Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-12-2010) 09-02-2011, n. 4727 Competenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – S.S. – opponente ai sensi degli artt. 670 e 665 c.p.p. avverso tre diversi atti d’Intimazione inviatigli dall’Ufficio Recupero Crediti della Corte di Appello di Cagliari e relativi al pagamento di somme pretese in forza di altrettante condanne dell’intimato in favore della cassa delle ammende emesse da questa Corte di legittimità, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. – avendo appreso che il collegio della Corte di appello di Cagliari designato per la trattazione delle suddette opposizioni era composto dai giudici A., L. e Se., con atto in data 11 dicembre 2009 presentava dichiarazione di ricusazione del giudice L.G. ed invito all’astensione del giudice Se.Ma..

2. – Con ordinanza deliberata il 26 febbraio 2010, la Corte di appello di Cagliari – sezione prima civile, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, decidendo sulla dichiarazione di ricusazione del giudice L., la dichiarava inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi addotti.

3.1 – La Corte di appello, esaminata preliminarmente la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa con riferimento alle norme che "rimettono" ai giudici togati la decisione sulle ricusazioni, riteneva la stessa manifestamente infondata, rientrando nell’insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta dell’organo chiamato a decidere sulla fondatezza o meno della dichiarazione di ricusazione.

3.2 – Quanto poi al merito dell’istanza proposta dall’avvocato S., la Corte territoriale, previa trascrizione del suo integrale contenuto nelle prime dieci pagine del proprio provvedimento, ne affermava la manifesta infondatezza, osservando che le deduzioni difensive ivi svolte, dirette a dimostrare "la illegittimità delle decisioni in passato assunte" dal giudice L. in procedimenti che riguardavano l’istante, tanto palese da costituire elemento sintomatico di una grave inimicizia, avevano in realtà la consistenza di "doglianze tipiche degli atti d’impugnazione", non prospettando le stesse "comprovate ragioni obiettive, esterne ai singoli processi, di ostilità del magistrato ricusato". 2.2.1 – In proposito la Corte territoriale precisava, che neppure l’elevato numero di condanne penali ovvero di cause civili nelle quali l’istante era risultato soccombente, poteva costituire un elemento idoneo da cui desumere, anche soltanto mediante induzione, l’esistenza di "un atteggiamento persecutorio" nei confronti dello S. "da parte dei consiglieri ricusati (rectius dell’unico giudice ricusato, risultando formulata nei confronti del giudice Se. solo un invito all’astensione)", evidenziando sul punto, che proprio il riferimento svolto dall’istante all’avvenuta presentazione di istanze di ricusazione nei confronti di numerosissimi giudici, anche di legittimità, induceva a dubitare dell’esistenza di una così estesa e "singolarissima consonanza nell’operare (di detti giudici) scientemente a danno del ricorrente", apparendo al contrario "assai più verosimile" ipotizzare "che quelle cause l’avvocato S. abbia perduto secondo le normali dinamiche processuali, al di fuori di atteggiamenti malevoli dei giudicanti". 2.2.2 – Affermava ancora la Corte, con riferimento al dato delle "denunce presentate dal dottor L." nei confronti del ricorrente, che lo stesso contenuto delle prospettazioni difensive svolte sul punto, rendeva manifesto che si trattava "di iniziative connesse con la funzione", derivanti da "comportamenti assunti dall’avvocato S. nell’ambito dei procedimenti", così da integrare delle "attività dovute, non riconducibili, per loro natura, a motivazioni personali". 2.2.3 – Precisava infine la Corte, con riferimento all’ultima prospettazione difensiva secondo cui il dottor L. risultava aver già deciso in senso negativo, tre ricorsi dell’avvocato S. "aventi la medesima res iudicanda", per un verso, che non poteva trattarsi "del medesimo fatto" (ma di diverse intimazioni di pagamento) e che pertanto non poteva ravvisarsi una situazione analoga a quella oggetto delle due decisione della Corte Costituzionale, la n. 387/1999 e la n. 283/2000, citate a sostegno della dichiarazione di ricusazione, sotto altro profilo, che "l’esame di questioni di diritto analoghe o anche identiche" non configurava alcuna situazione di incompatibilità del giudice.

3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione di persona lo S., il quale, premesso "in via cautelativa" che l’impugnazione dovrebbe essere decisa da una sezione civile della Corte di cassazione, essendo stato il provvedimento impugnato adottato da una sezione civile della Corte di appello di Cagliari, denuncia:

1. Difetto di giurisdizione (e in subordine di competenza) della Corte di appello di Cagliari in quanto composta da giudici assegnati esclusivamente ad una sezione civile e conseguente privi di potere giurisdizionale in relazione ad un procedimento penale.

2. Illegittimità della decisione adottata, relativamente al mancato accoglimento dell’eccezione d’incostituzionalità delle norme che individuano l’organo deputato a decidere la ricusazione del giudice ( artt. 40 e 41 c.p.p.), sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, e 111 Cost., a ragione della mancanza di qualsiasi anche minima garanzia di terzietà ed imparzialità. 3. Illegittimità della procedura camerale non partecipata seguita, stante il principio del contraddittorio stabilito dall’art. 111 Cost., comma 2. 4. Nel merito, illegittimità, per violazione di legge e vizio di motivazione, della decisione, sia relativamente all’assunto secondo cui i motivi di ricusazione, avendo la stessa natura delle doglianze tipiche degli atti d’impugnazione, andavano fatte valere in sede endo- processuale e non erano, per ciò, suscettibili di legittima utilizzazione anche nel procedimento di ricusazione, trattandosi di affermazione apodittica e funzionale alla sostanziale elusione di una disanima, specifica e dettagliata, delle cause di ricusazione, in particolare di quella costituita dall’avere il magistrato ricusato partecipato al collegio che aveva condannato esso ricorrente per calunnia, sebbene tale imputazione si fondasse su presupposti di fatto (accusa a magistrati del TAR di aver applicato una norma abrogata al fine di danneggiarlo) così manifestamente falsi che la mancata rilevazione di tale falsità non poteva non ascriversi "agli ovvi motivi di inimicizia personale da tempo esistenti"; così come a tali motivi di inimicizia, doveva in effetti ascriversi anche l’ulteriore condotta del giudice ricusato, che pur avendo in precedenza deciso in senso negativo all’istante tre ricorsi che riguardavano lo stesso oggetto, non aveva ritenuto di astenersi nel giudizio relativo alle opposizioni concernenti le nuove intimazioni di pagamento.

Il ricorrente conclude, pertanto, nel senso che, previa fissazione del ricorso in udienza partecipata, la Corte di cassazione in sede penale dichiari il proprio difetto di giurisdizione; e in subordine non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità degli artt. 40 e 41 c.p.p. ed in via ulteriormente subordinata che la ordinanza impugnata sia annullata.

3.1 Nell’imminenza della odierna udienza il ricorrente ha fatto pervenire una memoria con la quale insiste nelle sue deduzioni.
Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta personalmente da S.S. è basata su motivi infondati.

2.1 In primo luogo va osservato che correttamente il ricorso è stato assegnato ad una sezione penale della Suprema Corte, essendo di natura penale il provvedimento impugnato, in quanto emesso a norma dell’art. 41 c.p.p..

2.2 – Quanto poi alla procedura che deve essere seguita in questa sede per la decisione sul ricorso, essa è quella dettata dall’art. 611 c.p.p., come reso esplicito dal richiamo fatto a tale articolo dall’art. 41 c.p.p., comma 1. 3.1 – Per quanto concerne, poi, il contenuto delle numerose censure mosse nel ricorso alla decisione di merito, ritiene anzitutto il Collegio che nessun profilo di illegittimità sia fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata per avere la Corte territoriale respinto l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 40 e 41 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui assegnano a un Collegio composto da "soli colleghi" dei giudici ricusati (sia pure di altra sezione) la competenza a decidere sulla ricusazione, mancando, nel sistema, così come disegnato, una sia pur minima garanzia di terzietà e imparzialità, che viceversa sarebbe assicurata, secondo il ricorrente, dalla creazione di collegi composti da giudici togati e popolari, come avviene per la Corte di assise.

3.1.1 – Sul punto devono infatti qui ribadirsi le condivisibili argomentazioni svolte da questa Corte di legittimità (Sez. 5, ordinanza n. 22359 del 20/6/2006 dep. 26/6/2006, ric. Stara) proprio in riferimento ad eccezione di analogo contenuto, sollevata dall’odierno ricorrente in altro procedimento di ricusazione, secondo cui: a) ai sensi dell’art. 102 Cost., comma 4, la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia deve essere prevista dalla legge e, in base al vigente sistema, non è prevista la integrazione dei collegi giudicanti in tema di ricusazione, b) che detta mancata previsione non determina in astratto alcuna lesione al principio di terzietà del giudice, il quale, anche nel giudicare un "collega", è e deve essere soggetto solo alla legge.

3.2 Quanto poi agli ulteriori motivi d’impugnazione dedotti in ricorso, va osservato, in primo luogo, che nell’ambito di un ufficio giudiziario, quale la Corte di appello o il Tribunale, non può parlarsi di giudici "civili" o giudici "penali", ma solo di giudici "assegnati" a cause civili o a cause penali o promiscuamente a tutte e due, secondo le regole tabellari. Lo stesso vale per le sezioni di un ufficio giudiziario: alle stesse sono affidate cause civili o cause penali o l’uno e l’altro tipo di cause, secondo sempre le regole tabellari.

Il collegio della Corte di appello di Cagliari che ha emesso il provvedimento impugnato, essendo stato individuato, sulla base delle tabelle, per la decisione su una dichiarazione di ricusazione riguardante un "giudice penale", ha quindi esercitato a pieno titolo funzioni decisorie nell’ambito di un affare penale, nulla rilevando che la sezione di riferimento si occupasse normalmente (sempre secondo le regole tabellari) di affari civili. Non è dato dunque comprendere perchè detto Collegio possa ritenersi difettare di giurisdizione (o anche solo di competenza). Al riguardo non è superfluo rammentare, del resto, che questa Corte ha già avuto modo di precisare in passato, che "in caso di ricusazione di un giudice del tribunale, la competenza a decidere spetta ad una qualunque sezione della corte di appello, non distinguendo l’art. 40 c.p.p., comma 1 tra sezioni civili e penali" (in termini Sez. 6, Sentenza n. 29166 del 09/06/2004 dep. 02/07/2004. imp. Porcu, Rv. 229459).

3.3 Relativamente poi alla censura sollevata con riferimento alla procedura de plano seguita dalla Corte di appello, essa è testualmente prevista dall’art. 41 c.p.p., comma 1 per il caso in cui i motivi a sostegno della dichiarazione di ricusazione appaiono manifestamente infondati.

D’altro canto, detta procedura, oltre ad essere comune alle diverse forme d’impugnazione ( art. 591 c.p.p., comma 2) e, più in generale ad ogni procedura attivata su istanza di parte ( art. 127 c.p.p., comma 9), non contrasta con alcun precetto costituzionale o parametro della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed è anzi funzionale, al principio di ragionevole durata, giacchè è volta ad arginare l’abuso del processo.

Al riguardo non è superfluo rammentare che l’art. 111 Cost., comma 2 e l’art. 6, comma 1 CEDU, non impongono affatto l’applicazione generalizzata degli evocati principi del contraddicono e della oralità ad ogni tipo di decisione preliminare, tanto più quando questa sia limitata ad un riscontro di legittimità dei presupposti per dar corso all’esame del merito dell’istanza. E del resto, come già precisato da questa Corte nella già ricordata ordinanza n. 22359/2006, occorre considerare che l’art. 611 c.p.p. garantisce adeguatamente il contraddittorio nella sua forma scritta, attraverso la presentazione del ricorso, la facoltà di presentare motivi nuovi e l’acquisizione del parere del PM, del quale l’interessato ha facoltà di prendere visione e in relazione al quale può controdedurre, producendo memorie, come avvenuto anche nel presente procedimento, di talchè, mediante la procedura camerale è senza dubbio assicurato quel diritto a rappresentare e discutere tutti gli elementi necessari alla difesa in condizione di sostanziale parità con l’accusa, che costantemente la Corte Europea assume essere l’essenza del giusto processo (cfr. Dindar vs. Turchia sent. n. 32456 del 20.12.2005 e la copiosa produzione CEDU sulla Corte di cassazione francese, tra cui cfr Bozon vs. Francia sent. n. 71244/01 + Meftah e altri Vs. Francia sent. nn. 32911/96, 35237/97 del 26.7.2002). La stessa Corte di Strasburgo, per altro, conosce un vaglio preliminare di "ricevibilità" del ricorso ad essa rivolto (ex art. 28 Convenzione) affidato in prima istanza ad un Comitato di soli tre Giudici.

3.4 Con riferimento, infine alle principali censure concernenti strattamente il merito della decisione impugnata, il ricorrente ripropone sostanzialmente gli stessi argomenti posti a sostegno della dichiarazione di ricusazione, i quali però, come spiegato dalla Corte territoriale con un apparato motivazionale scarno ma immune da vizi logici o giuridici, non integravano, in effetti, nè l’ipotesi della "grave inimicizia" di cui all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. d), nè quella delle "gravi ragioni di convenienza" di cui di cui all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), nè infine prospettavano effettive "situazioni di incompatibilità" di cui all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g).

3.4.1. – L’ordinanza impugnata, adeguatamente motivata, ha infatti colto i punti essenziali della dichiarazione di ricusazione fatta dallo S. e l’ha ritenuta infondata, evidenziando incisivamente le ragioni di fondo legittimanti tale conclusione, che è in linea con la normativa che disciplina le cause di ricusazione del giudice.

E’ infatti principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, Sentenza n. 316 del 19/01/2000, dep. 05/04/2000, imp. Previti, Rv. 215740; Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 16/12/2004, dep. 03/02/2005, imp. Querci, Rv. 231399) che (‘"inimicizia grave" come motivo di astensione o come causa di ricusazione deve sempre trovare riscontro in rapporti personali estranei al processo e ancorati a circostanze oggettive, mentre la condotta endoprocessuale può venire in rilievo solo quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire sintomatico momento dimostrativo di una inimicizia maturata all’esterno; eventualità questa che, nel presente procedimento, viene prospettata in ricorso esclusivamente in base a valutazioni unilaterali ed indimostrate dello stesso ricorrente, che in dissenso con il convincimento espresso dai giudici cagliaritani, ritiene insussistenti il fatto di calunnia a lui contestato, laddove l’ulteriore argomento prospettato nel provvedimento impugnato per escludere la sussistenza di una grave inimicizia – e cioè l’avere l’avvocato S. in passato ricusato anche altri magistrati, sol perchè avevano definito in senso a lui sfavorevole altri procedimenti – non contrastata dal ricorrente quanto alla sua veridicità sul piano meramente fattuale, si rivela, in effetti, argomento plausibile sul piano logico per fondare l’esclusione dell’esistenza di una causa di ricusazione.

3.5 – Considerazioni non dissimili valgono, infine, anche per l’ulteriore deduzione difensiva, anch’essa meramente ripetitiva di argomentazioni già disattese dalla Corte territoriale, secondo cui poichè il giudice ricusato, in passato, aveva già definito in senso sfavorevole allo S. delle opposizioni dallo stesso proposte avverso ulteriori e diverse intimazioni di pagamento, pure relative a condanne ai pagamento di spese di giustizia e sanzioni pecuniarie, lo stesso, per ciò solo, aveva l’obbligo di astenersi anche con riferimento alle nuove opposizione proposte dall’intimato, posto che la giurisprudenza di legittimità risulta univoca nell’escludere che tra le cause di ricusazione possa rientra l’opinione espressa nella qualità di giudice su determinati fatti in procedimenti diversi da quelli ancora da definire (in tal senso ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 35208 del 15/06/2007 dep. 20/09/2007, imp. (Tondello, Sez. 3, Sentenza n. 17868 del 17/03/2009 dep. 29/04/2009, imp. Nicolasi).

4. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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