Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-03-2011, n. 6175 Rovina e difetti dell’immobile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.= L.I. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bolzano la Sudhochbau s.r.l. e premesso che esso istante con contratto dell’8 novembre 1999 aveva acquistato dalla società convenuta, costruttrice del fabbricato sito in (OMISSIS), un appartamento sito all’ultimo piano, che per un difetto di costruzione riguardante soprattutto gli infissi e le loro rifiniture, si erano verificati e continuavano a verificarsi infiltrazioni di acqua in alcune stanze dell’appartamento, principalmente nelle camere da letto, che esso attore subito dopo essersi accorto di tali difetti li aveva denunciati alla venditrice costruttrice con lettera raccomandata spedita il 28 marzo 2000, che i lamentati vizi costituivano gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., tutto ciò premesso chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni esposti in complessive L. 15 milioni 140 mila di cui cinque milioni per danni morali e la restante parte per l’eliminazione dei vizi. Si costituiva la Sudhochbau s.r.l., la quale negava di aver costruito l’edificio in cui era ubicato l’appartamento venduto all’attore e chiedeva il rigetto di ogni avversaria domanda.

Il Tribunale di Bolzano con sentenza n. 226/2003, ritenuta l’infondatezza delle domande attrici in quanto la pretesa risarcitoria ex art. 1669 cod. civ. doveva essere fatta valere nei confronti del costruttore dell’immobile che, nel caso di specie, era la società Betonbau s.r.l. su incarico della Weltbau s.r.l., alla quale era subentrata la convenuta ed in quanto i vizi accertati non potevano comunque qualificarsi come gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., respingeva la domanda proposta dall’attore.

B.= Proponeva appello L.I., il quale chiedeva, in riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni indicati nell’importo di Euro 123.000,00 oltre gli accessori e la rifusione delle spese. Si costituiva in giudizio la società appellata, la quale contestava la fondatezza dell’appello chiedendone il rigetto con vittoria di spese. La Corte di Appello di Trento (sez. staccata di Bolzano), accoglieva la domanda di L.I. e in riforma dell’impugnata sentenza condannava la Bolzano la Sudhochbau s.r.l., a risarcire all’appellante ex art. 1669 c.c. i danni subiti per effetto dei denunziati gravi difetti di costruzione liquidati in Euro 6.975,88.

C.= Per la cassazione di tale sentenza 133/2004 della Corte di Appello di Trento, sez. staccata di Bolzano, ricorre LIV SRL. in liquidazione (Già Weltbau srl. e già Sudhochbau s.r.l., in persona del liquidatore nonchè legale rappresentante geom. T. A. con ricorso notificato il 21 settembre 2005 in sostituzione del ricorso presentato da Sudhochbau s.r.l. (già Weltbau srl) in persona del legale rappresentante geom. T.A., notificato il 13 giugno 2005. Resiste L.I. con controricorso in risposta al primo ricorso, notificato il 22 luglio 2005 e con controricorso, in risposta al ricorso in sostituzione, notificato il 4 novembre 2005.
Motivi della decisione

1.= In via preliminare va ammesso il primo ricorso presentato da Sudhochbau s.r.l. (già Weltbau srl.), va invece dichiarato inammissibile, il secondo ricorso, perchè consumato il potere di impugnazione validamente esercitato con il primo ricorso.

1.2.= L.I., in via preliminare, solleva eccezione di non procedibilità ed inammissibilità: mancanza di legittimazione ad causam, di interesse legittimo e di interesse a ricorrere.

Controparte – ritiene L., che una società con denominazione Sudhochbau s.r.l. non esiste più. Il geom. T.A. non è legale rappresentante di una società Sudhochbau s.r.l. Esiste invece continua L. – attualmente, una società LIV srl. sempre di (OMISSIS) che fino al 17 luglio 2001 portava il nome di Sudhochbau s.r.l. Con il secondo controricorso, L. ripropone la stessa eccezione preliminare e questa volta per la considerazione principale che la richiesta sostituzione del ricorso sub n. RG 15990/05 Cass. civ., è un non senso.

1.3.= l’eccezione sollevata è infondata ed essa non può essere accolta.

1.3.a.= Ai sensi dell’art. 2498 cod. civ., e, come questo Supremo Collegio ha avuto modo di precisare in più occasioni- la trasformazione di una società – da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorchè connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto; essa comporta, in particolare, soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali facenti capo alla originaria organizzazione societaria;

pertanto, la circostanza che nell’atto introduttivo dell’impugnazione sia stata indicata come parte istante la società anteriore alla trasformazione è ininfluente, purchè non induca incertezza sull’identificazione della parte impugnante e l’impugnazione sia stata proposta da procuratore dotato di ius postulandi per averne avuto il relativo potere dal legale rappresentante all’epoca abilitato a rilasciare la procura in nome e per conto della società (Cass. 10 febbraio 2009, n. 3269; 14 dicembre 2006 n. 26826). Questo principio è a maggior ragione applicabile al caso in esame considerato che nell’ipotesi in esame, come è stato avvertito dallo stesso contro ricorrente si è verificato un semplice mutamento della denominazione della stessa società: la Sudhochbau s.r.l, ha assunto la denominazione di LIV. Srl. Pertanto, tale modifica non ha segnato l’estinzione del soggetto legittimato a stare in giudizio. Con l’ulteriore conseguenza che il ricorso per Cassazione, posteriore al cambiamento della denominazione sociale o comunque alla dedotta trasformazione, laddove, indichi come istante la Sudhochbau s.r.l, anzichè LIV srl., faccia, cioè, ancora riferimento alla precedente (denominazione della) società, potrebbe implicare solo una situazione di incertezza sull’identificazione della parte ricorrente (ai sensi ed agli effetti degli artt. 163 e 164 c.p.c.), che però nel caso in esame non si è neppure verificato, stante le affermazioni dello stesso controricorrente e la sua stessa costituzione in giudizio.

1.2.b.= I principi, appena esposti consentono, dunque, di acclarare l’ammissibilità del primo ricorso per quanto la società Sudhochbau srl. non è soggetto diverso dalla società LIV srl. Ciò consente, altresì, di ritenere inammissibile il secondo ricorso perchè consumato il potere di impugnare la sentenza validamente esercitato con il primo ricorso.

2 = Con il primo motivo la società LIV srl in liquidazione lamenta – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. degli artt. 1655 e 1669 cod. civ.; omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di Appello di Trento, – ritiene il ricorrente – nel ritenere che l’ipotesi esaminata fosse riconducibile alla normativa di cui all’art. 1669 cod. civ. La Corte d’Appello avrebbe dovuto escludere – l’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. al caso de quo per carenza di elementi probatori idonei a qualificare la società Sudhochbau srl. quale venditrice costruttrice.

2.1.= La censura è fondata e va accolta per quanto di ragione.

2.2 = La sentenza della Corte di Appello di Trento ha ritenuto, senza alcuna deduzione in tal senso degli attori che la costruzione dell’immobile era avvenuta sotto la responsabilità della convenuta – venditrice, benchè di questa circostanza non sussiste alcun elemento di prova. La sentenza afferma che il venditore committente si era continuamente ingerito nell’esecuzione dei lavori perchè:

1) l’art. 7 del contratto di appalto stipulato con la Betonabu conferiva ai direttore dei lavori, da essa nominato, il potere di conferire indicazioni specifiche per l’esecuzione dell’opera. Epperò la ricorrente afferma che la nomina da parte sua del direttore dei lavori non era dimostrata. E, comunque, la circostanza non prova neppure che il potere di ingerenza fosse stato effettivamente esercitato e in ogni caso il potere non comportava di per sè ingerenza nell’autonomia dell’appaltatore.

2) al progetto originario erano state apportate su iniziativa della committente delle varianti in corso d’opera. Ma anche tale circostanza non influisce sull’autonomia dell’appaltatore.

3) l’amministratore unico della società appaltatrice e quello della committente subentrata a quella originaria appartenevano al medesimo nucleo familiare e la circostanza lascia presumere una commistione sostanziale tra committente ed appaltatrice. Si tratta però di società di capitali e non sembra ipotizzabile senza ulteriori elementi una commistione tra la committente e l’appaltatrice che abbia inciso su difetti di costruzione riguardanti gli infissi e le loro rifiniture e infiltrazioni di acqua.

2.3.= E’ giusto il caso di evidenziare che, in via di principio, l’art. 1669 cod. civ. dispone che l’appaltatore (e quindi il costruttore) è responsabile dei danni nei confronti dell’acquirente nel caso di rovina totale o parziale dell’edificio o di evidenti gravi difetti verificatisi entro 10 anni dall’ultimazione dell’opera.

Eventuali clausole contrattuali di esonero o limitazione di tale responsabilità sono da considerarsi nulle. Tuttavia, come ripetutamente è stato chiarito da questa Corte, la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. nonostante sia collocata nell’ambito del contratto di appalto, configura un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini, essendo riconducibile ad una violazione di regole primarie (di ordine pubblico), stabilite per garantire l’interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell’attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l’incolumità delle persone (ex plurimis, Cass., n. 1748 del 2005; n. 1748 del 2000; n. 81 del 2000; n. 338 del 1999; n. 12106 del 1998).

Ciò comporta che la relativa azione di responsabilità potrà essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore nell’ipotesi in cui l’appaltatore abbia realizzato l’opera sotto la propria responsabilità. Il venditore, può essere chiamato, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., a rispondere dei gravi difetti dell’opera non solo nei casi in cui il venditore dell’immobile abbia personalmente e cioè con propria gestione di uomini e mezzi, provveduto alla costruzione, ma anche nei casi in cui, pur essendosi servito di altri soggetti, facendo ricorso a specifiche figure professionali quali l’appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il, e/o sia stata sempre titolare del potere di impartire direttive ovvero abbia mantenuto il potere di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, tale che la costruzione dell’opera sia, comunque, a lui riferibile (ex multis Cass. n. 12406 del 2001). Per altro, come ha avuto modo di chiarire questa Corte, che qui viene richiamata e confermata (Cass. 13-01-2005, n. 567), il giudice del merito davanti al quale sia stato convenuto il venditore con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 1669 cod. civ., non può limitarsi a verificare se l’opera sia stata direttamente realizzata dal convenuto, ma, anche quando nell’esecuzione dell’opera siano intervenuti altri soggetti, deve accertare se la costruzione sia ugualmente riferibile al venditore per avere egli mantenuto il potere di direttiva ovvero di controllo sull’operato degli altri soggetti.

Insomma, sarebbe stato necessario che la Corte di Appello avesse accertato che l’appaltatore nell’ipotesi in esame aveva assunto il rango di nudus minister, ma così non è stato e tutte le circostanze portano a ritenere che l’appaltatore nel caso specifico, nella realizzazione dell’opera de qua, abbia mantenuto una piena autonomia di gestione.

3.= Con il secondo motivo la società LIV srl. (già, Sudhochbau srl.), lamenta -come da rubrica- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè dell’art. 1669 c.c. omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di appello di Trento – secondo il ricorrente – per aver omesso di interpretare il contenuto del contratto di compravendita per verificare se nel caso concreto la società Sudhochbau srl. avesse in qualche modo assunto verso l’acquirente una responsabilità diretta nella realizzazione dell’immobile. Tale accertamento specifica il ricorrente – ove fosse stato eseguito avrebbe portato il giudice del merito ad escludere l’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. al caso di specie.

3.1.= Tale censura è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.

3.2.= Tuttavia, va qui osservato, – come ha avuto modo di chiarire questa Corte in altra occasione – che il giudice del merito davanti al quale sia stato convenuto il venditore con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 1669 cod. civ., non può limitarsi a verificare se l’opera sia stata direttamente realizzata dal convenuto, ma, anche quando nell’esecuzione dell’opera siano intervenuti altri soggetti, deve accertare se la costruzione sia ugualmente riferibile al venditore per avere egli mantenuto il potere di direttiva ovvero di controllo sull’operato degli altri soggetti.

Tale accertamento si giustifica sulla considerazione che l’art. 1669 cod. civ. identifica un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale.

Esso, sotto altro aspetto, ha ad oggetto il rapporto che intercorre tra venditore e appaltatore a prescindere dal rapporto tra venditore e acquirente, riconducibile al contratto di compravendita, la cui valutazione potrà essere utile nella sola ipotesi che illumini definitivamente il rapporto tra appaltatore e venditore, ma non anche per escludere definitivamente la responsabilità de venditore nei confronti del compratore per i gravi difetti o vizi della costruzione.

4.= Il ricorrente, con un non precisato motivo ulteriore rispetto a quelli formulati e già esaminati, lamentela come da rubrica – In subordine: decadenza di ogni azione nei confronti della società LIV (già Weltbau e già Sudhochbau srl.. Il ricorrente – afferma – che per mero scrupoloso difensivo ritiene opportuno reiterare le difese svolte, nel giudizio di merito, relative alla decadenza di ogni azione da parte del L. nei confronti della società venditrice.

L’attore appellante, infatti, non ha dimostrato l’eventuale denuncia dei vizi, nonchè la tempestività della stessa.

4.1= la censura è inammissibile.

Intanto appare opportuno evidenziare che il ricorrente intende riproporre l’eccezione di decadenza dell’azione non essendo stata provata la denunzia dei vizi e la tempestività di essa (l’immobile è acquistato l’8 dicembre 1999, l’accertamento ei vizi risale al 20 marzo 2000, la denunzia all’impresa costruttrice risale al 28 marzo 2000) Epperò non risulta indicato l’atto con il quale sia stata proposta la questione relativa alla decadenza dell’azione e se sia stata riproposta in appello.

4.2.= Sotto altro aspetto è bene ribadire l’orientamento di questo Corte più volte affermato, quello secondo cui: Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in un’omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie.

4.3.= Il principio appena esposta consente di apprezzare la dichiarazione di inammissibilità perchè la censura non contiene la formulazione di un quesito di diritto e come tale si pone in violazione dell’art. 366 bis c.p.c.. In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarati inammissibili gli altri.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il secondo ricorso iscritto nel R.G. al n. 23530/05. Accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili gli altri.

Cassa la sentenza n. 133/2004 della Corte di Appello di Trento sezione distaccata di Bolzano e in relazione al motivo accolto rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Brescia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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