Corte Costituzionale, Sentenza n. 203 del 2012, Sull’applicabilità dell’istituto della SCIA alla Provincia autonoma di Trento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 25-7-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 49,
comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’
economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso
notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6
ottobre 2010 ed iscritto al n. 105 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
udito l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di
Trento e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010,
depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 6 ottobre
2010 (r. ric. n. 105 del 2010), ha promosso questioni di legittimita’
costituzionale, tra gli altri, dell’articolo 49, comma 4-ter (se e in
quanto riferito alle Province autonome), del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita’ economica), convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione: dell’articolo 8, numeri
1), 9), 14), e 20), e dell’articolo 9, numeri 3), 7), e 10), del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige), o comunque per
violazione del Titolo V della Parte II della Costituzione in
connessione con l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione), in particolare degli articoli 117, 118, 119 e 120
della Costituzione, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto
Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali e provinciali, nonche’ la potesta’ statale di indirizzo e
coordinamento) e, infine, del principio di leale collaborazione.
La ricorrente premette di essere dotata di autonomia finanziaria,
ai sensi del Titolo VI dello statuto speciale, di recente modificato
per meglio armonizzare la speciale autonomia della Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano con le esigenze della situazione finanziaria dello Stato,
anche nel quadro degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione
europea e per tenere conto delle esigenze di solidarieta’ derivanti
anche dalla attuazione del "federalismo fiscale", quale prefigurato
dalla legge di delega 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione).
2.- Cio’ posto, la Provincia autonoma di Trento, richiamato il
contenuto dell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, dubita che tali norme si
applichino alle Province autonome. Tuttavia, la mancanza di una
specifica clausola di salvaguardia, nel contesto di una legge che
pure ne contiene, non esclude con ragionevole sicurezza una diversa
interpretazione. La Provincia autonoma di Trento, dunque, censura
l’art. 49, comma 4-ter, se ed in quanto ad essa applicabile.
Ad avviso della ricorrente, anche se le disposizioni citate
fossero attinenti ai «livelli essenziali delle prestazioni», di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o alla
«tutela della concorrenza» di cui alla lettera e) del medesimo comma,
cio’ non consentirebbe affatto di farle entrare a questo titolo nelle
materie di competenza statutaria provinciale. La nuova definizione di
materie riservate allo Stato operata dalla legge costituzionale n. 3
del 2001 verrebbe a limitare l’ampiezza della potesta’ legislativa
provinciale delineata dallo statuto. Ma cio’ sarebbe da escludere,
impedendolo la clausola di cui all’art. 10 della stessa legge
costituzionale, la quale prevede l’estensione delle nuove norme del
Titolo V della Parte II della Costituzione alle autonomie speciali,
ma solo in quanto cio’ si traduca per esse in maggiore autonomia
rispetto alla situazione statutaria. Per le autonomie speciali,
dunque, anche le norme emanate in base ai titoli di cui all’art. 117,
secondo comma, Cost. potrebbero operare soltanto nel quadro dei
limiti statutari alle competenze provinciali, quali delineati dagli
artt. 8 e 9 dello statuto speciale, in relazione alle potesta’
legislative primarie e concorrenti della Provincia.
3.- Cio’ posto, e premesso che l’autoqualificazione operata dal
legislatore non ha carattere vincolante, la ricorrente contesta
innanzi tutto che la disciplina sulla «Segnalazione certificata di
inizio attivita’» (d’ora in avanti SCIA) attenga ai «livelli
essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
La giurisprudenza costituzionale, in effetti, avrebbe precisato,
in positivo, che la citata lettera m) consente allo Stato soltanto di
fissare «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da
garantire agli aventi diritto» (sono richiamate le sentenze n. 10 del
2010 e n. 207 del 2010). Con le disposizioni sulla SCIA, invece, non
sarebbe stabilito alcuno standard di prestazioni determinate,
attinenti a questo o a quel "diritto" civile o sociale, garantito
dalla stessa Costituzione.
Al contrario, sarebbe regolato in un certo modo lo svolgimento
dell’attivita’ amministrativa, in settori molto vasti e
indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza provinciale: oltre
alla tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e
popolare, all’urbanistica, alla tutela del paesaggio, all’igiene e
sanita’, sarebbero incise le materie dell’ordinamento degli uffici
provinciali, dell’artigianato, delle miniere, del turismo, del
commercio, degli esercizi pubblici, dell’industria, cioe’ materie
spettanti alla Provincia, in forza dello statuto speciale (art. 8,
numeri 1, 9, 14 e 20; art. 9, numeri 3, 7 e 10) o del nuovo Titolo V
della Costituzione, in connessione con l’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
In tal modo, pero’, sarebbero violate le citate norme
costituzionali e statutarie, per le quali la disciplina delle
funzioni amministrative di regola non puo’ che spettare allo Stato o
alla Provincia, secondo il riparto delle competenze per materia.
Sarebbe evidente che lo Stato non puo’, semplicemente appellandosi
alla fissazione dei livelli essenziali, riservarsi la
regolamentazione di interi settori materiali. Inoltre, non potrebbe
essere confusa la determinazione dei livelli delle prestazioni e la
disciplina delle posizioni soggettive degli amministrati, mentre la
distinzione sarebbe in effetti necessaria. Infatti, se non fosse
eseguita, poiche’ ogni diritto o interesse implica un qualche
comportamento altrui (anche solo omissivo), la competenza sulla
materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo di
qualsiasi posizione soggettiva in ogni materia regionale o
provinciale. Il che non potrebbe essere.
Tale confusione sarebbe evidente nella disciplina relativa alla
SCIA che, nella sua rigidita’, potrebbe determinare in alcuni casi
una diminuzione dei livelli essenziali delle prestazioni cui hanno
diritto persone destinatarie dell’attivita’ assentita mediante
segnalazione certificata: quando, ad esempio, in conseguenza delle
limitazioni temporali e sostanziali alla attivita’ di accertamento e
di controllo della pubblica amministrazione, sia praticamente
impedita la verifica del rispetto di standard qualitativi di
determinate prestazioni attinenti ai diritti sociali.
La ricorrente non contesta che alcuni istituti della cosiddetta
"semplificazione amministrativa" (cui la SCIA e’ riconducibile)
possano concretizzare o esprimere limiti vincolanti per le potesta’
legislative provinciali, ma cio’ postula sempre una valutazione
complessiva – alla luce del tipo di potesta’ legislativa coinvolta –
di tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia
interessata, valutazione "concreta" soggetta al controllo della
Corte; e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non puo’
che riguardare norme riferite a ben determinati settori.
Il punto di equilibrio tra interesse del singolo ad iniziare
quanto prima una certa attivita’ e l’esercizio del potere-dovere
dell’amministrazione di tutelare secondo legge gli altri interessi
toccati da quell’attivita’ potrebbe essere diverso, a seconda che
questi ultimi attengano al governo del territorio, oppure alla tutela
della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del
territorio e alla tutela della salute o del lavoro non sarebbe
casuale, evocando interessi che il comma 4-bis non prende in
considerazione, ai fini dell’esclusione dell’ambito di operativita’
della SCIA).
La ricorrente aggiunge che esigenze di semplificazione possono
derivare anche dalla normativa comunitaria, vincolante per la
Provincia, ed in particolare dalla direttiva 12 dicembre 2006/123/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi
nel mercato interno). Ma anche la normativa comunitaria e’ attenta:
a) a far salva la peculiarita’ dei singoli settori, ammettendo che in
taluni casi l’autorizzazione allo svolgimento di certe attivita’ sia
subordinata allo svolgimento di un "adeguato esame" sulla presenza
delle "condizioni stabilite" per ottenerla; b) a far salvo il riparto
delle competenze tra Stato, Regioni e minori Enti locali.
Del resto, il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59
(Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel
mercato interno), non abrogato dal decreto-legge n. 78 del 2010,
dispone che «relativamente alle regioni a statuto speciale e alle
Province autonome di Trento e Bolzano, i principi desumibili dalle
disposizioni di cui alla parte prima del presente decreto
costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della
Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato»,
aggiungendo che in relazione «alle materie oggetto di competenza
concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
esercitano la potesta’ normativa nel rispetto dei principi
fondamentali contenuti nelle norme del presente decreto» (art. 1,
comma 4).
Lo stesso decreto, poi, all’art. 84, e in dichiarata attuazione
dell’art. 117, quinto comma, Cost., aggiunge che «nella misura in cui
incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di
competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si
applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di
attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna Regione
e Provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili
dal presente decreto».
4.- La Provincia autonoma di Trento aggiunge che l’art. 49, comma
4-ter, dichiara come proprio fondamento costituzionale anche la
«tutela della concorrenza», oltre ai livelli essenziali delle
prestazioni. Ma esso, in realta’, non puo’ essere ricondotto nemmeno
all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
A parte la palese estraneita’ a tale materia delle norme penali e
di quelle relative ai rimedi giurisdizionali, la cui adozione la
Provincia certo non rivendica, sarebbe evidente l’estraneita’ alla
"tutela della concorrenza" del comma in esame anche nelle parti in
cui non riguarda attivita’ imprenditoriali e professionali e nelle
parti in cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e
repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei molteplici
interessi pubblici e privati, che sono stati presi in considerazione
dalle singole leggi di settore quando hanno previsto le
autorizzazioni, licenze, nulla osta e simili. Con riferimento a
queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione potrebbe avere
l’effetto di far rimanere "sul mercato" imprese o professionisti con
requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi legali,
con conseguente alterazione della concorrenza "leale" tra i diversi
operatori.
Tuttavia, anche con riferimento alle attivita’ imprenditoriali e
professionali, il comma 4-ter non sarebbe espressione della "tutela
della concorrenza" nel senso della Costituzione, come interpretata
dalla giurisprudenza di questa Corte. Esso non riguarderebbe i
requisiti per l’accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei
beni e dei servizi, o la parita’ di trattamento degli operatori, o
misure di liberalizzazione dei mercati, ma verrebbe ad incidere in
via principale e diretta sullo svolgimento dell’attivita’
amministrativa e sui relativi procedimenti.
Al piu’, si potrebbe affermare che la concorrenza sarebbe
agevolata dal fatto che, riducendo i tempi per l’avvio di
un’attivita’, un soggetto potrebbe essere indotto ad intraprenderla.
Sarebbe evidente, pero’, che la decisione di intraprendere
un’attivita’ dipenderebbe anche dall’insieme della normativa
(statale, provinciale, europea, internazionale) che la riguarda, in
modo che l’effetto della semplificazione della disciplina sulla
concorrenza sarebbe soltanto accessorio ed indiretto; e, secondo i
principi affermati da questa Corte, nei casi d’interferenza, ai fini
della riconduzione di una legge all’una o all’altra materia, andrebbe
operato un giudizio di prevalenza (e’ richiamata la sentenza n. 370
del 2003).
Ad avviso della ricorrente, gli argomenti che precedono
escluderebbero che il vincolo al rispetto integrale del comma 4-bis,
fondato dal comma 4-ter sulle lettere e) ed m) del secondo comma
dell’art. 117 Cost., possa "convertirsi" in uno dei limiti che gli
artt. 8 e 9 dello statuto speciale pongono alle potesta’ legislative
primarie e concorrenti della Provincia. Da strumenti di
semplificazione dei procedimenti potrebbero anche ricavarsi norme
fondamentali di riforme economico-sociali o principi dell’ordinamento
giuridico: ma cio’ andrebbe accertato caso per caso, in relazione
alle singole previsioni, mentre non potrebbe dirsi per interi
complessi di discipline eterogenee.
In ogni caso, il comma 4-ter, la’ dove dispone che la disciplina
della SCIA posta dal comma 4-bis sostituisce direttamente quella
della dichiarazione d’inizio dell’attivita’ recata da ogni normativa
statale e regionale, sarebbe costituzionalmente illegittimo, nella
parte in cui si riferisce a leggi provinciali, per violazione
dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Si tratterebbe di norma
immediatamente applicativa, in contrasto con la regola per cui il
dovere di adeguamento della legislazione provinciale ai principi ed
alle norme costituenti limiti costituzionali e recati da atto
legislativo dello Stato deve avvenire entro i sei mesi successivi
alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale,
rimanendo nel frattempo applicabili le disposizioni legislative
provinciali preesistenti.
5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si e’ costituito in
giudizio, con atto depositato il 4 novembre 2010, adducendo
l’infondatezza del ricorso e ponendo in evidenza che l’istituto della
SCIA non e’ nuovo ma integra la modifica e semplificazione di altro
analogo, la dichiarazione di inizio attivita’ (DIA), gia’ previsto
dall’ordinamento e gia’ positivamente scrutinato da questa Corte, nel
senso che esso esprime un nuovo principio fondamentale del governo
del territorio (alternativo alla licenza o concessione edilizia),
applicabile anche alle Province autonome. Anche la norma qui
impugnata da una parte continua ad integrare un principio
fondamentale e dall’altra, nelle sue modifiche e semplificazioni,
s’ispira alla tutela della concorrenza (incrementando e agevolando le
attivita’ edilizie) per quanto riguarda gli operatori del settore, e
ai livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini interessati
ad una sollecita risposta e allo svolgimento di tali attivita’:
materie, queste, di esclusiva competenza statale.
6.- In vista dell’udienza di discussione le parti hanno
depositato memorie dirette a sviluppare i rispettivi argomenti
difensivi.

Considerato in diritto

1.- La Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in
epigrafe e richiamato in narrativa, ha impugnato, tra gli altri,
l’articolo 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita’ economica), nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122.
La ricorrente censura il citato art. 49, comma 4-ter, se ritenuto
applicabile alla Provincia di Trento, nella parte in cui qualifica la
disciplina della «Segnalazione certificata di inizio attivita’»
(SCIA), contenuta nel comma 4-bis, che modifica l’art. 19 della legge
7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Sarebbero cosi’
violate le competenze provinciali statutarie previste, nelle materie
della tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e
popolare, dell’urbanistica, della tutela del paesaggio, dell’igiene e
sanita’, dell’ordinamento degli uffici provinciali, dell’artigianato,
delle miniere, del turismo, del commercio, degli esercizi pubblici,
dell’industria, dall’art. 8, numeri 1), 9), 14) e 20), e dall’art. 9,
numeri 3), 7) e 10) del decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), o comunque dal nuovo Titolo V della Parte II della
Costituzione, in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione).
In subordine la Provincia autonoma di Trento impugna il
menzionato art. 49, comma 4-ter, nella parte in cui dispone che la
disciplina della SCIA, dettata dal comma 4-bis, sostituisce
direttamente quella della dichiarazione d’inizio attivita’ recata da
ogni normativa statale e regionale. Infatti, la norma censurata
violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali e provinciali, nonche’ la potesta’ statale di indirizzo e
coordinamento), perche’ il dovere di adeguamento della legislazione
provinciale ai principi e alle norme costituenti limiti
costituzionali e recati da atto legislativo dello Stato deve avvenire
entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo
nella Gazzetta Ufficiale, rimanendo nel frattempo applicabili le
disposizioni legislative provinciali preesistenti.
2.- Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni
delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n. 78 del 2010,
proposte dalla ricorrente, vengono qui in esame le questioni di
legittimita’ costituzionale relative al citato art. 49, comma 4-ter,
del d.l. n. 78 del 2010, nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dalla legge di conversione n. 122 del 2010. Invero, come
si evince dall’epigrafe del ricorso e come si desume dal contesto
dell’apparato argomentativo che lo sorregge, a tale disposizione, in
parte qua, fanno riferimento le censure mosse dalla Provincia
autonoma di Trento. Del resto, anche la delibera della Giunta
provinciale in data 17 settembre 2010 (reg. delib. n. 2169), sulla
cui base il ricorso fu proposto, nella parte dispositiva concernente
l’art. 49 richiama i commi 4 e 4-ter del d. l. n. 78 del 2010, come
convertito, ma non menziona l’art. 4-bis che, anche nella motivazione
della delibera stessa (pag. 8), risulta citato soltanto perche’
oggetto della disciplina dettata dal comma 4-ter, cui e’ attribuito
il carattere lesivo della potesta’ legislativa provinciale.
3.- In via preliminare, la difesa dello Stato ha eccepito il
carattere tardivo del ricorso, proposto «avverso norme del
decreto-legge, non modificate in sede di conversione e quindi, in
ipotesi, immediatamente lesive».
L’eccezione non e’ fondata.
L’efficacia immediata, propria del decreto-legge, e il
conseguente carattere lesivo che esso puo’ assumere, lo rendono
impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. E’ pur vero,
pero’, che soltanto con la legge di conversione il detto
provvedimento legislativo acquisisce stabilita’ (art. 77, terzo
comma, Cost.). In tale contesto, come questa Corte ha piu’ volte
affermato, la Regione puo’, a sua scelta, impugnare tanto il solo
decreto-legge, quanto la sola legge di conversione, quanto entrambi
(ex plurimis: sentenze n. 298 del 2009, n. 443 del 2007, n. 407 del
2005, n. 25 del 1996).
4.- Ancora in via preliminare, deve essere esaminata, d’ufficio,
l’ammissibilita’ del ricorso proposto dalla Provincia autonoma di
Trento, sotto il profilo della tardivita’ del deposito in giudizio
della ratifica del Consiglio provinciale relativa alla delibera di
proporre il ricorso stesso, adottata in via d’urgenza dalla Giunta
provinciale ai sensi dell’art. 54, numero 7), del d.P.R. n. 670 del
1972.
Tale inammissibilita’ non puo’ essere qui dichiarata.
Va premesso che, come ritenuto da questa Corte con la sentenza n.
142 del 2012, l’atto di ratifica del Consiglio provinciale in ordine
alla delibera adottata in via d’urgenza dalla Giunta provinciale,
avente ad oggetto la proposizione del ricorso davanti a questa Corte,
deve intervenire ed essere prodotto in giudizio al momento del
deposito del ricorso davanti alla Corte o, comunque, entro il termine
per la costituzione in giudizio del ricorrente.
Nella specie, il ricorso e’ stato proposto – come sopra si e’
visto – in base a delibera adottata in via di urgenza dalla Giunta
provinciale di Trento, ai sensi dell’art. 54, numero 7), dello
statuto, secondo cui alla Giunta medesima spetta «l’adozione, in caso
di urgenza, di provvedimenti di competenza del Consiglio da
sottoporsi per la ratifica al Consiglio stesso nella sua prima seduta
successiva». La ratifica di tale delibera da parte del Consiglio
provinciale – competente in via ordinaria a proporre ricorso ai sensi
dell’art. 98 del medesimo statuto – non e’ stata depositata in
giudizio entro il termine perentorio previsto per la costituzione
della parte ricorrente, cioe’ entro dieci giorni decorrenti dalla
notificazione del ricorso alla parte resistente (combinato disposto
del terzo comma dell’art. 32 e del comma quarto dell’art. 31 della
legge 11 marzo 1953, n. 87). La notificazione del ricorso al
Presidente del Consiglio dei ministri e’ avvenuta il 28 settembre
2010 e, pertanto, il termine per costituzione in giudizio della
ricorrente scadeva il decimo giorno successivo, ossia l’8 ottobre
2010 (in effetti, il deposito del ricorso, con allegate la sola
deliberazione della Giunta provinciale in data 17 settembre 2010 e la
procura speciale ai difensori, ha avuto luogo il 6 ottobre 2010). La
ratifica consiliare, che risulta intervenuta soltanto con
deliberazione n. 11 del 1° dicembre 2010, non e’ stata ovviamente
depositata in giudizio entro il suddetto termine perentorio dell’8
ottobre 2010.
Tuttavia, come sopra anticipato, l’inammissibilita’ del ricorso
derivante dall’indicata tardivita’ del deposito non puo’ essere
dichiarata nel presente giudizio. Si deve, infatti, tenere conto
della lunga prassi di questa Corte la quale, in numerose pronunce,
non ha rilevato l’inammissibilita’ del ricorso sotto tale profilo.
Siffatta prassi ha determinato, anche per l’obiettiva incertezza
interpretativa delle norme processuali in materia, un errore
scusabile tale da ingenerare nella Provincia autonoma un affidamento
circa la non perentorieta’ del suddetto termine di deposito (citata
sentenza n. 142 del 2012).
5.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sostituisce il testo
dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, ora recante la rubrica
«Segnalazione certificata di inizio di attivita’ – SCIA».
Il comma 1 del testo novellato (testo risultante anche da alcune
modifiche introdotte con provvedimenti successivi, tra i quali il
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo –
Prime disposizioni urgenti per l’economia» convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce che
«Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva,
permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attivita’
imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti
dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, e’
sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola
esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza,
all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco, nonche’ di quelli previsti
dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli
imposti dalla normativa comunitaria».
La disposizione prosegue specificando gli atti che devono essere
prodotti a corredo della segnalazione e dispone che quest’ultima, con
i relativi allegati, puo’ essere presentata mediante posta
raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti
per cui e’ previsto l’utilizzo esclusivo della modalita’ telematica;
in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della
ricezione da parte dell’amministrazione.
Il comma 2 stabilisce che «L’attivita’ oggetto della segnalazione
puo’ essere iniziata dalla data della presentazione della
segnalazione all’amministrazione competente».
Il comma 3 aggiunge che «L’amministrazione competente, in caso di
accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1,
nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di
cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attivita’ e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove cio’ sia possibile, l’interessato
provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita’ ed i
suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni
caso non inferiore a trenta giorni. E’ fatto comunque salvo il potere
dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso
di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorieta’ false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando
l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonche’ di
quelle di cui al capo VI del Testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa – Testo A), puo’ sempre e in ogni tempo
adottare i provvedimenti di cui al primo periodo».
Seguono, poi, altri commi, fino al 6-ter, tra i quali vanno
richiamati i commi 4 e 6-bis, quest’ultimo aggiunto dall’art. 5,
comma 2, lettera b), numero 2), del d.l. n. 70 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, poi ancora
modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il citato comma 4 stabilisce che «Decorso il termine per
l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3
ovvero di cui al comma 6-bis, all’amministrazione e’ consentito
intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per
la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell’impossibilita’ di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell’attivita’ dei privati alla normativa
vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei casi di Scia in materia
edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 e’ ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresi’ ferme
le disposizioni relative alla vigilanza sull’attivita’
urbanistico-edilizia, alle responsabilita’ e alle sanzioni previste
dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e
dalle leggi regionali».
Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, come
convertito, a sua volta statuisce che «Il comma 4-bis attiene alla
tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi
della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni "segnalazione
certificata di inizio attivita’" e "Scia" sostituiscono,
rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio di attivita’" e
"Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu’
ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di
inizio attivita’ recata da ogni normativa statale e regionale».
6.- La «segnalazione certificata d’inizio attivita’» (d’ora in
avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuita’ con l’istituto della
DIA, che dalla prima e’ stato sostituito. La DIA («denuncia di inizio
attivita’») fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 19
della legge n. 241 del 1990, inserito nel Capo IV di detta legge,
dedicato alla «Semplificazione dell’azione amministrativa».
Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto-legge 14 marzo
2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per
lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per
la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di
cassazione e di arbitrato, nonche’ per la riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, essa assunse la
denominazione di «dichiarazione di inizio attivita’».
Scopo dell’istituto era quello di rendere piu’ semplici le
procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico
degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive
anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei
procedimenti di abilitazione all’esercizio di attivita’ per le quali
sia necessario un controllo della pubblica amministrazione.
Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo radicato
nell’ordinamento italiano, e’ altresi’ di diretta derivazione
comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato
interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26
marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel
novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze
n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005).
7.- Il ricorso in esame censura la normativa impugnata nella
parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta
nell’art. 49, comma 4-bis, come attinente alla tutela della
concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali a norma dell’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., ha stabilito che la nuova disciplina si
sostituisca a quella gia’ esistente in tema di DIA (art. 49, comma
4-ter), modificando non soltanto la previgente disciplina statale ma
anche quella regionale. In tal modo la detta normativa avrebbe
interessato ambiti di legislazione regionale, ai sensi dell’art. 117,
terzo e quarto comma, Cost., quali la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il commercio,
oltre alle materie riservate dallo statuto di autonomia alla potesta’
legislativa primaria della Provincia autonoma.
8.- Nella giurisprudenza di questa Corte si e’ piu’ volte
affermato che, ai fini del giudizio di legittimita’ costituzionale,
la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una
natura diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro
oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono
essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume
rilievo la qualificazione che di esse da’ il legislatore, ma occorre
fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime,
tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e
riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse
tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010; n. 1 del 2008; n.
169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n. 29 del 1995).
In questo quadro, il richiamo alla tutela della concorrenza,
effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di
efficacia vincolante, e’ anche inappropriato. Infatti, la disciplina
della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa sotteso, si
riferisce ad «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio
di attivita’ imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui
rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e
presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale», e per il quale «non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione
settoriale».
Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo diretto alla
generalita’ dei cittadini e percio’ va oltre la materia della
concorrenza, anche se e’ ben possibile che vi siano casi nei quali
quella materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di
fattispecie da verificare in concreto (per esempio, in relazione
all’esigenza di eliminare barriere all’entrata nel mercato).
Invece, a diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento
all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78
del 2010, poi convertito in legge.
Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA, di cui al
precedente comma 4-bis, costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con
riferimento alla DIA, era stato affermato dall’art. 29, comma 2-ter,
della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1,
lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’ nonche’ in
materia di processo civile), poi ancora modificato dall’art. 49,
comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge.
Tale autoqualificazione, benche’ priva di efficacia vincolante
per quanto prima rilevato, si rivela corretta.
Al riguardo, va rimarcato che l’affidamento in via esclusiva alla
competenza legislativa statale della determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni e’ prevista in relazione ai «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione e’
strumento indispensabile per realizzare quella garanzia.
In questo quadro, si deve ricordare che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della
competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione
costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard
strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il
soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti,
con carattere di generalita’, a tutti gli aventi diritto» (sentenze
n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 387 del 2007).
Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale e’
invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la
normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»
(sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285
e n. 120 del 2005), e con esso e’ stato attribuito «al legislatore
statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di
una adeguata uniformita’ di trattamento sul piano dei diritti di
tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di
autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n. 10
del 2010 e n. 134 del 2006).
Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non tanto di
una "materia" in senso stretto, quanto di una competenza del
legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in
relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme
necessarie per assicurare in modo generalizzato sull’intero
territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come
contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione
regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e
n. 282 del 2002).
Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA ben si
presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione
dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di
assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, «la ratio
di tale titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti
primari che e’ destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso
puo’ rappresentare la base giuridica anche della previsione e della
diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della
fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data
prestazione, al fine di assicurare piu’ compiutamente il
soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela
(sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando cio’ sia
reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e
situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente
negativa» (sentenza n. 10 del 2010, punto 6.3. del Considerato in
diritto).
Orbene – premesso che l’attivita’ amministrativa puo’ assurgere
alla qualifica di "prestazione", della quale lo Stato e’ competente a
fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di
individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti
privati – la normativa qui censurata prevede che gli interessati, in
condizioni di parita’ su tutto il territorio nazionale, possano
iniziare una determinata attivita’ (rientrante nell’ambito del citato
comma 4-bis), previa segnalazione all’amministrazione competente. Con
la presentazione di tale segnalazione, il soggetto puo’ dare inizio
all’attivita’, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza
dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso di
SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto
di prosecuzione dell’attivita’ e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salva la possibilita’ che l’interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attivita’ ed i suoi effetti
entro un termine fissato dall’amministrazione.
Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilita’ di
dare immediato inizio all’attivita’ (e’ questo il principale novum
della disciplina in questione), fermo restando l’esercizio dei poteri
inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli
estremi. Inoltre, e’ fatto salvo il potere della stessa pubblica
amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del
1990.
Si tratta di una prestazione specifica, circoscritta all’inizio
della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad efficacia
legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione
dell’azione amministrativa ed e’ finalizzata ad agevolare
l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il
diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della
pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di
fatto che autorizzano l’iniziativa medesima.
9.- Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate anche alla
SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone l’art.
5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011,
entro i limiti e con le esclusioni previsti.
Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda soltanto il
momento iniziale di un intervento di semplificazione procedimentale,
e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso di costruire
(i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via generale dal
d.P.R. n. 380 del 2001), non puo’ porsi in dubbio che le esigenze di
semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio
nazionale valgano anche per l’edilizia. E’ ben vero che questa, come
l’urbanistica, rientra nel «governo del territorio», materia
appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e
Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.).
Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in tale materia spetta
comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel cui novero
va ricondotta la semplificazione amministrativa), e’ vero del pari
che nel caso di specie, sulla base degli argomenti in precedenza
esposti, il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella
specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell’esigenza di
determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale. In altri
termini, si e’ in presenza di un concorso di competenze che, nella
fattispecie, vede prevalere la competenza esclusiva dello Stato,
essendo essa l’unica in grado di consentire la realizzazione
dell’esigenza suddetta.
Il richiamo all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
non e’ pertinente. Infatti, e’ vero che, in base al dettato di tale
norma, «Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni
della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a
statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per
le parti in cui prevedono forme di autonomia piu’ ampie rispetto a
quelle gia’ attribuite». Tuttavia, nel caso in esame viene in rilievo
un parametro costituzionale, cioe’ l’art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., che, come ora si e’ visto, postula tutele necessariamente
uniformi su tutto il territorio nazionale e tale risultato non puo’
essere assicurato dalla Regione, ancorche’ ad autonomia
differenziata, la cui potesta’ legislativa e’ pur sempre circoscritta
all’ambito territoriale dell’ente (nelle cui competenze legislative,
peraltro, non risulta presente una materia riconducibile a quella
prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
10.- Infine, e’ stata dedotta dalle ricorrenti la violazione del
principio di leale collaborazione. La deduzione, tuttavia, non e’
fondata, perche’, pur volendo prescindere dal carattere assorbente
delle considerazioni che precedono, costituisce «giurisprudenza
pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attivita’ legislativa
sfugge alle procedure di leale collaborazione» (cosi’, da ultimo,
sentenze n. 371 e n. 222 del 2008, e n. 401 del 2007).
11.- Conclusivamente, la riconduzione della disciplina in esame
all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non
fondatezza delle questioni, sotto tutti i profili, in quanto la
normativa censurata rientra nella competenza legislativa esclusiva
dello Stato, ai sensi del parametro costituzionale ora citato.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni
di legittimita’ costituzionale sollevate dalla Provincia autonoma di
Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, nei confronti del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 49, comma 4-ter, del citato decreto-legge n. 78 del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.
122, promosse dalla ricorrente in riferimento all’articolo 8, numeri
1), 9), 14) e 20) e all’articolo 9, numeri 3), 7) e 10) del decreto
del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), o comunque in riferimento al
Titolo V Parte II della Costituzione in connessione con l’articolo 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione), in riferimento al decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche’ la
potesta’ statale di indirizzo e coordinamento), nonche’ in
riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione e al principio
di leale collaborazione.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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