.

Successivamente il Comune di Napoli ha depositato ulteriore documentazione, fra cui la nota prot. 1414 del 2009, a firma dirigente della Direzione Centrale VI, S.A.E., dei tecnici istruttori e del responsabile del contenzioso, nella quale si evidenzia che anche in relazione alle opere esistenti alla data di concessione su suolo pubblico non era stato ottenuto alcun titolo edilizio e non era stata avanzata alcune domanda di condono e che comunque le stesse erano state sottoposte a notevoli modifiche, elencate nella nota medesima.

In prosieguo sia il Comune di Napoli che parte ricorrente hanno depositato memoria difensiva, instando nelle loro posizioni.

Parte ricorrente ha inoltre depositato una perizia tecnica di parte relativa alla consistenza delle opere realizzate

Il ricorso è stato quindi posto in discussione all’udienza pubblica del 31 marzo 2010, all’esito della quale il Collegio ha emesso ordinanza collegiale n. 468/2010 del seguente tenore "Atteso che, a seguito della c.t.p prodotta da parte ricorrente nonché della documentazione prodotta dal Comune di Napoli in data 24 febbraio 2010 il Collegio ritiene sussistere la necessità, ai fini del decidere, di effettuare C.T.U. onde accertare la risalenza degli immobili di cui è stata contestata l’abusività, nella loro attuale consistenza, ed in particolare l’anteriorità o meno degli stessi rispetto alla data di apposizione del vincolo paesistico, nonché la tipologia e la risalenza degli interventi susseguitisi nel tempo" ha disposto al riguardo consulenza tecnica.

A seguito della disposta c.t.u. il Comune di Napoli ha depositato in data 21/10/2010 la relazione tecnica del proprio c.t.p.

Il consulente tecnico d’ufficio ha provveduto al deposito del proprio elaborato peritale in data 8 novembre 2010.

Il ricorso è stato posto in decisione all’udienza pubblica del 10 novembre 2010.
Motivi della decisione

In via preliminare il Collegio evidenzia che oggetto del ricorso principale deve intendersi la disposizione dirigenziale n. 509 del 16.07.2009, essendo stata la precedente disposizione dirigenziale n. 446 del 16/06/2009 citata nel ricorso come mero atto presupposto.

Inoltre, come può evincersi dal confronto dei due provvedimenti, la disposizione dirigenziale adottata successivamente contiene una diversa descrizione delle opere contestate, nonché la qualificazione delle stesse come opere di ristrutturazione edilizia (non contenuta nella precedente) ed il richiamo ad un ulteriore sopralluogo, quello del 8/07/2009, con la conseguenza che la stessa, in quanto basata su una distinta motivazione e su un’ulteriore attività istruttoria, non si presenta quale atto meramente confermativo della precedente ordinanza ma come atto a contenuto provvedimentale, dotato di autonoma lesività, che supera la precedente determinazione, con conseguente spostamento dell’interesse a ricorrere.

Nell’esaminare i motivi di ricorso avverso la disposizione dirigenziale n. 509 del 16.07.2009 il Collegio ritiene di dover procedere in ordine logico, analizzando dapprima i motivi di ordine sostanziale, nell’ottica di maggiore satisfattività degli interessi della ricorrente, ed esaminando congiuntamente i motivi di ricorso che presentano connessione ad affinità da un punto di vista logico e strutturale.

In quest’ottica si ritiene di dover postergare l’analisi del primo motivo del ricorso principale, con cui parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 7 l. 241/90, in quanto trattasi di violazione di carattere formale, anche in vista dell’eventuale applicazione dell’art. 21 octies comma 2 l. 241/90.

Possono invece essere esaminate congiuntamente, in quanto sottendono affini censure di difetto di istruttoria e di motivazione, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, nonché il motivo di difetto di motivazione contenuto nel secondo ricorso per motivi aggiunti.

Al riguardo va peraltro chiarito che tale ricorso, in quanto relativo ai medesimi atti già gravati con il ricorso principale e il primo ricorso per motivi aggiunti e non fondato su circostanze emerse all’esito di deposito di documenti da parte della P.A. resistente, va qualificato più come ricorso contenente motivi integrativi (che come ricorso per motivi aggiunti), peraltro ammissibile nella specie in quanto notificato nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla notifica dei provvedimenti gravati con il ricorso principale e il primo ricorso per motivi aggiunti (essendo stato notificato in data 5/08/2009).

Parte ricorrente deduce con tali motivi che l’ordinanza di demolizione è stata adottata sulla base di presupposti erronei e su un’errata istruttoria in quanto le opere contestate sono pressoché coincidenti a quelle preesistenti alla voltura della concessione di suolo pubblico in suo favore, approssimativamente descritte nel provvedimento di concessione, per cui essa ricorrente non poteva essere considerata quale responsabile degli abusi contestati, avendo eseguito nel tempo meri interventi manutentivi.

In ogni caso le opere medesime sono state qualificate quali opere di ristrutturazione, con ciò sottintendendo delle preesistenze legittime, con la conseguenza che nel gravato provvedimento doveva essere indicato ciò che era stato oggetto di modifica rispetto alle legittime preesistenze.

Inoltre il gravato provvedimento non contiene alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico posto alla base dell’irrogazione della sanzione demolitoria, valutazione questa che doveva essere effettuata dall’Amministrazione, sia considerando la conformità delle opere con la normativa urbanistica ed edilizia, sia considerando l’affidamento ingeneratosi nel privato in ragion del lungo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione delle opere.

Il Collegio aveva accolto l’istanza di sospensiva proprio in ragione di quest’ultimo rilievo, facendo applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui"la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello di ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato; ex multiis C.d.S., Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883; C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006.

Successivamente peraltro il Comune di Napoli ha depositato ulteriore documentazione, fra cui la nota prot. 1414 del 2009 del 16/10/2009, a firma dirigente della Direzione Centrale VI, S.A.E., dei tecnici istruttori e del responsabile del contenzioso nella quale si evidenzia che anche in relazione alle opere esistenti alla data di concessione su suolo pubblico non era stato ottenuto alcun titolo edilizio e non era stata avanzata alcune domanda di condono e che comunque le stesse erano state sottoposte a notevoli modifiche, elencate nella nota medesima, evidenziando, in particolare:

1)quanto al manufatto in muratura, sub. 1, di circa mq. 125 X h. m. 3,00, di cui all’ordinanza di demolizione, che lo stesso fosse derivato probabilmente dalla trasformazione parziale della veranda in ferro, cristallo e muratura di mq. 187 citata nell’atto di concessione su suolo pubblico;

2)quanto al manufatto sub 2) che lo stesso doveva intendersi realizzato successivamente al provvedimento di concessione, nonché successivamente al mese di luglio 2004, in quanto non riportato sulla relativa avio ripresa;

3)quanto al manufatto sub. 3 che lo stesso derivasse dalla restante parte della veranda in ferro, cristallo e muratura di mq. 187, descritta nella concessione di suolo pubblico;

4)che quanto alle opere indicate sub 4 non potesse definirsi con certezza l’epoca della realizzazione.

Alla stregua di tali rilievi nonché dei contrapposti rilievi contenuti nella c.t.p. di parte ricorrente, il Collegio ha disposto consulenza tecnica d’ufficio, al fine di verificare la consistenza degli interventi succedutesi nel tempo e la data della loro realizzazione, nonché l’antecedenza o meno degli stessi rispetto ai vincoli ambientali sussistenti sull’area de qua.

E’ quindi dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che occorre prendere le mosse al fine di analizzare le censure proposte da parte ricorrente.

Il c.t.u. con la relazione depositata in data 8 novembre 2010, le cui risultanze sono largamente condivisibili e congruamente motivate, quanto alle risultanze in fatto – ferma restando la valutazione delle medesime che compete al collegio giudicante – in quanto basate su un’attenta disamina delle foto aeree succedutesi nel tempo e dello stato dei luoghi, ha accertato:

che nella foto aerea del 1943 l’area risulta sgombra da qualsiasi manufatto;

dalla foto aerea del luglio 1975 si poteva rilevare la presenza:

manufatto in muratura a sud ovest del lotto, di forma irregolare e superficie stimabile di circa mq. 70, in parte coincidente con l’attuale volume "A" ma di dimensioni minori rispetto a quest’ultimo;

manufatto a forma di corona circolare, in adiacenza al primo e al confine circolare del lotto, di superficie approssimativamente pari ad oltre mq. 100;

manufatto a forma irregolare, al limite nord est del lotto, con superficie circa pari a mq. 7580, di seguito indicato con la lettera "C".

A tale data non appariva né il prolungamento di cui all’organismo edilizio di cui al punto a) (indicato come manufatto "E’) né l’ulteriore volume a forma di corona circolare all’estremo sudovest del lotto (indicato come manufatto "F"), né ancora la pensilina di ingresso, mentre non era possibile stabilire la presenza o meno del "piccolo volume in muratura sul confine nord di circa mq. 3,00.

Il manufatto sub C) secondo il C.T.U. corrisponde per descrizione e dimensioni alla "tettoia di mq. 78" menzionata nella concessione del 1987.

La successiva foto aerea del settembre 1986, evidenzia il C.T.U., poneva in luce uno stato dei luoghi apparentemente immutato quanto ai precedenti manufatti, mentre, data la notevole presenza di vegetazione nell’immediatezza dell’area in oggetto, non appare acclarabile la presenza o meno del manufatto "F", così come non è visibile se il corpo di fabbrica, principale (manufatto "A") risultasse a quella data già ampliato fino al confine sud del lotto, come appare tutt’oggi, o – come sembra più probabile – presentasse ancora la consistenza del 1975.

L’analisi della successiva foto aerea del 1992, evidenzia uno stato dei luoghi sostanzialmente mutato in diversi punti, in particolare:

a) il manufatto sub "A" risulta visibile nella sua interezza, nelle forme e dimensioni riscontrabili tuttora;

b) la tettoia "C" ubicata a nord est risulta demolita:

c) il manufatto a forma di corona circolare "B" risulta trasformato sia per quanto riguarda la copertura (di diverso colore), sia in riferimento all’area di sedime: esso occupa, come ancora oggi, la parte est del confine, risultando da un lato parzialmente demolito (all’estremo sud ovest) di una porzione pari a circa mq. 25, con ogni probabilità per far posto al nuovo organismo "E’; dal lato opposto risulta invece ampliato di circa mq. 35 in luogo della precedente tettoia, delimitando così una superficie di circa mq. 110;

d) compare per la prima volta il manufatto "E’ in quelle che sembrano essere le caratteristiche che ha conservato a tutt’oggi: in particolare risultano coincidenti le dimensioni (circa mq. 100) e ben visibile la copertura suddivisa in pannellature retrattili, mentre ancora non compaiono le tende retrattili;

e) appare chiaramente la pensilina d’ingresso di forma ellittica, preceduta da un ulteriore corpo sporgente del marciapiede, non meglio identificabile.

A tale data non appare peraltro ancora il manufatto "F", che non è facilmente identificabile neanche nella ripresa del 1998, per cui non è possibile stabilire se sia stato o meno realizzato in data antecedente o successiva.

Pertanto, secondo il C.T.U., le vere e più profonde trasformazioni, ad eccezione di quanto concerne il manufatto indicato come "F" si sono concretizzate nel periodo che va dal settembre 1986 all’aprile del 1992, cioè a cavallo della concessione del luglio 1987.

In particolare il C.T.U. evidenzia:

A) che il manufatto "A" compare nella ripresa del luglio 1975 con dimensioni ridotte, non comprendendo la parte occupata dall’attuale antibagno, apparendo nella sua attuale consistenza a partire dalla foto aerea dell’aprile 1992;

B) che il manufatto "B" esistente alla data del 1975 occupava però un’area solo in parte coincidente con quella attuale. Nella ripresa del 1992 appariva nella sua consistenza attuale, dopo aver subito una successivamente al 1986 una parziale demolizione (circa mq. 25) all’estremo suovest e un ampliamento (circa mq. 35) all’estremo nordovest, andando a lambire il confine della strada;

C) che manufatto sub. C), riportato nell’immagine del 1975 e corrispondente alla tettoia di mq. 78" menzionata nella concessione del 1987, veniva demolito nel periodo compreso tra il settembre 1986 e l’aprile del 1992.

D) il manufatto "D" riportato agli estratti di mappa S.T.R. fino all’anno 1987, risultava demolito nella ripresa del 1992.

E) Il manufatto "E’, inesistente almeno fino al settembre 1986, veniva realizzato nella sue attuali dimensioni tra quell’anno e l’aprile del 1992. Dubbia risulta la data di realizzazione del fronte vetrato, che nella ripresa del 1992 non risulta visibile, e sulla data di apposizione delle sovrastanti tende retrattili, che sembrano comparire soltanto nella foto del giungo 1998.

F) Il manufatto F risulta sicuramente realizzato dopo l’aprile del 1992.

Alla stregua di tali rilievi il C.T.U. ha concluso che gli interventi susseguitisi nel tempo, così come dettagliatamente analizzati, sono pressoché tutti successivi al settembre 1986.

Peraltro occorre ritenere che le modifiche apportate a partire da tale data siano successive all’atto di concessione del luglio 1987 e vadano pertanto ascritte alla ricorrente.

Ed invero, come rilevato, lo stesso C.T.U. ha evidenziato che il manufatto da lui indicato come "C" – corrispondente alla tettoia di mq. 78,00 di cui all’atto di concessione – non compaia più nella ripresa del 1992.

Pertanto si deve ritenere che la sua demolizione sia ascrivibile alla ricorrente, essendo detto manufatto presente nell’atto della concessione su suolo pubblico alla medesima.

Alla stessa stregua deve ritenersi, in via presuntiva, che le trasformazioni, con i correlativi aumenti di superficie indicati nell’elaborato peritale, subite dai manufatti indicati dal C.T.U. come sub. A) e sub B) nonché la realizzazione del manufatto sub. E), di prolungamento del manufatto "A", corrispondenti nel loro insieme ai manufatti di cui rispettivamente al n. 1, 2 e 3 dell’ordinanza di demolizione, indicati dal c.t.u. come realizzate nel periodo compreso fra il settembre del 1986 e l’aprile del 1992, siano stati realizzati in data successiva al rilascio alla ricorrente della concessione su suolo pubblico, nel contesto di opere di ristrutturazione poste in essere dalla medesima in data successiva alla suddetta concessione e presumibilmente nell’ambito dello stesso contesto temporale in cui si era proceduto alla demolizione della tettoia menzionata nel provvedimento di concessione e identificata dal C.T.U. come manufatto sub C).

Ciò anche in ragione della circostanza che le dimensioni dei manufatti riscontrati nell’aereo fotogramma del 1992, sono di gran lunga maggiori rispetto a quelle dei manufatti, pur se sommariamente descritti, indicati nell’atto di concessione; dimensioni queste che dovevano essere verosimilmente quelle reali, in ragione della circostanza che il canone di concessione doveva essere calcolato in relazione alla superficie occupata.

Inoltre lo stesso C.T.U. ha ritenuto che detti manufatti presentassero verosimilmente la medesima consistenza nel periodo che va del 1975 al settembre del 1986, antecedente alla concessione su suolo pubblico a parte ricorrente, per cui è da ritenere inverosimile che i precedenti concessionari che non avevano modificato lo stato dei luoghi in un così lungo lasso di tempo, avessero realizzato delle consistenti opere di ristrutturazione in prossimità della cessione dell’attività.

Lo stesso C.T.U. inoltre colloca in un periodo sicuramente posteriore al 1992 e forse anche al 1998, non essendo evincibile nella relative riprese, la realizzazione del manufatto sub F), che appare come un prolungamento del manufatto a forma di corona circolare indicato dal C.T.U. come manufatto "B" e al n. 3) dell’ordinanza di demolizione, nonché le modifiche apportate al manufatto "E’.

Le modifiche realizzate secondo il C.T.U. in data successiva al 1992, salvo quella che il C.T.U. ha riscontrato nella ripresa del 1998, relative al manufatto "E’, devono invero collocarsi nel periodo temporale del 20032004, come evincibile dal decreto di sequestro preventivo del G.I.P. di Napoli del 11 aprile 2009 (pg. 2), del pari basato tra il raffronto dei rilievi aerei eseguiti, adottato in relazione al reato di cui al combinato disposto degli artt.633639 bis c.p., prodotto dalla difesa del Comune in data 7 settembre 2009.

A tale stregua si deve ritenere che le successive trasformazioni subite nel tempo dai vari manufatti siano senz’altro ascrivibili alla ricorrente che – in data verosimilmente successiva al 1998 e quindi all’approvazione del P.T.P. di Posillipo che ha sottoposto l’area de qua al regime della P.I.- realizzava anche il manufatto a forma di corona circolare identificato dallo stesso C.T.U. come manufatto "F".

Inoltre l’area de qua risultava già sottoposta al più generico vincolo ambientale con i DD.MM. del 24/01/1953 e del 20/03/1985, menzionati nel gravato provvedimento e posti a base dell’ordine di demolizione, in quanto adottato, in considerazione dell’esistenza di detti vincoli, non ai sensi dell’art. 33 D.P.R. 380/01, ma ai sensi dell’art. 27 comma 2 del medesimo D.P.R., che si riferisce a qualsiasi ipotesi di vincolo e non solamente a quelli di inedificabilità assoluta.

L’ordinanza di demolizione è quindi basata su di una valutazione sostanziale dell’abuso commesso e non meramente formale, quale quella di cui al disposto dell’art. 33 D.P.R. 380/01.

Alla stregua di tali considerazioni le deduzioni di cui al secondo e terzo motivo del ricorso principale e di cui al motivo integrativo contenuto nel secondo ricorso per motivi aggiunti, come innanzi qualificato, vanno disattese.

Ed invero le opere ascrivibili alla ricorrente società, avendo comportato, con interventi sistematici, la creazione di organismi del tutto differenti da quelli preesistenti, vanno qualificate, secondo quanto correttamente ritenuto nel gravato provvedimento, come opere di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. d) D.P.R. 380/01, necessitanti di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 comma 1 lett. c) del medesimo D.P.R., avendo altresì comportato una modifica dei prospetti, nonché un aumento di volumi e di superficie.

Né ha alcun rilievo, ai fini dell’annullabilità del provvedimento, alla stregua delle successive considerazioni, la circostanza che nel gravato provvedimento non siano esattamente indicate le modifiche delle preesistenze ascrivibile alla ricorrente società.

Ed invero, già nel verbale di sopralluogo del 16/02/09, richiamato nel gravato provvedimento ed in grado pertanto di integrarne la motivazione, si evidenziava che "la parte a richiesta forniva occupazione di suolo pubblico del 13/07/1987 e la nota prot. 830 del 21/04/06, ed inoltre faceva visionare grafico non vidimato da alcun organo comunale ma, a suo dire, riferito all’occupazione del suolo. Il tutto risultava comunque totalmente difforme da quanto realizzato".

Inoltre, come accennato con la nota prot. 1414 del 2009 del 16/10/2009 il Comune ha evidenziato le trasformazioni subite nel tempo dai manufatti citati nell’atto di concessione ed ascrivibili alla ricorrente.

Con la c.t.u. disposta si è inoltre giunti ad individuare più esattamente queste trasformazioni.

Sulla base di tali considerazioni e delle risultanze della c.t.u., come innanzi valutate, si deve ritenere che nel caso di specie, nonostante la stringatezza della motivazione del gravato provvedimento, il dispositivo del medesimo debba considerarsi sostanzialmente corretto.

A tale stregua deve farsi applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale "sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l’amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato (Consiglio Stato, sez. VI, 03 marzo 2010, n. 1241;Consiglio Stato, sez. V, 09 ottobre 2007, n. 5271); principio questo del quale ben può farsi applicazione nell’ipotesi in cui le ragioni dell’agere amministrativo siano evincibili dagli atti del procedimento e si verta, come nella specie, in ipotesi di attività vincolata.

Questo anche allorquando la correttezza del contenuto dispositivo del provvedimento sia accertata attraverso un’attività istruttoria (in tal senso T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 27 marzo 2006, n. 3200), consistente come nella specie, in una consulenza tecnica d’ufficio, facendo leva sul principio del raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, introdotto nel processo amministrativo dall’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, con abbandono di impostazione meramente formalistiche.

Vi è inoltre da evidenziare, al di là di questi assorbenti profili che "il divieto di integrazione postuma della motivazione ha ragione di esistere soltanto a fronte dell’attività discrezionale amministrativa della pubblica amministrazione – ora nei limiti segnati dall’art. 21 octies, c. II, secondo periodo, della legge n. 241/1990 -, atteso che solo in questo ambito l’amministrazione è chiamata ad una attività di comparazione e valutazione di interessi pubblici di cui deve dare conto prima di adottare la decisione finale, altrimenti consentendosi un esercizio del potere privo di ogni giustificazione non esplicitabile a posteriori (salvo i limiti di cui all’art. 21 octies citato)". Pertanto nell’ipotesi in cui come nella specie venga in questione l’attività vincolata della P.A. "il giudice amministrativo ben può conoscere (grazie anche al suo potere acquisitivo) tutti gli elementi istruttori che hanno preceduto l’adozione del provvedimento finale essendo egli giudice del fatto – ed oggi anche del rapporto in ambito di attività vincolata – onde verificare la giustezza del procedimento seguito, la conformità alla norma del provvedimento adottato ed in definitiva la sussistenza in capo al ricorrente dei presupposti di diritto e di fatto contemplati dalla fonte paradigmatica di riferimento" (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 13 gennaio 2010, n. 193).

A tale stregua, deve ritenersi che il provvedimento gravato risulti sufficientemente motivato, con la qualificazione degli interventi contestati a parte ricorrente come interventi di ristrutturazione edilizia, essendosi proceduto, con un insieme sistematico di opere, alla creazione di manufatti edilizi in tutto diversi da quelli preesistenti, richiamati nell’atto di concessione e più precisamente individuati al c.t.u. (come già chiarito nel verbale di sopralluogo del 6/02/09 e più esattamente specificato con la nota prot. 1414 del 200), su area già sottoposta alla data della realizzazione delle opere ai vincoli ambientali di cui ai DD.MM. 24/01/1953 e 28/03/1985 (del pari richiamati nel gravato provvedimento), con conseguente sanzionabilità delle opere medesime ai sensi dell’art. 27 comma 2 D.P.R. 380/01.

Peraltro vi è da evidenziare, che anche le opere preesistenti, menzionate nell’atto di concessione, seppure non ascrivibili alla ricorrente – e per tale motivo alla ricorrente non si è contestata la nuova costruzione ma soltanto la ristrutturazione – sono state effettuate sine titulo, come evincibile dal complesso degli atti istruttori depositati dalla P.A..

A tale stregua parte ricorrente non potrebbe vantare alcun diritto al mantenimento delle preesistenze – il cui ripristino tra l’altro comporterebbe verosimilmente un costo maggiore rispetto all’integrale demolizione – in relazione alle quali non ha mai presentato istanza di condono, come del pari evincibile dagli atti depositati dalla P.A..

Inoltre parte ricorrente non avrebbe comunque interesse al mantenimento delle preesistenze in considerazione della circostanza, che verrà meglio evidenziata nell’esaminare il primo ricorso per motivi aggiunti, che la concessione su suolo pubblico è scaduta nel luglio del 2007 e non è stata più rinnovata, proprio in considerazione degli abusi edilizi dalla medesima commessi.

Né può ritenersi che il gravato provvedimento doveva contenere una motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione delle opere, anche in considerazione dell’affidamento ingeneratosi nella ricorrente per il lungo lasso di tempo trascorso dalla loro realizzazione.

In primo luogo si deve ricordare che per la costante giurisprudenza, seguita pure da questa Sezione, il provvedimento sanzionatorio di abusi edilizi risulta correttamente motivato con il semplice richiamo all’abusività delle opere, vertendosi in ipotesi di attività vincolata della P.A., senza alcuna necessità di motivazione dell’interesse pubblico, già prefigurato a livello normativo (ex multiis Consiglio di Stato sez. V, sentenza n.3443/02). L’Amministrazione non dispone pertanto – a fronte degli illeciti edilizi – di alcun margine di discrezionalità e ha quindi l’obbligo di intervenire con un atto repressivo, dovuto nell’an e vincolato nel suo contenuto, senza che su di esso possa influire alcuna comparazione tra interessi pubblici ed interessi privati (per tutte, T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 maggio 2008, n. 4256). Del pari la P.A. nell’irrogare la sanzione demolitoria delle opere realizzate sine titulo non deve motivare sulla conformità delle opere medesime alla normativa urbanistica ed edilizia, sussistendo tale onere solo a fronte di istanze di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. 380/01 (istanza che nella specie non è stata presentata e che comunque, alla stregua di quanto di seguito specificato, in ragione della sussistenza sull’area de qua del vincolo paesistico, non avrebbe potuto trovare accoglimento).

E’ ben vero che vi è un orientamento giurisprudenziale, seguito pure da questa Sezione, secondo il quale "la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato" (C.d.S., Sez.V, 4/03/2008, n.883; Tar Campania, Napoli, Sez. IV – 5 maggio 2009, n. 2357).

Detto orientamento è stato posto dalla Sezione a base dell’ordinanza di sospensione, poi oggetto di riforma ad opera del Consiglio di Stato.

Peraltro il Collegio ritiene, re melius perpensa, che detto orientamento non possa trovare applicazione ove, come nella specie, gli immobili abusivi ricadano in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto in tale ipotesi, la prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato deve considerarsi in re ipsa, in considerazione del rilievo costituzionale del paesaggio, ex art. 9 comma 2 Cost., assurgente a principio fondamentale, con conseguente primazia su gli altri interessi, pubblici e privati, del pari considerati dalla Costituzione, ma non annoverati fra i principi fondamentali.

E’ allora per tali ragioni che, "in relazione appunto ai vincoli paesaggistici, non possono trovare spazio applicativo i peculiari principi in base ai quali la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n° 2705 del 6.6.2008; Cons. di Stato sez. V, n° 883 del 4.3.2008; Cons. di Stato sez. IV, n° 2441 del 14.5.2007; Cons. di Stato sez. V, n° 247 del 12.3.1996; T.A.R. Liguria n° 4127 del 31.12.2009; T.A.R. Calabria Catanzaro n° 1026 del 6.10.2009; T.A.R. Piemonte n° 2247 del 4.9.2009; T.A.R. Campania Napoli n° 504 del 29.1.2009) ha individuato una posizione di affidamento tutelabile (quanto meno con il richiedersi nel provvedimento sanzionatorio una motivazione specifica, ulteriore rispetto a quella fondata sul mero perseguimento di un ripristino della legalità, in ordine alla necessità della demolizione dei manufatti e al connesso sacrificio dell’interesse privato) per colui che, pur avendo posto in essere abusi edilizi, abbia visto trascorrere un lungo lasso di tempo dalla loro commissione con inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza" (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 14062010, n. 14156, cui si rinvia).

In ogni caso l’interesse pubblico perseguito attraverso l’atto gravato non mira nell’ipotesi di specie al mero ripristino della legalità, ma persegue finalità di tutela ambientale, non essendo lo stesso basato sul mero riscontro dell’abusività delle opere, in quanto realizzate sine titulo ex art. 33 D.P.R. 380/01 (illegittimità formale), ma sulla considerazione della circostanza che le stesse sono state altresì realizzate in zona sottoposta a vincolo ambientale già prima della realizzazione di tutte le opere, in forza de più volti richiamati decreti ministeriali, citati nell’ordinanza di demolizione.

Da ciò si evince un ulteriore profilo di inapplicabilità del citato orientamento giurisprudenziale.

Non si vede inoltre, a fronte dell’interesse pubblico sotteso all’applicazione dell’art. 27 comma 2 D.P.R. 380/0, come possa essere oggetto di tutela l’affidamento ingeneratosi nella ricorrente che, ancora in data presumibilmente prossima al 20032004, in epoca recente e comunque successiva all’apposizione del vincolo paesaggistico introdotto dal P.T.P. di Posillipo, secondo quanto innanzi evidenziato, ha realizzato ulteriori opere abusive.

Ciò anche in considerazione della circostanza che parte ricorrente non ha presentato alcuna istanza di condono (che ove presentata avrebbe comunque comportato la previa acquisizione del parere dell’autorità preposta a tutela del vincolo, ex art. 32 l. 47/85, la quale avrebbe dovuto tener conto anche del vincolo sopravvenuto di cui al P.T.P., secondo l’orientamento giurisprudenziale risalente alla decisione dell’A.P. n. 20 del 1999).

Né la ricorrente avrebbe potuto ottenere in relazione a tali opere, che come detto hanno comportato aumento di volumetria, concessione in sanatoria, ex art. 36 D.P.R. 380/01, stante il divieto di autorizzazione postuma ex art. 146 Dlgs. 42/2004. Ed invero, facendo applicazione dell’orientamento giurisprudenziale di cui al recente arresto del Consiglio di Stato sez. IV n. 5203/2007, che al riguardo ha confermato la sentenza T.A.R. Campania, Napoli -Sez. VI n.8977 del 2006, va ritenuto che la procedura di accertamento di conformità, ora divisata dall’art. 36 del T.U. sull’edilizia di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, è inapplicabile al caso di opere come quella in controversia realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 146 del D. L.vo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali).

Ciò in quanto per le opere comportanti aumento di volumetria l’autorizzazione paesaggistica – la quale ovviamente condiziona l’accertamento – non può essere rilasciata ex post dall’autorità preposta alla tutela del vincolo (così anche Tar Campania, Napoli, sez. IV sentenza 2057 del 20/04/2010).

Deve inoltre considerarsi che le opere de quibus sono state realizzate, come specificato nel gravato provvedimento, su area destinata a belvedere pubblico, tanto è vero che le stesse sono state sottoposte a sequestro preventivo, con decreto del 11 aprile 2009 del G.I.P. di Napoli, stante la configurabilità del fumus boni iuris del reato di cui al combinato disposto degli artt. 633- 639 bis c.p. in capo a Fantini Salvatore, amministratore della società ricorrente, per l’indebita occupazione di suolo comunale.

In tale decreto si evidenzia la circostanza che, come detto, lo stato dei luoghi era stato mutato quanto meno negli anni 2032004, con rinvio al raffronto fra i rilievi aerei acquisiti, considerando altresì irrilevante la corresponsione ad opera di Fantini Salvatore di un canone (rectius indennità di occupazione sine titulo), trattandosi di un importo corrisposto in misura notevolmente inferiore a quella dovuta per aeree di dimensioni così vaste (con rinvio alla giurisprudenza di legittimità in materia di occupazione alloggi I.A.C.P. fra cui Cass. Pen., sez. II, 25/09/2007 n. 37139 in Cass. pen. 2008, p. 20088, m. 872).

Pertanto, anche alla stregua di tali rilievi deve ritenersi in re ipsa la prevalenza dell’interesse pubblico, atteso che le opere di cui è stata contestata l’abusività sono state realizzate su suolo pubblico, sine titulo e per una volumetria maggiore di quella di cui al provvedimento di concessione, senza la presentazione di alcuna domanda finalizzata all’estensione del titolo concessorio, come del pari evidenziato nel decreto di sequestro preventivo.

In considerazione dell’infondatezza delle censure innanzi analizzate deve ritenersi che la censure sollevata con il primo motivo di ricorso, relativa alla violazione dell’art. 7 l. 241/90, non possa trovare accoglimento, in quanto comunque la stessa, anche ove riscontrata non potrebbe condurre all’annullamento dell’atto, ex art. 21 octies comma 2, prima parte, vertendosi in tema di attività vincolata ed essendo emerso, anche all’esito dell’esperita attività istruttoria, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Occorre procedere ora alla disamina del primo ricorso per motivi aggiunti con cui parte ricorrente ha impugnato la nota dirigenziale n. 9116 del 20.07.2009.

Il Collegio ritiene, alla luce di attenta disamina, che tale nota non assuma contenuto provvedimentale, con conseguente inamissibilità del ricorso per difetto di interesse a ricorrere, ma mero contenuto interlocutorio.

Infatti con essa il Dirigente del Servizio Commercio su aree pubbliche non ha rigettato l’istanza di concessione su suolo pubblico presentata dalla ricorrente ma ha ritenuto che la stessa non poteva essere presa in esame allo stato, in considerazione della carenza in capo alla società istante dei requisiti propedeutici all’esercizio dell’azione tendente al rinnovo della concessione, conseguentemente all’irrogazione della sanzione demolitoria di cui al provvedimento gravato con il ricorso principale, rinviando peraltro ogni successiva determinazione.

Ciò si evince dalla parte finale della nota ove è precisato "inoltre si comunica che a breve, i settori interessati – come da verbale del 8/07/2009 in esito al sopralluogo sull’area interessata – sottoporranno a disamina le problematiche in oggetto, fermo restando che, allo stato, le conclusioni cui essi perverranno non potranno comunque prescindere dal dato oggettivo costituito dalla procedura avviata a cura del detto Servizio Antiabusivismo. E’ infine doveroso precisare che, indipendentemente da tale dichiarazione di inamissibilità, ogni eventuale determinazione successiva è condizionata indefettibilmente al possesso di un titolo edilizio, atteso che il Dlgs.42/2004 vieta espressamente l’istituto della sanatoria ex post.".

Pertanto ad una più attenta lettura la nota gravata non assume alcun contenuto provvedimentale, rinviando ogni successiva determinazione, ferma restando la preannunciata declaratoria di inamissibilità dell’istanza. Detta nota si appalesa pertanto più come una comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e comunque una nota a contenuto dilatorio – interlocutorio, che un atto a contenuto provvedimentale.

In ogni caso, anche a ritenere che tale atto assuma contenuto provvedimentale, le censure formulate avverso esso con il primo ricorso per motivi aggiunti non possono trovare accoglimento.

Ed invero parte ricorrente ha proposto, per illegittimità derivata, le medesime censure innanzi analizzate – e considerate infondate- proposte avverso l’ordinanza di demolizione con il ricorso principale ed il secondo ricorso per motivi aggiunti (rectius motivi integrativi).

Ha inoltre censurato in via autonoma tale atto deducendo che:

1)l’irrogazione della sanzione demolitoria non poteva impedire il rilascio della concessione su suolo pubblico, atteso che la concessione era già stata rilasciata con provvedimento n. 830 del 21/04/2006, a firma del dirigente pro tempore (e quindi da sottoporre se del caso ad annullamento);

2) l’abuso che ha originato la vicenda, indipendentemente dal merito, non sarebbe ascrivibile alla ricorrente, che aveva esercitato per oltre venti anni la propria attività commerciale;

3) in realtà l’intera vicenda avrebbe dovuto essere affrontata in sede di conferenza di servizi;

4) il Servizio Commercio su aree pubbliche avrebbe illegittimamente anticipato che ai fini del rilascio della concessione sarebbe stato necessario la previa acquisizione del titolo abilitativo edilizio.

Ed invero la censura sub 2) non è che un ulteriore censura di illegittimità derivata rispetto all’ordinanza di demolizione, non potendo il servizio commercio su aree pubbliche entrare nel merito della vicenda relativa al contestato abuso edilizio, con la conseguenza che la medesima è senz’altro da rigettarsi, trattandosi di censura reiterativa di quanto già dedotto con il ricorso principale e disatteso dal Collegio giudicante.

La prima censura si rileva infondata e va disattesa.

Infatti la nota n. 830 del 21/04/2006 menzionata dalla ricorrente non può essere considerata quale un provvedimento di concessione.

La stessa infatti è mero atto interno fra Uffici, avente mera rilevanza a fini tributari, essendo diretta all’Ufficio COSAP. In essa si evidenzia solamente che "nelle more della predisposizione di nuove concessioni da parte di questo servizio, per quanto riguarda la parte fissa della struttura e da parte del Servizio Polizia Amministrativa della parte relativa ai tavolini, ovvero ad una soluzione alternativa che preveda il rilascio di un’unica concessione per tutto lo spazio occupato, si invita codesto Servizio a voler ritenere ancora valida la concessione permanente rilasciata in data 13/07/1987 dalla Direzione di Polizia Urbana, che ad ogni buon fine si allega in copia".

L’Ufficio Cosap alla stregua di tale nota, determinava il canone dovuto per l’anno corrente, nelle more del rilascio della nuova concessione, come può facilmente evincersi da una lettura dell’atto adottato dal medesimo Ufficio, che tra l’altro, in quanto avente mero rilievo tributario e non adottato dal competente Servizio Commercio su aree pubbliche, non può considerarsi quale atto di concessione.

La concessione su suolo pubblico deve pertanto ritenersi scaduta con il decorso del ventennio dalla concessione del 13/07/1987, con la conseguenza che, non essendovi stato alcun rinnovo della concessione, non doveva essere adottato alcun atto di autotutela di "annullamento" del medesimo atto di rinnovo.

Del pari infondata è la censura sub 3) in quanto, in considerazione della riscontrata inamissibilità allo stato dell’istanza di proroga della concessione, per carenza dei requisiti propedeutici al rilascio della concessione, non poteva essere indetta la conferenza dei servizi prima della definizione del contenzioso relativo al contestato abuso edilizio.

La censura sub 4) si rileva inoltre inammissibile in quanto rivolta avverso una parte della nota che assume senza dubbio mero contenuto dichiarativo.

In essa si rappresenta solamente che ogni determinazione successiva sull’istanza doveva essere adottata previo accertamento della sussistenza, in capo alla ricorrente, di un titolo edilizio, non acquisibile ex post, stante il divieto di sanatoria ex post per gli abusi commessi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ai sensi del D.lgs. 42/04.

Ed invero la constatazione della necessità del possesso di un titolo edilizio in capo alla ricorrente, è stata dedotta a fini dilatori, al fine di rappresentare i motivi che allo stato non potevano portare alla disamina dell’istanza, al fine di rinviare ogni successiva determinazione alla definizione del contenzioso sul contestato abuso.

Per contro alcun rilievo può assumere la notazione menzionata ad colorandum circa l’impossibilità dell’acquisizione in sanatoria del titolo edilizio, non rientrando il rilascio dei titoli edilizi nella competenza del Servizio Commercio aree pubbliche, per cui alcuna lesività può ascriversi a detta osservazione, peraltro corretta nel merito, alla stregua di quanto innanzi evidenziato circa l’impossibilità di acquisizione ex post dell’autorizzazione paesaggistica in relazione ad opere comportanti aumento di volumetria, ex art. 146 dlgs. 42/2004.

In conclusione il ricorso principale e il secondo ricorso per motivi aggiunti – rectius integrativi – vanno rigettati mentre il primo ricorso per motivi aggiunti va dichiarato inammissibile e comunque rigettato.

Sussistono eccezionali motivi, in considerazione delle particolarità delle fattispecie, delle ragioni di diritto e della complessità dell’istruttoria per compensare integralmente le spese di lite.

Le spese della C.T.U. vanno definitivamente poste a carico di parte ricorrente e si liquidano come da dispositivo, in conformità della richiesta del C.T.U. da ritenersi congrua, anche in considerazione delle giustificazioni poste a base della richiesta di proroga, da ritenersi accolta con la presente sentenza.
P.Q.M.

‘P.Q.M.’

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

1) Rigetta il ricorso principale e il secondo ricorso per motivi aggiunti;

2)Dichiara inammissibile e comunque rigetta il primo ricorso per motivi aggiunti;

3) Compensa integralmente le spese di lite fra le parti;

4) Pone le spese di c.t.u. definitivamente a carico di parte ricorrente, liquidandole in complessivi euro 2.009,38 (duemilanove/38), di cui euro 1.893,38 per onorari (corrispondenti a 189 vacazioni oltre i.v.a e contributo integrativo) ed euro 116,00 per spese, condannando parte ricorrente alla relativa corresponsione, detratto quanto eventualmente corrisposto a titolo di anticipo su fondo spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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