Corte Costituzionale, Sentenza n. 199 del 2012, In tema di adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare del 12-13 giugno 2011

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 25-7-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’articolo 4 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promossi con
ricorsi delle Regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e
della Regione autonoma della Sardegna, notificati il 12 ottobre, il
14-16, il 14-18 ed il 15 novembre 2011, depositati il 21 ottobre, il
18, il 22, il 23 ed il 24 novembre 2011, rispettivamente iscritti ai
nn. 124, 134, 138, 144, 147 e 160 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per
le Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, Massimo Luciani per la Regione
autonoma della Sardegna, Renato Marini per la Regione Lazio, Ugo
Mattei e Alberto Lucarelli per la Regione Puglia, Stefano Grassi per
la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso (reg. ric. n. 124 del 2011), notificato il 12
ottobre 2011 e depositato il successivo 21 ottobre, la Regione Puglia
ha impugnato, fra l’altro, l’articolo 4 del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, nella parte in cui la predetta
norma, intitolata «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici
locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea»,
detta la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, per violazione degli articoli 117, primo e quarto comma,
118, nonche’ degli articoli 5, 75, 77 e 114 della Costituzione.
1.1.- In particolare, la ricorrente sostiene che il citato art.
4, limitando le ipotesi di affidamento in house dei servizi pubblici
locali senza gara al di sotto di 900.000 euro alle societa’ a
capitale interamente pubblico, ed in generale comprimendo in capo
agli enti territoriali e locali il potere di qualificare la natura
dei predetti servizi e di scegliere i relativi modelli di gestione,
al di la’ di ogni obiettivo di tutela degli aspetti concorrenziali
inerenti alla gara, contrasterebbe con i principi di
autodeterminazione degli enti locali (artt. 5, 114, 117 e 118 Cost.).
La norma impugnata contrasterebbe poi anche con l’articolo 345 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), espressione
del principio di neutralita’ rispetto agli assetti proprietari delle
imprese e alle relative forme giuridiche, e con il principio della
cosiddetta preemption, in virtu’ del quale l’esistenza di una
regolamentazione europea precluderebbe l’adozione di discipline
divergenti, ponendo peraltro nel nulla intere disposizioni dei
Trattati (gli artt. 14 e 106, comma 2, TFUE, ma anche l’art. 36 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
Il predetto art. 4, inoltre, reintrodurrebbe la disciplina
contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che era stato abrogato
dal referendum del 12-13 giugno 2011, riproducendone i medesimi
principi ispiratori e le medesime modalita’ di applicazione, in
violazione della volonta’ popolare espressa ex art 75 Cost., e
ricorrendo ad un’interpretazione "estrema" delle regole della
concorrenza e del mercato, lesiva delle competenze regionali in tema
di servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali.
La Regione Puglia evoca, infine, la violazione dell’art. 77
Cost., considerato che, essendo direttamente applicabili nel nostro
ordinamento le norme dell’Unione europea a seguito dell’abrogazione
dell’art. 23-bis, non sussisterebbero, nella specie, le prescritte
ragioni di «straordinaria necessita’ ed urgenza» per l’adeguamento
della legislazione alla normativa sovranazionale, ben potendosi
effettuare un simile intervento in coerenza con gli assetti
decentrati introdotti dalla Costituzione e con il pieno rispetto
della volonta’ del suo popolo, espressa attraverso il referendum.
2.- Anche la Regione Lazio, con ricorso (reg. ric. n. 134 del
2011) spedito per la notifica il 14 novembre 2011 e depositato il
successivo 18 novembre, ha promosso questione di legittimita’
costituzionale, in via principale, dell’intero art. 4 del citato d.l.
n. 138 del 2011 innanzitutto, per violazione dell’art. 117, quarto
comma, Cost. in quanto la norma impugnata, rimettendo all’ente locale
la possibilita’ di sottrarre i servizi pubblici locali alla
liberalizzazione, dopo aver verificato l’esistenza di benefici per la
comunita’ derivanti dal mantenere il regime di esclusiva dei servizi
stessi, senza alcun fine di tutela della concorrenza, conseguirebbe
l’effetto illegittimo di "espropriare" l’ente regionale della
regolazione della materia dei servizi pubblici su cui ha una
competenza legislativa residuale.
L’impugnata disciplina sarebbe, inoltre, costituzionalmente
illegittima proprio in quanto riproduttiva di quella oggetto
dell’abrogazione referendaria. Infatti, pur ritenendo che lo Stato
goda, attraverso la tutela della concorrenza, di una competenza
trasversale ed abbia la capacita’ di incidere sulle modalita’ di
affidamento dei servizi pubblici locali, a seguito dell’abrogazione
referendaria di analoga disciplina legislativa statale, un simile
intervento del legislatore statale «dovrebbe essere in concreto
ritenuto radicalmente escluso», in conseguenza dell’effetto
vincolante che su di esso deriva dalla suddetta abrogazione,
incidendo in modo illegittimo, attraverso la concorrenza, su una
materia di legislazione esclusiva della Regione.
3.- Con ricorso spedito per la notifica il 14 novembre 2011,
depositato il successivo 22 novembre, (reg. ric. n. 138 del 2011), la
Regione Marche ha promosso questione di legittimita’ costituzionale,
in via principale, dell’art. 4, commi 1, 8, 9 10, 11, 12, 13, 18 e
21, del medesimo d.l. n. 138 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e
117, quarto comma, Cost.
In particolare, essa ha impugnato, in primo luogo, i commi 1, 8,
9, 10, 11, 12 e 13 dell’art. 4, sia in relazione all’art. 75 che
all’art. 117, quarto comma, Cost. in quanto, riproducendo pressocche’
integralmente l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, eluderebbero
l’esito conseguito dal referendum popolare del giugno 2011 sul
medesimo art. 23-bis, determinando una lesione indiretta delle
proprie attribuzioni costituzionali ed in specie della propria
potesta’ legislativa in materia di servizi pubblici locali. Dette
disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime, in quanto
affidando, al comma 1, direttamente agli enti locali il compito di
decidere circa il regime giuridico dei servizi pubblici locali,
sottrarrebbero alla Regione la scelta in questione, in violazione
della competenza legislativa residuale in materia di servizi pubblici
locali.
La Regione Marche ha, inoltre, impugnato: il comma 18 del
medesimo art. 4, nella parte in cui prevede che, in caso di
affidamento in house, la verifica del rispetto del contratto di
servizio avvenga secondo modalita’ definite dallo statuto dell’ente
locale, in quanto, in tal modo, sottrarrebbe la disciplina di tale
aspetto alla competenza legislativa regionale residuale in materia di
servizi pubblici locali; il comma 21, in quanto, nella parte in cui
dispone che «non possono essere nominati amministratori di societa’
partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla
nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all’art.
77 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni, negli enti locali che detengono quote di
partecipazione al capitale della stessa societa’», invaderebbe la
competenza legislativa regionale residuale in materia di ordinamento
degli enti locali.
4.- La Regione Emilia-Romagna e la Regione Umbria, con ricorsi,
notificati il 15 novembre 2011, depositati il successivo 23 novembre
(rispettivamente, reg. ric. n. 144 e n. 147 del 2011), hanno promosso
questione di legittimita’ costituzionale, in via principale, dei
commi 8, 12, 13, 14, 32 e 33, del citato art. 4 del d.l. n. 138 del
2011, in riferimento agli artt. 75 e 117, quarto comma, Cost.
Esse impugnano, in primo luogo, i commi 8, 12, 13, 32 e 33, nella
parte in cui, ripristinando norme gia’ contenute nell’art. 23-bis del
d.l. n. 112 del 2008, abrogato mediante referendum, e nel relativo
regolamento di attuazione, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo
23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133),
rispettivamente: a) escludono l’affidamento diretto in house dalle
forme ordinarie di conferimento della gestione dei servizi pubblici,
ove il valore economico del servizio sia superiore alla somma
complessiva di 900 mila euro annui (commi 8 e 13); b) prevedono
l’affidamento del servizio a societa’ a partecipazione mista
pubblica, a condizione che essa sia costituita con procedura avente
ad oggetto, allo stesso tempo, la selezione del socio privato, cui
devono essere attribuiti specifici compiti operativi e una
partecipazione non inferiore al 40 %, e l’affidamento del servizio,
con conseguente esclusione di altre fattispecie di partenariato
pubblico-privato presenti a livello comunitario (comma 12); c)
disciplinano il regime transitorio degli affidamenti, riproponendo in
termini analoghi limitazioni e scadenze al regime degli affidamenti
in atto gia’ fissate dall’abrogato art. 23-bis e volte a penalizzare
le forme di autoproduzione dei servizi (comma 32); d) infine,
confermano il divieto, per le societa’ titolari di affidamenti
diretti, di acquisire servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali
diversi, nonche’ di svolgere servizi o attivita’ per altri enti
pubblici o privati, ne’ direttamente, ne’ tramite societa’ ad esse
riferite, ne’ partecipando a gare (comma 33).
Cosi’ disponendo, i richiamati commi violerebbero gli artt. 75 e
117, quarto comma, Cost. in quanto, rendendo estremamente limitate le
ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in
house di quasi tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica
ed indicando come alternative ed equivalenti le sole modalita’ di
esternalizzazione, determinerebbero una limitazione della capacita’
di scelta degli enti territoriali, suscettibile di incidere
sull’autonomia loro riconosciuta in materia, arbitraria perche’
realizzata senza alcuna concertazione con i predetti, ed ancora
maggiore di quella delineata dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008 che il referendum ha eliminato "in toto", in violazione quindi
anche del divieto di riproposizione della disciplina formale e
sostanziale oggetto di abrogazione referendaria, di cui all’art. 75
Cost.
Una censura particolare e’, poi, proposta nei confronti del comma
14 del predetto art. 4, nella parte in cui prevede l’assoggettamento
delle societa’ in house al patto di stabilita’ interno «secondo le
modalita’ definite, con il concerto del Ministro per le riforme per
il federalismo, in sede di attuazione dell’art. 18, comma 2-bis, del
d.l. n. 112 del 2008». Tale norma sarebbe costituzionalmente
illegittima per le stesse ragioni per le quali questa Corte, con la
sentenza n. 325 del 2010, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo
il riferimento al patto di stabilita’ previsto dal comma 10, lettera
a) dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, sul presupposto che
«l’ambito di applicazione del patto di stabilita’ interno attiene
alla materia del coordinamento della finanza pubblica (sentenze n.
284 e n. 237 del 2009; n. 267 del 2006), di competenza legislativa
concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva
statale, per le quali soltanto l’art. 117, sesto comma, Cost.
attribuisce allo Stato la potesta’ regolamentare».
5.- Con ricorso, notificato il 15 novembre 2011, depositato il
successivo 24 novembre (reg. ric. n. 160 del 2011), anche la Regione
autonoma della Sardegna ha promosso questione di legittimita’
costituzionale, in via principale, dell’art. 4 del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, per
violazione degli artt. 3, (specialmente comma 1, lettere a, b e g) e
4 (specialmente comma 1, lettere f e g) della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
La norma impugnata violerebbe gli artt. 3 e 4 dello statuto
speciale, in quanto, attribuendo direttamente agli enti locali la
competenza a determinare le modalita’ di erogazione dei servizi
pubblici (in specie al comma 1), lederebbe le competenze primarie
della Regione Sardegna nelle materie «ordinamento degli uffici e
degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed
economico del personale», «ordinamento degli enti locali», «trasporti
su linee automobilistiche e tranviarie», nonche’ la competenza
concorrente nelle materie «assunzione di pubblici servizi» e «linee
marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della
Regione», dettando norme in materie connesse, ma distinte da quella
della tutela della concorrenza, quali lo svolgimento del servizio
pubblico, il rispetto del patto di stabilita’ da parte delle aziende
appaltanti, l’assunzione del personale e l’acquisizione di beni e
servizi da parte delle imprese aggiudicatarie del servizio,
l’organizzazione del controllo da parte dell’ente appaltante sul
servizio pubblico erogato.
6.- In tutti i giudizi si e’ costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati
infondati.
In particolare, il resistente osserva che le argomentazioni
relative alla dedotta violazione del riparto costituzionale di
competenze coincidono sostanzialmente con quelle gia’ proposte nei
ricorsi relativi all’art. 23-bis, del d.l. n. 112 del 2008 e ritenute
prive di fondamento dalla sentenza n. 325 del 2010.
Neppure avrebbe maggior fondamento la censura proposta in
riferimento all’art. 75 Cost. poiche’, diversamente da quanto opinato
dalla ricorrente, la giurisprudenza costituzionale, pur avendo
rilevato in alcune decisioni la non riproponibilita’ della medesima
disciplina abrogata, non avrebbe mai avuto occasione di specificare
la portata di tale preclusione.
Inoltre, non corrisponderebbe al vero che la nuova disciplina
condividerebbe la ratio dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008: infatti, mentre quest’ultima disposizione mirava alla
realizzazione di una sistema di concorrenza per il mercato, il nuovo
articolo 4 del d.l. n. 138 del 2011 sarebbe diretto alla
realizzazione di un sistema di concorrenza nel mercato. Infine,
sarebbero numerosi gli elementi di diversita’ fra le discipline in
gioco, fra cui, di particolare significato, l’esclusione del settore
idrico e l’innalzamento a 900.000 euro della soglia al di sotto della
quale l’affidamento in house e’ rimesso alla scelta discrezionale
dell’ente.
In generale, il resistente osserva che la normativa in esame, a
fronte della necessita’, condivisa a livello comunitario, di
garantire uno sviluppo economico maggiore mediante la promozione
della concorrenza e la liberalizzazione delle attivita’ e dei servizi
aventi rilevanza economica, ha dovuto rimediare al vuoto normativo
venutosi a creare con il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno
2011 (art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008), avendo comunque cura di
tutelare settori particolarmente sensibili nel rispetto della
volonta’ popolare.
7.- All’udienza pubblica le parti hanno insistito per
l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.- Con sei distinti ricorsi, le Regioni Puglia (reg. ric. n. 124
del 2011), Lazio (reg. ric. n. 134 del 2011), Marche (reg. ric. n.
138 del 2011), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 144 del 2011), Umbria
(reg. ric. n. 147 del 2011) e la Regione autonoma della Sardegna
(reg. ric. n. 160 del 2011) hanno promosso questioni di legittimita’
costituzionale di svariate disposizioni del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, ed in particolare dell’articolo 4.
Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n. 138
del 2011, sono qui esaminate le questioni di legittimita’
costituzionale aventi ad oggetto l’articolo 4 del predetto decreto,
in riferimento agli articoli 5, 75, 77, 114, 117 e 118 della
Costituzione, nonche’ in relazione agli articoli 3 e 4 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna).
I ricorsi censurano, con argomentazioni in buona parte
coincidenti, la stessa norma. I relativi giudizi, dunque, devono
essere riuniti per essere definiti con unica sentenza.
2.- In linea preliminare, occorre prendere atto che,
successivamente alla proposizione dei ricorsi, l’impugnato art. 4 del
d.l. n. 138 del 2011 ha subito numerose modifiche, in particolare per
effetto dell’art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre
2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2012) e dell’art. 25
del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita’),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24
marzo 2012, n. 27, nonche’ dell’art. 53, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita
del Paese).
Tali modifiche sopravvenute, che limitano ulteriormente le
ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali (come
risulta, in specie, dall’introduzione della previsione della
possibilita’ di affidamenti diretti solo per i servizi di valore
inferiore a 200.000 euro: comma 13; previo parere obbligatorio
dell’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato che puo’
pronunciarsi «in merito all’esistenza di ragioni idonee e sufficienti
all’attribuzione di diritti di esclusiva»: comma 3; con espressa
previsione della prevalenza della normativa in questione sulle
normative di settore: comma 34; con la previsione dell’esercizio del
potere sostitutivo del Governo nel caso di inottemperanza a quanto
previsto dalla normativa in questione: comma 32-bis) confermano il
contenuto prescrittivo delle disposizioni oggetto delle censure,
sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe, comprimendo, anzi,
ancor di piu’, le sfere di competenza regionale. Pertanto, le
predette questioni – in forza del principio di effettivita’ della
tutela costituzionale – devono essere estese alla nuova formulazione
dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 (sentenza n. 142 del 2012).
3.- Le Regioni hanno impugnato il citato art. 4 nella parte in
cui tale disposizione, rubricata come «Adeguamento della disciplina
dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa
dall’Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica in luogo dell’art. 23-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Le Regioni
Puglia, Lazio e Sardegna hanno censurato l’intero art. 4, mentre le
altre Regioni (Marche, Umbria ed Emilia-Romagna) hanno censurato
taluni commi del medesimo articolo.
In particolare, secondo la Regione Puglia, il citato art. 4
violerebbe, innanzitutto, l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi
in contrasto con gli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea e con l’art. 36 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, dai quali si desumerebbe il
riconoscimento di un principio di pluralismo di fonti, nonche’ con il
principio comunitario di neutralita’ rispetto agli assetti
proprietari delle imprese e alle relative forme giuridiche ex art.
345 del TFUE e con il principio di preemption in base al quale la
regolamentazione dell’Unione europea avrebbe l’effetto di precludere
a livello nazionale l’adozione di discipline divergenti.
Da tutte le Regioni, ad eccezione della Regione autonoma della
Sardegna, viene dedotta la violazione dell’art. 75 Cost., in quanto
la norma impugnata (ed in particolare i commi 1, 8, 9 10, 11, 12 e 13
secondo la Regione Marche ed anche i commi 32 e 33 secondo le Regioni
Emilia-Romagna ed Umbria) avrebbe riprodotto la norma oggetto
dell’abrogazione referendaria (art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008)
e parti significative delle norme di attuazione della medesima, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n.
168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza
economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133), recando una disciplina che rende ancor piu’
limitate le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di
gestione in house di quasi tutti i servizi pubblici locali di
rilevanza economica, in violazione del divieto di riproposizione
della disciplina formale e sostanziale oggetto di abrogazione
referendaria, di cui all’art. 75 Cost., e con conseguente lesione
indiretta delle proprie competenze costituzionali in materia di
servizi pubblici locali.
La Regione Puglia ha censurato, inoltre, la predetta norma anche
sotto il profilo della violazione dell’art. 77 Cost., in quanto, a
seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008
sarebbe comunque applicabile direttamente nel nostro ordinamento la
normativa comunitaria conferente e non sussisterebbero le ragioni di
«straordinaria necessita’ ed urgenza» per provvedere con
decreto-legge, ben potendosi effettuare un simile intervento in
coerenza con gli assetti decentrati introdotti dalla Costituzione e
con il pieno rispetto della volonta’ del suo popolo, espressa
attraverso il referendum.
Tutte le Regioni, poi, hanno impugnato la norma per il mancato
rispetto del riparto di competenze tra Stato e Regioni quanto
all’affidamento e alla disciplina dei servizi pubblici locali. La
norma denunciata – ed in particolare i commi 1, 8, 9, 10, 11, 12 e 13
– nella parte in cui attribuisce direttamente agli enti locali la
competenza a decidere circa le modalita’ di erogazione dei servizi
pubblici (in specie al comma 1) e delimita la stessa decisione degli
enti locali, stabilendo vincoli stringenti alla possibilita’ degli
affidamenti diretti, determinerebbe una lesione della competenza
regionale residuale in materia di servizi pubblici locali, eccedendo
dall’ambito della competenza statale in materia di tutela della
concorrenza, che comprende il solo profilo dell’affidamento del
servizio pubblico locale, e dettando altresi’ norme in materie
connesse, ma distinte, in violazione degli artt. 5, 114, 117 e 118
della Costituzione, nonche’ degli artt. 3 e 4 dello statuto speciale
per la Sardegna.
La Regione Marche ha, altresi’, impugnato: il comma 18 del
medesimo art. 4, in quanto, prevedendo che, in caso di affidamento in
house, la verifica del rispetto del contratto di servizio avvenga
secondo modalita’ definite dallo statuto dell’ente locale, violerebbe
la potesta’ legislativa regionale residuale in materia di servizi
pubblici locali; il comma 21, nella parte in cui, limitando i
requisiti per la nomina degli amministratori di societa’ partecipate
da enti locali, invaderebbe la competenza regionale residuale in
materia di ordinamento degli enti locali.
Un’ulteriore censura e’, poi, proposta, dalle Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna, nei confronti del comma 14 del predetto art. 4, nella
parte in cui prevede l’assoggettamento delle societa’ in house al
patto di stabilita’ interno, per le stesse ragioni per le quali
questa Corte, con la sentenza n. 325 del 2010, ha ritenuto
costituzionalmente illegittimo il riferimento al patto di stabilita’
previsto dal comma 10, lettera a), dell’art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008.
4.- Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilita’ della
questione promossa dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 117,
primo comma, Cost., per contrasto con gli artt. 14, 106 e 345 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e con l’art. 36 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonche’ con il
principio della c.d. preemption.
4.1.- Posto che l’esigenza di una adeguata motivazione a sostegno
della impugnativa si pone «in termini perfino piu’ pregnanti nei
giudizi diretti che non in quelli incidentali» (sentenza n. 450 del
2005), nella specie l’assoluta genericita’ ed indeterminatezza delle
censure proposte con riguardo alla pretesa violazione di principi
comunitari, anch’essi genericamente invocati, non consente di
individuare in modo corretto i termini della questione di
costituzionalita’, con conseguente inammissibilita’ della stessa
(sentenza n. 119 del 2010).
5.- E’, invece, ammissibile la questione proposta da tutte le
ricorrenti, ad eccezione della Regione autonoma della Sardegna, in
riferimento all’art. 75 Cost.
5.1.- Questa Corte ha piu’ volte affermato che le Regioni possono
evocare parametri di legittimita’ diversi da quelli che sovrintendono
al riparto di attribuzioni solo allorquando la violazione denunciata
sia «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 303 del 2003;
di recente, nello stesso senso, sentenze n. 80 e n. 22 del 2012) e
queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili di una
"possibile ridondanza" della predetta violazione sul riparto di
competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione
della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e
delle ragioni di tale lesione (sentenza n. 33 del 2011).
Nella specie, le richiamate condizioni di ammissibilita’ delle
censure sono soddisfatte.
Le ricorrenti assumono che, con l’abrogazione dell’art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, che riduceva le possibilita’ di affidamenti
diretti dei servizi pubblici locali, con conseguente delimitazione
degli ambiti di competenza legislativa residuale delle Regioni e
regolamentare degli enti locali, le competenze regionali e degli enti
locali nel settore dei servizi pubblici locali si sono riespanse.
Infatti, a seguito della predetta abrogazione, la disciplina
applicabile era quella comunitaria, piu’ "favorevole" per le Regioni
e per gli enti locali. Pertanto, la reintroduzione da parte del
legislatore statale della medesima disciplina oggetto
dell’abrogazione referendaria (anzi, di una regolamentazione ancor
piu’ restrittiva, frutto di un’interpretazione ancor piu’ estesa
dell’ambito di operativita’ della materia della tutela della
concorrenza di competenza statale esclusiva), ledendo la volonta’
popolare espressa attraverso la consultazione referendaria, avrebbe
determinato anche una potenziale lesione delle richiamate sfere di
competenza sia delle Regioni che degli enti locali.
Cosi’ argomentando, le Regioni hanno fornito una sufficiente
motivazione in ordine ai profili della "possibile ridondanza" sul
riparto di competenze della denunciata violazione, evidenziando la
potenziale lesione della potesta’ legislativa regionale residuale in
materia di servizi pubblici locali (e della relativa competenza
regolamentare degli enti locali) che deriverebbe dalla violazione
dell’art. 75 Cost.
5.2.- Nel merito, la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 e’ fondata.
5.2.1.- Il citato art. 4 e’ stato adottato con d.l. n. 138 del 13
agosto 2011, dopo che, con decreto del Presidente della Repubblica 18
luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare,
dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della
Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalita’ di
affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica), era stata dichiarata l’abrogazione, a seguito di
referendum popolare, dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,
recante la precedente disciplina dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica.
Quest’ultima si caratterizzava per il fatto che dettava una
normativa generale di settore, inerente a quasi tutti i predetti
servizi, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a
restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole
concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in
particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al
ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione
veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, adottato
con il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010 n.
168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza
economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del d.l. n. 112
del 2008).
Con la richiamata consultazione referendaria detta normativa
veniva abrogata e si realizzava, pertanto, l’intento referendario di
«escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che
limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento
diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoche’
tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso
il servizio idrico)» (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire,
conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria
conferente.
A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto
dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008, il Governo e’ intervenuto nuovamente sulla materia con
l’impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento
della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e
alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo e’
contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto
opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house,
al di la’ di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma e’
anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate
disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del
regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R.
n. 168 del 2010.
Essa, infatti, da un lato, rende ancor piu’ remota l’ipotesi
dell’affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in
via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in
cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a garantire un servizio
rispondente ai bisogni della comunita’» (comma 1), analogamente a
quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008,
ma la ancora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore
dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel
testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente
del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della
possibilita’ di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a
prescindere da qualsivoglia valutazione dell’ente locale, oltre che
della Regione, ed anche – in linea con l’abrogato art. 23-bis – in
difformita’ rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria,
che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la
gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale,
allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in
diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art.
106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico
della societa’ affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il
controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario deve essere
di "contenuto analogo" a quello esercitato dall’aggiudicante sui
propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte piu’
importante dell’attivita’ dell’affidatario in favore
dell’aggiudicante.
Dall’altro lato, la disciplina recata dall’art. 4 del d.l. n. 138
del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune
disposizioni contenute nell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008 (e’ il caso, ad esempio, del comma 3 dell’art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008 "recepito" in via di principio dai primi sette commi
dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta della forma
di gestione del servizio; del comma 8 dell’art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a quella
dettata dal comma 32 dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; cosi’ come
del comma 10, lettera a), dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,
dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 325 del
2010, sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dell’art. 4 del d.l. n.
138 del 2011), sia la maggior parte delle disposizioni recate dal
regolamento di attuazione dell’art. 23-bis (il testo dei primi sette
commi dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, ad esempio, coincide
letteralmente con quello dell’art. 2 del regolamento attuativo
dell’art. 23-bis di cui al d.P.R. n. 168 del 2010, i commi 8 e 9
dell’art. 4 coincidono con l’art. 3, comma 2, del medesimo
regolamento, mentre i commi 11 e 12 del citato art. 4 coincidono
testualmente con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento).
Alla luce delle richiamate indicazioni – nonostante l’esclusione
dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio
idrico integrato – risulta evidente l’analogia, talora la
coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella
dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identita’
della ratio ispiratrice.
Le poche novita’ introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la
drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi
pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso
escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo
espresso con il referendum riguardava «pressoche’ tutti i servizi
pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai
quali era rivolto l’art. 23-bis, non puo’ ritenersi che l’esclusione
del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali
ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della
volonta’ espressa attraverso la consultazione popolare, con la
conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente,
la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12
e 13 giugno 2011.
5.2.2.- La disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di
ripristino della normativa abrogata dalla volonta’ popolare
desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto gia’ riconosciuto dalla
giurisprudenza costituzionale.
Questa Corte, pronunciandosi su un conflitto di attribuzione fra
poteri dello Stato sollevato dai promotori di un referendum
abrogativo, avverso Camera e Senato, in relazione all’approvazione di
una legge riproduttiva della disciplina abrogata mediante
consultazione popolare svoltasi pochi mesi prima, pur dichiarando
l’inammissibilita’ del ricorso per difetto di legittimazione dei
ricorrenti, ormai privati della titolarita’ della funzione
costituzionalmente rilevante e garantita, corrispondente
all’attivazione della procedura referendaria, e quindi della qualita’
di potere dello Stato, ha, tuttavia, affermato che «la normativa
successivamente emanata dal legislatore e’ pur sempre soggetta
all’ordinario sindacato di legittimita’ costituzionale, e quindi
permane comunque la possibilita’ di un controllo di questa Corte in
ordine all’osservanza – da parte del legislatore stesso – dei limiti
relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della
normativa abrogata dalla volonta’ popolare» (sentenza n. 9 del 1997).
Inoltre, ancor prima, questa Corte, escludendo, con riferimento
alla disciplina della responsabilita’ civile dei giudici abrogata
mediante referendum, la possibilita’, in via interpretativa,
dell’applicazione di una delle norme abrogate quale «norma
transitoria», ha anche precisato che l’intervenuta abrogazione della
stessa «non potrebbe consentire al legislatore la scelta politica di
far rivivere la normativa ivi contenuta a titolo transitorio», in
ragione della «peculiare natura del referendum, quale atto-fonte
dell’ordinamento» (sentenza n. 468 del 1990).
Un simile vincolo derivante dall’abrogazione referendaria si
giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama
costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti
di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa
delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che
l’esito della consultazione popolare, che costituisce esercizio di
quanto previsto dall’art. 75 Cost., venga posto nel nulla e che ne
venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato,
successivamente all’abrogazione, alcun mutamento ne’ del quadro
politico, ne’ delle circostanze di fatto, tale da giustificare un
simile effetto.
Tale vincolo e’, tuttavia, necessariamente delimitato, in ragione
del suo carattere puramente negativo, posto che il legislatore
ordinario, «pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria,
conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum
senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di
far rivivere la normativa abrogata» (sentenza n. 33 del 1993; vedi
anche sentenza n. 32 del 1993).
In applicazione dei predetti principi, si e’ gia’ rilevato che la
normativa all’esame costituisce ripristino della normativa abrogata,
considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia,
«senza modificare ne’ i principi ispiratori della complessiva
disciplina normativa preesistente ne’ i contenuti normativi
essenziali dei singoli precetti» (sentenza n. 68 del 1978), in palese
contrasto, quindi, con l’intento perseguito mediante il referendum
abrogativo. Ne’ puo’ ritenersi che sussistano le condizioni tali da
giustificare il superamento del predetto divieto di ripristino,
tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la
pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e
l’adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di
giudizio, nel quale peraltro non si e’ verificato nessun mutamento
idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata.
5.2.3.- Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, per violazione dell’art.
75 Cost.
6.- Dall’accoglimento di tale censura consegue l’assorbimento
degli altri profili di violazione della Costituzione dedotti dalle
Regioni ricorrenti nei confronti della medesima norma o di sue
singole disposizioni (sentenza n. 123 del 2010).

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, n. 148;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 4 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sia nel testo
originario che in quello risultante dalle successive modificazioni;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 4 del d.l. n. 138 del 2011, promossa
dalla Regione Puglia, in riferimento all’articolo 117, primo comma,
della Costituzione ed agli articoli 14, 106 e 345 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea, all’articolo 36 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, nonche’ al principio di
preemption, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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