Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-03-2011, n. 6176 Aggravamento delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dep. 9 febbraio 2001 il Tribunale di Varese accoglieva la domanda con cui M.A. ved. Am. aveva chiesto la condanna di M.C. ad eliminare l’accesso dalla recinzione della sua proprietà all’area di passaggio esclusivo oggetto del diritto di servitù di cui essa attrice godeva sul fondo della convenuta. Con sentenza dep. il 18 gennaio 2005 la Corte di appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta dalla convenuta.

I giudici di appello confermavano la decisione di primo grado secondo cui a seguito del verbale di conciliazione, poi riprodotto nell’atto pubblico, con cui le parti avevano definito una lite possessoria, fra i germani M.E., padre e dante causa della convenuta, e l’attrice era stato concluso un contratto con il quale a favore di M.A. era stato costituito un diritto di servitù di passaggio sul confinante fondo: secondo la previsione delle parti, quale risultava anche dal disegno dei luoghi allegato al verbale di conciliazione e sottoscritto dalle parti, nonchè dalla planimetria allegata al rogito, la porzione asservita doveva essere destinata all’esclusivo esercizio del diritto di servitù da parte del proprietario del fondo dominante e doveva essere inaccessibile dal fondo servente, atteso che l’area in questione era separata dal resto della proprietà di M.E. con una doppia e ininterrotta linea senza aperture ; il che aveva trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal teste B. che aveva redatto il disegno allegato al allegato al verbale di conciliazione. Nè tali risultanze erano contraddette da quanto emerso dall’atto pubblico, in cui si faceva riferimento all’impegno di costruire una cancellata in ferro, lungo la linea dividente, come esistente, non potendo da tale dizione estremamente generica dedursi – come preteso dalla convenuta – che siccome preesisteva un cancelletto, questo avrebbe dovuto essere reinstallato, essendo verosimile che le parti, dovendo procedere a una radicale trasformazione dei luoghi, avessero inteso ritenere che fosse da ripristinare la inferriata, senza nulla dire sul fatto che fosse o meno apribile con un cancello di accesso. La sentenza impugnata ribadiva le motivazioni del Tribunale, alla stregua del progetto allegato al verbale di conciliazione, dell’impegno assunto da M.E. di erigere la cancellata, come esistente e della difformità fra l’impegno assunto e quanto eseguito a seguito di autorizzazione per spostamento di accesso pedonale. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione M.C. sulla base di un unico articolato motivo. Resiste con controricorso l’intimata.
Motivi della decisione

Con l’unico articolato motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1027 c.c. e dell’art. 1362 c.c., comma 2, nonchè omessa motivazione, denuncia l’erronea interpretazione compiuta dai Giudici del verbale di conciliazione del 24 marzo 1994 e dell’atto pubblico del 25 giugno 1994 costitutivo della servitù di passo, deducendo:

A) la decisione gravata aveva pedissequamente confermato la non condivisibile interpretazione data dal Tribunale dei predetti atti tenuto conto che il verbale di conciliazione nulla diceva sui termini e le modalità di esecuzione delle modifiche all’attuale ingresso pedonale dell’abitazione di M.E. che invece erano determinati nel rogito notarile che, dunque non si limitava a riprodurre il verbale: in effetti, dalla lettura dell’atto notarile non poteva desumersi l’intenzione delle parti di costituire il diritto di passaggio esclusivo e che la relativa porzione fosse inaccessibile al proprietario del fondo servente o che questi avesse inteso rinunciare al diritto di servirsi dell’accesso preesistente e sempre da lui utilizzato;

B) la sentenza, nel dare rilevanza alla planimetria e al disegno allegati ai surrichiamati atti, aveva omesso di analizzare l’attività preparatoria e di consulenza del notaio che aveva il compito di sondare l’esatta volontà delle parti, che mai avevano fatto riferimento all’esclusività della servitù; non aveva considerato, nell’interpretazione del contratto, il comportamento complessivo tenuto dalle parti e ,in particolare, la lettera del 28/3/1992 con cui controparte aveva accettato la clausola di cui al punto 6 della perizia dell’arch. B.;

C) l’errata e illegittima interpretazione di documenti nonchè motivazione contraddittoria, relativamente all’impegno di M. E. di erigere la nuova cancellata in ferro, come esistente, quando era un dato di fatto inequivocabile e incontestabile la preesistenza del cancelletto così come non era condivisibile quanto affermato dal Tribunale sulla esistenza o meno di un cancello apribile, dovendo assumere rilievo il significato logico – letterale dell’espressione "come esistente", mentre era inconferente la distinzione accademica cancellata-inferriata e marginale il rilievo da attribuire all’affermazione circa la difformità fra l’impegno assunto e quanto eseguito;

D) omessa carente e illegittima motivazione e interpretazione di norme di diritto, laddove la sentenza non aveva esaminato le argomentazioni formulate dall’attuale ricorrente in merito all’impegno assunto da M.E. a spostare l’accesso pedonale e conseguentemente di erigere una nuova cancellata in ferro, come esistente, lungo la nuova dividente, tenuto conto che, nel caso di spostamento del luogo di esercizio, il diritto di servitù non è estinto ma si trasforma nella stessa fisionomia e identica situazione in cui si trovava prima del cambiamento; pertanto, la questione andava esaminata sotto il profilo dell’aggravamento o della diminuzione dell’esercizio ex art. 1067 cod. civ. alla stregua dei principi elaborati al riguardo dalla Suprema Corte: M. E. si era limitato esercitare le facoltà di godimento del suo fondo servente senza compiere alcuna innovazione.

E) le prove testimoniali avevano confermato l’originario stato dei luoghi, mentre, d’altra parte, la rinuncia o l’estinzione del diritto di servitù non può essere provato per testi. Il motivo va disatteso.

I Giudici, nel ricercare la comune intenzione delle parti manifestata dalle parti, hanno determinato il contenuto della servitù costituita convenzionalmente, interpretando la volontà dichiarata dalle parti a stregua del complessivo e comparativo esame del verbale di conciliazione con allegato disegno, del rogito notarile e allegata planimetria nonchè delle dichiarazioni del teste B. il quale aveva redatto il disegno allegato al verbale di conciliazione sulla base delle indicazioni concordi delle parti. Queste ultime, secondo la sentenza impugnata, avevano inteso costituire un diritto di servitù esclusiva a favore dell’attrice, impedendo che alla stessa potesse accedervi anche il dante causa della convenuta e proprietario del fondo servente. Nel ritenere che il verbale di conciliazione conteneva i termini dell’accordo che poi sarebbe stato riprodotto nel rogito notarile, i Giudici hanno correttamente dato rilevanza al disegno allegato al predetto verbale di cui era evidentemente parte integrante: in esso la zona asservita era separata dalla restante proprietà di M.E. con tre linee parallele e continue che rappresentavano una recinzione continua ed ininterrotta; tale situazione era quindi rappresentata anche nella planimetria allegata al rogito, in cui non solo non erano indicate aperture di sorta ma, proprio allo scopo di segnalarne la separazione, le zone erano individuate con colori diversi; d’altra parte, che tale fosse l’intenzione delle parti era confermato da quanto riferito dal teste B. che – come si è detto – aveva redatto il disegno allegato in conformità della volontà manifestata dai contraenti.

Correttamente la sentenza, nell’interpretare la volontà alla stregua del titolo costitutivo, ha tenuto conto anche del disegno che, allegato e sottoscritto dalle parti, costituiva – come si è detto – parte integrante del verbale di conciliazione e della planimetria allegata al rogito.

Ciò posto, va osservato innanzitutto che il ricorso difetta di autosufficienza giacchè, censurando l’interpretazione degli atti negoziali esaminati dalla sentenza impugnata, non ne trascrive il testo integrale, così come – per quel che concerne il comportamento complessivo tenuto dalle parti – non riproduce quello della lettera del 28-3-1992, con cui sarebbe stata accettata la clausola indicata nella perizia B. che avrebbe previsto l’accesso da parte dei proprietario del fondo servente. Immune da vizi logici e giuridici è poi l’interpretazione data dai Giudici relativamente al significato attribuito all’espressione usata a proposito dell’impegno assunto di eseguire l’inferriata, come esistente. Orbene, va ricordato che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione che, come si è detto, nella specie non sussiste, o per violazione delle regole ermeneutiche, che non è stata neppure specificamente dedotta, atteso che la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice che – come nella specie – si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di un testo contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

La questione circa l’aggravamento o meno della servitù ovvero che il M.E. non aveva compiuto una innovazione vietata era evidentemente superata dalla ricostruzione della volontà pattizia, avendo la sentenza – come si è detto – ritenuto che le parti avessero inteso costituire ex novo un diritto di servitù di passo esclusivo alla stregua dell’interpretazione degli atti di cui si è detto, non assumendo perciò alcun rilievo le circostanze emerse dalle prove testimoniali.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

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