T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 04-02-2011, n. 1093 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Roma in data 7 maggio 2010 e depositato il successivo 21 maggio, parte ricorrente impugna la determinazione dirigenziale in epigrafe indicata con la quale il Comune le ha ingiunto la demolizione di:

"edificio di mq. 200,00 x 3,50 di H;

edificio di mt. 18,50 x 5,30 x H mt. 2,80

edificio di mt. 21 x mt. 4,30 x H mt. 2,80", in assenza di permesso a costruire.

Avverso la detta determinazione la società interessata deduce:

– Nullità per erronea indicazione delle presunte opere abusive.

– Nullità per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto.

Conclude chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio, rassegnando conclusioni opposte a quelle della società ricorrente.

Alla Camera di consiglio del 17 giugno 2010 sono stati disposti incombenti istruttori, che sono stati reiterati in data 21 ottobre 2010.

Risultando, infine, eseguiti, il ricorso è stato trattenuto per la decisione in forma semplificata alla Camera di consiglio del 3 febbraio 2011 avvertitene sul punto le parti.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso la società interessata, destinataria del provvedimento autorizzatorio alla implementazione degli impianti sportivi in vista dei campionati di nuoto "Roma 2009" adottato con decreto del Commissario delegato in data 27 marzo 2009, n. 5140/RM2009, impugna la determinazione dirigenziale con la quale il Comune di Roma le ha ingiunto la demolizione di tre dei quattro manufatti, la cui implementazione è stata richiesta ed asseritamente autorizzata dal detto Commissario delegato.

2. Premesso con la prima doglianza che la determinazione gravata sarebbe in ogni caso nulla perché non individua esattamente l’area sulla quale le opere insisterebbero laddove l’impianto sportivo di cui essa è conduttrice è situato nella particella n. 2158 del foglio 415 mentre il provvedimento impugnato reca come numero di particella la n. 2159, in fatto l’interessata rappresenta che, a seguito dell’ Ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri n. 3489 del 29 dicembre 2005 per lo svolgimento dei mondiali di nuoto "Roma 2009" presentava una istanza di partecipazione alla selezione delle proposte di implementazione delle strutture sportive preesistenti ed il Commissario delegato emetteva il provvedimento n. 5140/RM2009 con il quale la autorizzava a tale implementazione.

La società ricorrente, quindi, chiedeva tutti i pareri di rito ed a conclusione dei lavori di implementazione in data 6 giugno 2009 comunicava l’asservimento dell’impianto alle esigenze funzionali per lo svolgimento dei Mondiali di Nuoto.

Successivamente con comunicazione dell’11 gennaio 2010, visti gli atti di sequestro preventivo emanati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nei confronti delle opere e degli impianti realizzati per lo svolgimento dei predetti Mondiali in quanto ritenuti privi di titolo perché realizzati sulla base del provvedimento di autorizzazione del Commissario delegato e non dell’Ente preposto alla gestione del territorio, la ricorrente si informava sulla possibilità di regolarizzare le opere e quindi presentava una istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Lamenta dunque che la determinazione sarebbe del tutto nulla perché colpisce opere che in realtà sarebbero state autorizzate con provvedimento del Commissario delegato della P.d.C. n. 5140 del 27 marzo 2009.

Rappresenta ancora che la speciale procedura per la implementazione degli impianti sportivi aveva consentito altresì che l’Assessore all’urbanistica del Comune di Roma, da questo autorizzato con deliberazione n. 85 del 21 maggio 2007, esprimesse parere favorevole alle eventuali modifiche o integrazioni dei progetti, secondo i criteri nell’autorizzazione riportati, con collaudo finale a cura della FIN – come intervenuto – e con la espressa previsione che la società si obbligasse al mantenimento in uso permanente delle strutture per attività sportive anche di società dilettantistiche.

Il quadro procedurale al quale far riferimento è, dunque, sempre costituito dal provvedimento autorizzatorio del Commissario delegato che deve considerarsi a tutti gli effetti equipollente al permesso a costruire del Comune di Roma, proprio perché asseverato dall’Ordinanza della P.d.C.M. n. 3489 del 2005, provvedimento autorizzatorio al cui art. 2 è recato, a sua volta il riferimento all’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 e laddove risulta, infine, che lo stesso decreto n. 5140 del 27 marzo 2009 "sostituisce – a mente della menzionata norma – ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso, comunque denominato di competenza delle amministrazioni ed enti partecipanti ovvero invitati a partecipare alla conferenza, sempre in relazione alla conformità urbanistica delle opere".

Insiste comunque sulla domanda di accertamento di conformità dalla quale risulterebbero tutte le opere che hanno costituito implementazione degli impianti sportivi, siccome autorizzata dal Commissario straordinario.

3. Premesso che tutta la vicenda trae scaturigine dalla nota in data 16 giugno 2009 con la quale la Procura della Repubblica di Roma chiedeva adempimenti in merito ai lavori edili realizzati dalla società ricorrente, laddove le opere risulterebbero già utilizzabili alla data del 6 giugno 2009, quando la Federazione Italiana Nuoto ha disposto, con nota n. 6407 del 6 giugno 2009 il calendario di utilizzazione delle strutture stesse a decorrere dal 18 giugno successivo, le doglianze prospettate dalla ricorrente non appaiono condivisibili, soprattutto la seconda, laddove sostanzialmente si rappresenterebbe una sorta di conflitto di competenza tra Commissario delegato per i campionati mondiali di nuoto "Roma 2009" il cui decreto di autorizzazione del 27 marzo 2009 terrebbe luogo di ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso delle Amministrazione invitate alla Conferenza di servizi prodromica, ai sensi dell’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 e l’Amministrazione comunale che, invece, con la determinazione dirigenziale impugnata ha rilevato l’assenza di permesso a costruire delle opere realizzate. Tale conflitto, che in sostanza determinerebbe una erroneità nei presupposti di diritto della determinazione gravata, in ogni caso, sarebbe superato, secondo le prospettazioni della ricorrente dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Sgomberando il campo da tale ultimo profilo, va rilevato che, in ogni caso la censura non può essere condivisa, come rilevato in più occasioni dal TAR, che ha posto in rilievo come "il procedimento di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha finalità e modalità diverse da quello di condono ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, (cfr. TAR Lazio, sezione I quater, 22 dicembre 2010, n. 38207) sicchè non può trarsi per esso la medesima necessitata conclusione della sospensione del procedimento sanzionatorio, come sarebbe sotteso al ricorso. In particolare il TAR campano osserva che "i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (il condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale), l’altro (sanatoria ex art. 13, l. n. 47 del 1985, oggi art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001), l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale)." (TAR Campania, Napoli, sezione VI, 3 settembre 2010, n. 17282).

Ciò premesso non appare neppure condivisibile che l’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 facoltizzi gli interessati a fare a meno senz’altro del permesso a costruire per le opere portate in Conferenza di servizi, atteso che neppure il tenore letterale del decreto del Commissario delegato in data 27 marzo 2009 lo consente, dal momento che testualmente esso reca: "Il presente decreto conforme alla determinazione conclusiva della Conferenza di Servizi, secondo quanto stabilito dall’art. 14 ter della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge 24 novembre 2000, n. 340. sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso, comunque denominato, di competenza delle amministrazioni ed enti partecipanti ovvero invitati a partecipare alla conferenza, sempre in relazione alla conformità urbanistica delle opere", con la conseguenza che l’espressione da ultimo citata impedisce che l’assenso conseguito nella Conferenza di servizi possa tenere luogo anche delle valutazioni di conformità urbanistica che devono essere svolte dal Comune.

Nella occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990 la analoga vicenda procedurale ora sottoposta al vaglio del giudicante è stata risolta con linea giurisprudenziale che è condivisa dal Collegio; e cioè la circostanza che vi sia stata la Conferenza di servizi che ha individuato i soggetti ai quali affidare la implementazione degli impianti sportivi non consente di ritenere che sia bypassabile l’allora esistente concessione edilizia, rilasciata dal Comune (Tribunale di Roma, 14 dicembre 2002). Analogamente opinando neppure l’attuale stesura dell’art. 14 ter, comma 9 della legge n. 241 del 1990 nella versione dettata dalla legge 24 novembre 2000, n. 340, cui fa riferimento il provvedimento autorizzatorio del Commissario delegato, consente di trarne la conseguenza auspicata dal ricorrente, di tal che appare svuotato di significato pure il conflitto di competenze delineato in ricorso, con relativa reiezione della censura in ogni suo aspetto.

Quanto alla prima doglianza lamentata occorre rilevare che l’istruttoria effettuata dal Tribunale ha posto in evidenza e chiarito come in realtà non vi sia alcuna confusione tra le opere di cui è erroneamente indicata la particella nel provvedimento impugnato e quelle progettate, né peraltro tra quelle progettate e quelle dedotte nella domanda di accertamento di conformità. In particolare la determinazione a demolire attualmente gravata riguardava tre delle opere progettate e che nel progetto originario consistevano in "spogliatoio per bambini", "ampliamento ristorante", "sala fitness per atleti" e "parcheggio pubblico di 2800 mq." con rinuncia alla "reception" per mancanza dei tempi necessari al completamento (produzione della ricorrente in data 6 agosto 2010 all. 1), laddove, invece, nella determinazione sono appunto colpiti i primi tre edifici, subentrando soltanto successivamente la demolizione della "reception" con provvedimento n. 843 del 17 maggio 2010, al momento non gravato, "reception", poi realizzata, invece, al posto del parcheggio, per come risulta dalla pianta acclusa all’accertamento di conformità (all. 8 al ricorso principale).

4. Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società R.S.V. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento di Euro 1000,0 a favore del Comune di Roma.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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