T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 04-02-2011, n. 700 Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato in data 24 aprile 2006 e depositato il successivo 18 maggio, l’avv. M.T. ricorreva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale contro il Comune di Avellino avverso la delibera di consiglio comunale n. 18 sub 13 del 23/1/2006, pubblicata all’albo pretorio dal 7/2/2006 al 22/2/2006, con la quale era stato adottato il Piano Urbanistico Comunale del Comune di Avellino, nonchè avverso gli altri atti in epigrafe indicati, chiedendone l’annullamento.

Il ricorrente esponeva di essere comproprietario, insieme a P., C. e F.T., di un fondo sito in località Quattrograne del Comune di Avellino, in pieno centro storico, avente un’estensione complessiva di mq. 47.091, riportato in catasto al foglio n. 43, part. nn. 222, 223, 258, 296, 2867, 2871, 2875, 2876, 2878, 2883, 2885, 2887; che il P.R.G. del Comune di Avellino, approvato con D.P.G.R.C. n. 4750 del 28/5/91, consentiva, nelle zone ove ricadevano le suddette particelle, la ricostruzione dei fabbricati esistenti a parità di volumetria, nonchè la realizzazione di nuove cubature, per un totale di cubatura realizzabile sul suddetto lotto di mc. 111.774; che egli aveva presentato, negli anni 2001/2002, quattro distinte istanze di permesso di costruire, respinte dal Comune di Avellino con provvedimenti impugnati innanzi al Tar Campania, Salerno, con ricorsi ancora pendenti; che, con delibera di giunta comunale n. 518 del 13/10/05, il Comune di Avellino aveva avviato il procedimento di approvazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale concedendo termine per la presentazione di osservazioni da parte dei privati; che in particolare, tutto il lotto di proprietà del ricorrente era rizonizzato, nel nuovo P.U.C., quale "zona di nuovo impianto NI15", con destinazione d’uso "residenza e terziario"; che egli aveva presentato otto osservazioni, che erano state tuttavia esaminate e respinte dal consiglio comunale con la delibera n. 18 sub 13 del 23/1/2006, con la quale era stato contestualmente adottato il Piano Urbanistico Comunale.

Tanto premesso, il ricorrente deduceva l’illegittimità della suddetta delibera e degli altri atti in epigrafe indicati con distinti motivi di ricorso, incentrati sui vizi di violazione di legge, di difetto di motivazione e di eccesso di potere sotto vari profili.

Il Comune di Avellino si costituiva in giudizio in data 20 dicembre 2006, depositando fascicolo contenente atto di costituzione e documenti, contestando genericamente l’ammissibilità, la procedibilità e la fondatezza del ricorso.

2. Con atto contenente motivi aggiunti, notificato in data 27 marzo 2008 e depositato il successivo 4 aprile, l’avv. M.T. ricorreva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale contro il Comune di Avellino e la Provincia di Avellino avverso il decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 1 del 15/1/2008, pubblicato sul BURC n. 4 del 28/1/2008, con il quale era stato definitivamente approvato il PUC di Avellino, nonchè avverso gli altri atti in epigrafe indicati, chiedendone l’annullamento.

Al riguardo, il ricorrente rappresentava che, successivamente alla proposizione del gravame introduttivo, aveva venduto i terreni in questione alla società Irpinia Building, con atto per notaio D’Amore del 21/6/2006, rep. n. 200015, racc. 27779; che il suddetto decreto n. 1 del 15/1/2008, pubblicato sul BURC n. 4 del 28/1/2008, nell’approvare in via definitiva il PUC di Avellino (e tutti gli atti endoprocedimentali, tra cui la delibera del consiglio comunale n. 18/06, di adozione del PUC), non aveva tenuto conto delle osservazioni presentate dal ricorrente ed aveva attribuito una classificazione urbanistica dei suoi fondi estremamente svantaggiosa; che tale decreto era stato autonomamente gravato dalla società Irpinia Building, quale attuale proprietaria delle aree, con ricorso al Tar Campania Napoli; che, tuttavia, era anche suo interesse impugnare l’approvazione definitiva del PUC, in quanto l’eventuale pronuncia di annullamento degli atti gravati avrebbe determinato una diversa classificazione urbanistica di tali fondi, con un aumento di valore degli stessi, e quindi avrebbe radicato il suo diritto ad ottenere il risarcimento dei relativi danni.

Ribadiva quindi i vizi già dedotti con il ricorso introduttivo.

In data 21 settembre 2009, si costituiva in giudizio la Provincia di Avellino, contestando genericamente le avverse deduzioni e rilevando l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del gravame.

In data 15 dicembre 2010, il Comune di Avellino depositava memoria di costituzione in relazione ai motivi aggiunti, con la quale chiedeva in via preliminare il trasferimento della causa alla sezione staccata di Salerno del Tar Campania, sia per ragioni di competenza interna (in quanto la sezione staccata sarebbe competente per le controversie riguardanti il Comune di Avellino), sia per ragioni di opportunità processuale (in quanto innanzi alla sezione staccata sarebbe pendente analogo ricorso promosso dalla nuova proprietaria delle aree in questione, la società Irpinia Building); inoltre, eccepiva il difetto di legittimazione attiva del ricorrente e la intervenuta carenza di interesse in quanto, in base all’atto di acquisto stipulato in data 21 giugno 2006, l’acquirente Irpinia Building sarebbe rimasta titolare esclusiva di tutti gli effetti sostanziali e processuali relativi al presente giudizio (come altresì dimostrato dalla successiva comunicazione formalmente effettuata al Comune dalla suddetta società in data 4 aprile 2007 e dall’autonomo ricorso proposto dalla medesima società avverso gli atti di adozione ed approvazione del nuovo PUC innanzi al Tar Campania, Napoli, successivamente trasferito, a seguito di istanza ex art. 32 L. n. 1034/1971 avanzata dal Comune intimato, alla sezione staccata di Salerno, pendente con il n. 1252/2008 R.G.); inoltre, il ricorrente non avrebbe più alcun interesse anche in relazione alla sopravvenuta circostanza di fatto costituita dall’approvazione, da parte dell’amministrazione comunale, su proposta della medesima società Irpinia Building, del Piano Urbanistico Attuativo, cui aveva fatto seguito il rilascio, in favore della stessa società, di due permessi di costruire e l’inizio dei relativi lavori. Con successiva memoria depositata in data 23 dicembre 2010, il Comune di Avellino ribadiva le argomentazioni preliminari già svolte e contestava altresì specificamente la fondatezza delle censure dedotte dal ricorrente, insistendo per il trasferimento della causa alla sezione staccata di Salerno, per la declaratoria di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso introduttivo e dei relativi motivi aggiunti, e comunque per la loro reiezione nel merito.

Successivamente, il ricorrente depositava consulenza tecnica di parte, memoria di discussione e note di udienza, ribadendo le proprie deduzioni ed opponendosi a quelle di parte avversa.

3. Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011, il ricorso con i relativi motivi aggiungi, su istanza dei procuratori del ricorrente e del Comune di Avellino, veniva introitato in decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, deve essere disattesa la richiesta di trasmissione degli atti alla sezione staccata di Salerno.

Come infatti esattamente dedotto dal ricorrente, la normativa applicabile è costituita, ratione temporis, dall’articolo 32 della legge n. 1034/1971, il cui comma secondo prescrive che la relativa eccezione debba essere effettuata all’atto della costituzione e comunque non oltre 45 giorni dalla notifica del ricorso.

Nella specie, la richiesta (formulata per la prima volta il 15 dicembre 2010) è quindi tardiva sia in relazione al ricorso introduttivo (notificato in data 24 aprile 2006), che ai motivi aggiunti (notificati in data 27 marzo 2008).

Inoltre, è appena il caso di rilevare che il codice del processo amministrativo (applicabile unicamente ai ricorsi notificati dopo il 15 settembre 2010, come stabilito dall’articolo 2 decreto legislativo n. 104/2010 e dall’articolo 2, titolo II, allegato 3, del medesimo decreto), prescrive, per quanto riguarda la competenza interna, un regime analogo rispetto a quello previgente, escludendo qualsiasi possibilità di rilievo d’ufficio (riservata dall’articolo 16 alle sole ipotesi di incompetenza territoriale e funzionale di cui agli articoli 13 e14) e prevedendo, all’articolo 47, comma secondo, che l’eccezione concernente la ripartizione delle controversie tra la sede del TAR e la sezione staccata deve essere formulata dalla parte intimata nell’atto di costituzione o comunque con atto depositato non oltre 30 giorni dalla scadenza del termine di 60 giorni dal perfezionamento dei propri confronti della notificazione del ricorso.

Per cui, anche in applicazione delle nuove disposizioni, l’eccezione sarebbe comunque tardiva.

2. Non sussiste, tuttavia, il paventato rischio di un possibile contrasto di decisioni sulla medesima questione (che avrebbe consigliato, secondo la difesa del Comune di Avellino, il trasferimento della causa alla sezione staccata di Salerno), in quanto il presente gravame, a seguito dell’alienazione dei beni oggetto della nuova classificazione operata dagli impugnati strumenti urbanistici, non può essere deciso nel merito.

Il ricorso introduttivo del giudizio è infatti divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, mentre i relativi motivi aggiunti sono inammissibili per carenza iniziale di legittimazione attiva e di interesse.

3. È infatti vero (come dedotto dal ricorrente) che, ai sensi dell’articolo 111 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 31 marzo 2010, n. 1842), in caso di compimento, nella pendenza del giudizio, di atti di disposizione della posizione giuridica controversa ovvero del diritto che costituisce la posizione giuridica legittimante dell’interesse legittimo dedotto in giudizio, il processo continua tra le parti originarie, salva la facoltà dell’avente causa di intervenire nel processo medesimo (cfr. Cass, sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22424, secondo cui "la cessione di credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso d’intervento di quest’ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti").

Ma è altrettanto vero che, ai sensi dell’articolo 100 c.p.c., parimenti applicabile al processo amministrativo (cfr. C.d.S., sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2565), per proporre e proseguire una domanda occorre che la parte vi abbia specifico interesse.

Come chiarito dalla dottrina processualcivilistica, "l’interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l’applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto" (cfr., altresì, Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98).

L’interesse ad agire presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale.

In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è inammissibile.

Sarebbe infatti del tutto inutile, ai fini giuridici, prendere in esame una domanda giudiziale se nella fattispecie prospettata non si rinvenga affermata una lesione della posizione giuridica vantata nei confronti della controparte, ovvero se il provvedimento chiesto al giudice sia inadeguato o inidoneo a rimuovere la lesione.

Come già affermato da questo Tribunale (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 05 agosto 2005, n. 10641; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 19 maggio 2010, n. 7147), nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato.

Anche nel sistema giurisdizionale amministrativo, infatti, sarebbe del tutto inutile eliminare un provvedimento o modificarlo nel senso richiesto dal ricorrente, se questi non possa trarne alcun beneficio concreto in relazione alla sua posizione legittimante.

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso, occorre pertanto, che sussista piena corrispondenza tra interesse sostanziale dedotto in giudizio, lesione prospettata e provvedimento richiesto.

A contrario, il ricorso è inammissibile per carenza (iniziale) di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente, che ne "legittima" l’instaurazione del giudizio (cfr., altresì, C.d.S., Sez. VI, 3 settembre 2009, n. 5191).

Inoltre l’interesse al ricorso, in quanto condizione dell’azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. V, 14 novembre 2006, n. 6689).

Nella fattispecie in esame, a seguito dell’alienazione intervenuta in corso di causa, non sussiste più alcun interesse del ricorrente alla decisione del gravame, in quanto l’eventuale annullamento degli atti impugnati non sarebbe comunque in grado di arrecargli alcun vantaggio concreto.

Il ricorrente, infatti, in ipotesi di accoglimento del ricorso, non potrebbe ottenere ulteriori somme sul prezzo di vendita già pattuito e corrisposto, dal momento che il relativo atto di compravendita non contiene alcuna clausola di riserva in tal senso.

La riclassificazione delle aree in questione con indici di volumetria maggiori (eventualmente derivante dall’accoglimento del ricorso, in sede di riesercizio del potere amministrativo di pianificazione urbanistica) non sarebbe idonea ad ampliare la sfera giuridica del ricorrente, in quanto il prezzo di vendita delle stesse è ormai definitivamente determinato e cristallizzato, e non suscettibile di ulteriori variazioni.

Non solo, ma come giustamente evidenziato dal Comune di Avellino, le parti hanno espressamente convenuto nell’atto di vendita che solo alcuni giudizi (quelli nascenti da procedure espropriative in corso, pendenti innanzi alla Corte di Appello di Napoli ed al Tribunale di Avellino), sarebbero rimasti di esclusiva competenza dei venditori, ma non hanno previsto nulla per la presente causa.

Anche se tale previsione è inidonea a configurare, in relazione al ricorso introduttivo, una sopravvenuta carenza di legittimazione attiva del ricorrente (in quanto, ai sensi dell’articolo 111 citato, il processo continua nei confronti delle parti originarie fino a quando l’alienante non chieda di esserne estromesso e la controparte e l’acquirente intervenuto in giudizio lo consentano), è tuttavia sufficiente a determinarne la sopravvenuta carenza di interesse, in quanto dimostra ed esprime la reale intenzione delle parti di sottrarre gli esiti (economici) dei giudizi ivi non espressamente contemplati (tra cui, per l’appunto, quello in esame) alla disponibilità dei venditori.

Né il permanere dell’interesse del ricorrente può essere individuato in un eventuale diritto al risarcimento dei danni per avere venduto dei beni ad un prezzo inferiore rispetto a quello che sarebbe stato determinato in conseguenza di una diversa classificazione urbanistica degli stessi.

Non solo, infatti, tale domanda è stata genericamente formulata con il ricorso introduttivo ed è del tutto sfornita di prova (per cui, anche in ipotesi di accoglimento del gravame, sarebbe stata comunque evidentemente respinta).

Ma, in ogni caso, in applicazione dell’articolo 1227 c.c. (ed ora, specificamente, ai sensi dell’articolo 30, comma terzo, ultima parte, c.p.a.), è escluso il risarcimento dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

Le disposizioni in esame, onerando il creditoredanneggiato del compimento di attività di tutela della propria posizione, mirano ad evitare che si costituiscano "rendite di posizione" nei confronti del pubblico potere (ad esempio, rimanendo inerti, al fine di ottenere un risarcimento più elevato).

Il ricorrente deve imputare a sè stesso il fatto di aver venduto i beni oggetto di gravame prima della definizione del presente giudizio (e quindi di essere rimasto inerte rispetto al gravame, in quanto solo vendendoli dopo la sua definizione, in caso di accoglimento del ricorso, avrebbe potuto forse conseguire un prezzo maggiore) e di non avere previsto nel contratto una clausola di salvaguardia della sua posizione per l’eventualità dell’accoglimento del ricorso (perché solo in tal caso avrebbe potuto ottenere dalla società acquirente un prezzo maggiore).

In conclusione, il ricorso introduttivo del presente giudizio deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

4. I motivi aggiunti, in quanto proposti successivamente all’alienazione dei beni oggetto degli impugnati provvedimenti, sono invece inammissibili per carenza iniziale di legittimazione attiva e di interesse.

Il ricorrente, alla data di approvazione del PUC, non era più proprietario delle aree asseritamente incise dal decreto del Presidente della Provincia e quindi non era titolare di alcuna posizione che lo legittimava ad impugnarlo.

A fortiori, alla luce delle considerazioni più sopra svolte sub 3), non sussisteva (e non sussiste) alcun suo interesse all’annullamento di tali atti.

5. Data la natura della controversia, sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), dichiara improcedibile il ricorso introduttivo del presente giudizio e dichiara inammissibili i relativi motivi aggiunti.

Compensa integralmente tra le parti le spese, le competenze e gli onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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