Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 09-02-2011, n. 4679

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 16 luglio 2010, il Tribunale di Napoli ha respinto la istanza di riesame avanzata nell’interesse di B.F. avverso l’ordinanza emessa il 22 giugno 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata disposta nei confronti del predetto, la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di tentata estorsione aggravata, violazione della L. n. 356 del 1992, art. 12-quinquies e vari episodi di estorsione aggravata. Accogliendo, invece, la domanda di riesame avanzata da B.G. avverso il medesimo provvedimento custodiale disposto per concorso in vari episodi di estorsione aggravata, il medesimo Tribunale ha disposto, con l’indicata ordinanza, l’annullamento del provvedimento restrittivo.

Avverso le decisioni del giudice del riesame innanzi indicate, hanno proposto ricorso per cassazione, rispettivamente, il difensore di B.F. ed il pubblico ministero.

Nel ricorso proposto nell’interesse di B.F., si deduce, nel primo motivo, che erroneamente i giudici del riesame avrebbero fondato l’assunto relativo alla "caratura camorristica" dell’indagato sulla erronea indicazione del B. come assoggettato ad una misura cautelare quale partecipe del "clan dei casalesi", giacchè, in realtà, la misura si riferiva ad omonimo, con altra data di nascita. Si lamenta, poi, che l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 risulterebbe a sua volta fondata sulla percezione soggettiva delle persone offese, anzichè su elementi di natura oggettiva, radicati sulla condotta criminosa, sottolineandosi, in proposito, come l’errore di identificazione – già segnalato -avrebbe giocato un suo ruolo anche a questi effetti.

Per altro verso, si evidenzia come le persone offese, alla luce delle loro dichiarazioni e del loro comportamento, non fossero per nulla in una situazione di assoggettamento rispetto all’indagato, nè risulta che in tale stato versassero i dipendenti dell’albergo, semmai preoccupati di perdere il posto di lavoro. Nel corso della udienza camerale, la difesa dell’imputato ha depositato note nelle quali ha ulteriormente ribadito e sviluppato le doglianze poste a fondamento del ricorso.

Il pubblico ministero, a sua volta, censura carenza ed illogicità della motivazione con cui frettolosamente ed apoditticamente il Tribunale della libertà avrebbe ritenuto non provato il dolo di B.G. nel porre in essere le condotte materiali al medesimo ascritte, avuto riguardo, in particolare, alle plurime dichiarazioni ed al tenore delle conversazioni registrate, che, al contrario, denoterebbero il consapevole e volontario contributo offerto dall’indagato nel realizzare le varie estorsioni a carico di dipendenti dell’albergo.

Le doglianze poste a fondamento del ricorso proposto nell’interesse di B.F. sono palesemente destituite di fondamento giuridico. A proposito, infatti, del presunto errore per omonimia relativo alla partecipazione al cosiddetto clan dei casalesi, il dato si presenta del tutto inconferente agli effetti dell’odierno scrutinio, giacchè il nucleo della motivazione sviluppata dai giudici a quibus per inquadrare nell’ambito dello schema mafioso la condotta sopraffattrice sviluppata dall’indagato nella vicenda relativa alla "gestione" dell’esercizio alberghiero, fa leva, essenzialmente, sulle modalità secondo le quali la condotta stessa si è realizzata e sulla circostanza, ben nota a tutti i protagonisti della vicenda, dei precedenti dell’indagato, già condannato per partecipazione ad una associazione di stampo camorristico, e della ulteriore, assorbente considerazione rappresentata dal fatto che l’albergo, oggetto delle attenzioni del B., aveva formato oggetto proprio di confisca antimafia. Quanto, poi, all’assoggettamento delle persone vittime della condotta sopraffattrice posta in essere dall’indagato, i giudici del riesame hanno fornito adeguata contezza dei meccanismi di coazione, attraverso i riferimenti alle dichiarazioni rese da costoro, ricomponendo il quadro generale della composita vicenda in termini di coerente, e dunque in questa sede incensurabile, percorso argomentativo. In merito, poi, alla prospettata assenza di elementi atti a denotare lo status di assoggettamento delle persone offese,basta rammentare il contenuto delle dichiarazioni di accusa riprodotte nel provvedimento impugnato per dar ragione al diverso approdo cui sono pervenuti i giudici del riesame, restando peraltro confinato all’interno dello specifico sindacato di merito l’apprezzamento relativo a diverse ricostruzioni dei fatti, allo stato più che adeguatamente scandagliati in sede di impugnazione de libertate.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

E’ invece fondato il ricorso proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento con il quale è stata annullata l’ordinanza cautelare emessa nei confronti di B.G.. I giudici del riesame si sono infatti limitati a prospettare possibili letture alternative della condotta posta in essere dall’indagato, senza alcun aggancio agli elementi probatori, pur diffusamente e testualmente riprodotti, sin troppo eloquenti nel senso della ben più che plausibile consapevolezza dell’illecito realizzato dal padre ed al quale contribuiva in termini assai incisivi, e tali da escludere qualsiasi equivocità interpretativa. In questo caso, infatti, le dichiarazioni rese dalle parti offese sono state superficialmente apprezzate, con lettura del tutto parcellizzata ed atomistica, e con approdi logico argomentativi privi di reale consistenza, sino a giungere ad una conclusione dubitativa in punto di elemento soggettivo fondata su un assunto del tutto apodittico. L’ordinanza deve essere pertanto annullata sul punto, con rinvio per nuovo esame che adeguatamente giustifichi la interpretazione delle varie dichiarazioni, pur concordi nell’evidenziare un comportamento di univoco significato, ed in ordine al quale si è immotivatamente formulato il "dubbio" che l’indagato, "sebbene al corrente delle pressioni a monte esercitate dal padre, non avesse inteso affatto aderirvi".
P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza nei confronti di B.G. e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.F. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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