Corte Costituzionale, Sentenza n. 204 del 2012, In tema di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 25-7-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 304,
comma 2, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di
Brescia, sezione riesame, nel procedimento penale a carico di A.A. ed
altri con ordinanza depositata il 24 novembre 2011, iscritta al n. 4
del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza depositata il 24 novembre 2011 (r.o. n. 4 del
2012), il Tribunale di Brescia, sezione riesame, ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento agli
articoli 3 e 13, quinto comma, della Costituzione, dell’articolo 304,
comma 2, del codice di procedura penale «nella parte in cui consente
di definire "particolarmente complesso" il dibattimento in cui sia
stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione
delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere
espletata nelle fasi anteriori al dibattimento stesso».
Il rimettente premette di procedere in sede di rinvio in seguito
all’annullamento deciso dalla Corte di cassazione, con sentenza del 7
aprile 2011 (depositata il 7 luglio 2011), dell’ordinanza in data
9-11 novembre 2010 dello stesso tribunale in sede di appello. In tale
sentenza la Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui
la scelta del momento in cui disporre la perizia puo’ dipendere dai
piu’ vari accadimenti processuali, senza che il codice di rito
autorizzi la deduzione di conseguenze particolari dalla circostanza
che la trascrizione delle intercettazioni sia stata eventualmente
disposta nel dibattimento, invece che nelle indagini o nell’udienza
preliminare, e, dopo aver rilevato che l’ordinanza impugnata era
incorsa in violazione di legge, avendo ritenuto irregolare la scelta
del pubblico ministero di procedere alla trascrizione in sede
dibattimentale, ne ha statuito l’annullamento con rinvio al tribunale
per un nuovo esame.
Riferisce ancora il rimettente che l’ordinanza del 9 novembre
2010 aveva confermato l’ordinanza del 14 ottobre 2010 con la quale,
nei confronti di vari imputati in stato di custodia cautelare in
carcere per fatti di detenzione e di spaccio di sostanze
stupefacenti, il Tribunale, di fronte al quale era in corso il
dibattimento, aveva rigettato la richiesta del pubblico ministero di
sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 304,
comma 2, cod. proc. pen.: secondo il Tribunale la sospensione per gli
imputati ai quali era contestata la circostanza aggravante prevista
dall’art. 80, comma 2, del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza) non era necessaria, perche’ i termini sarebbero
scaduti nel maggio del 2011, mentre per gli altri non era
applicabile, dato che i reati di cui dovevano rispondere non
rientravano tra quelli indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a),
cod. proc. pen.
Investita dell’appello del pubblico ministero, la sezione riesame
del Tribunale, con la gia’ richiamata ordinanza del 9 novembre 2010,
aveva confermato il provvedimento di primo grado, respingendo la
domanda di sospensione dei termini di custodia cautelare: infatti,
pur condividendo le osservazioni del pubblico ministero circa
l’applicabilita’ dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. a tutti i
coimputati, sebbene solo ad alcuni di essi fosse stato contestato uno
dei reati indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc.
pen., il giudice dell’appello cautelare aveva ritenuto insussistente
il requisito della «particolare complessita’» del dibattimento.
Ricostruiti i diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte
di cassazione, il Tribunale aveva aderito a quello secondo cui la
perizia di trascrizione delle intercettazioni non assume il carattere
della «necessita’ ed inevitabilita’», presupposto necessario per
l’applicazione dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., quando la sua
esecuzione in sede dibattimentale sia stata il frutto di una scelta
discrezionale del pubblico ministero, che non ha proceduto alla
richiesta di trascrizione in conformita’ al disposto dell’art. 268
cod. proc. pen.
Pur in adesione «a quell’orientamento pacifico della Suprema
Corte che legittima la trascrizione delle intercettazioni in sede
dibattimentale essendo la relativa prova costituita dai supporti
fonici», il giudice dell’appello cautelare aveva affermato che «il
profilo della legittimita’ e della utilizzabilita’ della perizia di
trascrizione in dibattimento non poteva essere confuso con il profilo
delle ricadute della scelta del Pubblico Ministero sul regime
cautelare dell’imputato (e, pertanto, sulla nozione di particolare
complessita’ che condiziona la durata della custodia cautelare), a
fronte di norme che, pur in assenza di sanzioni procedimentali,
comunque imponevano la trascrizione nella fase antecedente il
dibattimento». Questa tesi non era stata accolta dalla Corte di
cassazione che aveva disposto l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata affermando il principio di diritto
precedentemente indicato.
Nel giudizio di rinvio il Tribunale ha espresso l’avviso che
l’interpretazione dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. accolta
dalla Corte di cassazione – alla quale il rimettente era tenuto a
uniformarsi ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. –
sollevi forti dubbi di legittimita’ costituzionale in relazione agli
artt. 3 e 13 Cost. Indubbia sarebbe poi la rilevanza della questione
in quanto «la decisione dell’impugnazione transita necessariamente
dall’esegesi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. indicata dalla
Suprema Corte».
Nella prospettazione del rimettente l’art. 304 cod. proc. pen.,
che – fermi i limiti invalicabili di durata stabiliti dal sesto comma
– consente, in presenza di una delle situazioni individuate, «uno
slittamento dei termini massimi di custodia» di cui all’art. 303 cod.
proc. pen., costituirebbe un’eccezione. Secondo la giurisprudenza
costituzionale, osserva ancora il rimettente, nella materia dei
termini di durata della custodia cautelare, gli organi titolari del
potere cautelare non avrebbero una possibilita’ di scelta del giorno
di decorrenza della custodia (sentenze n. 233 del 2011 e n. 408 del
2005, relative alla disciplina di cui all’art. 297, comma 3, cod.
proc. pen.) e, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela
(liberta’ personale, da un lato, e finalita’ del processo e tutela
della collettivita’, dall’altro) risiederebbe la giustificazione del
temporaneo sacrificio della liberta’ personale ex art. 13 Cost., che
impone soluzioni comportanti il minor sacrificio di tale liberta’
(sentenza n. 299 del 2005). Sempre nella giurisprudenza
costituzionale si rintraccerebbe l’affermazione che i diritti
inviolabili dell’uomo – tra i quali quello alla liberta’ personale –
rispondono a un principio di valore fondamentale e di carattere
generale, sicche’ «ogni limitazione o soppressione di quei diritti ha
natura derogatoria e eccezionale e le relative norme vanno
interpretate in modo rigorosamente restrittivo» (sentenze n. 298 del
1994 e n. 349 del 1993).
Dall’esame della giurisprudenza costituzionale il rimettente
ritiene di poter enucleare alcuni punti fermi: «l’inviolabilita’
della liberta’ personale, garantita dalla riserva di legge sia per i
casi in cui e’ ammessa la restrizione che per i relativi tempi di
durata, impone un’interpretazione restrittiva delle norme limitative
stante la loro natura derogatoria del diritto»; il sacrificio della
liberta’ personale deve essere ridotto al minimo; le limitazioni
della liberta’ personale connesse alle vicende processuali devono
rispettare il principio di proporzionalita’, sicche’ i relativi
limiti vanno ragguagliati, oltre che alla pena, alla concreta
dinamica processuale e alle fasi in cui questa si sviluppa; «la
durata della custodia cautelare deve dipendere da fatti obiettivi,
cosi’ da rispettare i canoni dell’uguaglianza e della
ragionevolezza». Il rimettente aggiunge che secondo la Corte
costituzionale la durata della custodia cautelare non puo’ essere
determinata da imponderabili valutazioni soggettive degli organi
titolari del potere cautelare (sentenza n. 408 del 2005) e il diritto
alla liberta’ personale (in termini di durata della custodia
cautelare) non puo’ subire deroghe o eccezioni riferite a particolari
e contingenti vicende processuali (sentenza n. 299 del 2005).
In questo quadro, l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., ampliando
i termini della custodia cautelare, introdurrebbe un’ulteriore deroga
al regime di liberta’ personale, consentendo il prolungamento dei
limiti massimi di durata della restrizione stabiliti dall’art. 303
cod. proc. pen., prolungamento subordinato alla circostanza che si
proceda per i delitti normativamente indicati e al requisito della
«particolare complessita’» del dibattimento.
Con la sentenza di annullamento, sottolinea il rimettente, la
Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui
l’espletamento di una perizia puo’ integrare il requisito della
particolare complessita’; ha confermato che tale perizia deve avere
il carattere della necessita’ e della inevitabilita’; ha ritenuto
indifferente, nella valutazione di tale requisito, «l’osservanza o
meno dell’art. 268 cod. proc. pen. nella trascrizione delle
intercettazioni telefoniche, cosi’ reputando irrilevante – ai fini
della legittimita’ della sospensione dei termini di custodia – la
scelta del Pubblico Ministero di richiedere la perizia di
trascrizione in dibattimento ovvero nelle fasi anteriori».
L’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., cosi’ interpretato, sarebbe
in contrasto con il principio costituzionale della riserva di legge
nella predeterminazione dei termini massimi di custodia cautelare
(art. 13, quinto comma, Cost.), dato che la perizia di trascrizione
deve essere espletata, ai sensi dell’art. 268, comma 7, cod. proc.
pen., all’esito delle operazioni di intercettazione e nella fase
antecedente al dibattimento (indagini preliminari o udienza
preliminare) e che e’ consentito, a norma dell’art. 392, comma 2,
cod. proc. pen., il ricorso all’incidente probatorio per le perizie
di durata prevedibilmente superiore a sessanta giorni. Il sistema
prevede, dunque, «l’espletamento della perizia di trascrizione o piu’
in generale di una perizia laboriosa e di lunga durata, nella fase
delle indagini preliminari (o anche in sede di udienza preliminare),
anticipandone l’esecuzione in ragione della tipologia (la perizia di
trascrizione inscindibilmente connessa all’attivita’ di
intercettazione propria della fase delle indagini) ovvero in ragione
di una complessita’ inconciliabile con le esigenze di celerita’ del
dibattimento». L’interpretazione in base alla quale le nozioni di
«particolare complessita’» del dibattimento e di «perizia necessaria
ed inevitabile» sono ancorate a «scelte procedurali del Pubblico
Ministero imprevedibili e soggettive e comunque difformi
dall’impianto legislativo sopra ricostruito (come nell’ipotesi in cui
la perizia di trascrizione sia richiesta in sede dibattimentale)»
determinerebbe una sostanziale violazione dell’art. 13, quinto comma,
Cost.; infatti «quelle scelte comportano che la prolungata durata
massima della custodia cautelare (in deroga a quella di fase
dell’art. 303 c.p.p.) e’ determinata non gia’ alla stregua di fatti e
situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti per legge» – come
avviene per la disciplina contenuta nel primo comma dello stesso art.
304 cod. proc. pen. – «bensi’ alla stregua di determinazioni
imponderabili del Pubblico Ministero a seconda che decida di
richiedere la perizia di trascrizione durante la fase delle indagini
preliminari o nell’udienza preliminare, oppure nella successiva fase
dibattimentale. E la scelta del Pubblico Ministero di richiedere la
perizia in sede dibattimentale si risolve in una iniziativa a maggior
ragione imprevedibile, posto che sarebbe comunque una soluzione
assunta in difformita’ dalle norme del codice, e percio’
legislativamente non disciplinata».
La circostanza che tale scelta procedimentale sia immune da
sanzioni processuali di nullita’ o di inutilizzabilita’, osserva il
rimettente richiamando un costante orientamento della giurisprudenza
di legittimita’, «non elide il profilo di irregolarita’ della
determinazione dell’organo dell’accusa allorche’ e’ attivata la
perizia di trascrizione in una sede non propria e questa
irregolarita’ ha una sua specifica pregnanza perche’ incide sul
regime della liberta’ personale ampliandone il sacrificio in termini
di durata». L’affermazione secondo cui e’ necessaria e inevitabile
anche una perizia che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle
fasi antecedenti al dibattimento ed e’ stata, invece, differita per
una libera scelta del pubblico ministero determinerebbe un’assoluta
imprevedibilita’ dei termini massimi di fase della custodia cautelare
«laddove assume quale presupposto di applicazione della norma un iter
procedimentale dissonante e imprevisto rispetto al dettato
legislativo»: tale difformita’ rimetterebbe esclusivamente all’organo
titolare del potere cautelare la scelta di seguire o meno la
procedura del codice di rito e di determinare eventualmente un
prolungamento dei termini di durata della custodia cautelare. Questo
effetto, ad avviso del rimettente, vanificherebbe il precetto
costituzionale della riserva di legge, dal momento che la nozione
legislativa di dibattimento particolarmente complesso di cui all’art.
304, comma 2, cod. proc. pen. sarebbe interpretata in termini tali da
attribuire al pubblico ministero la liberta’ di prolungare o meno la
durata della custodia cautelare in assenza di situazioni oggettive
legislativamente indicate ed anzi adottando «procedure normativamente
dissonanti». Diversamente, «una delimitazione della nozione di
particolare complessita’ alle sole perizie che non avrebbero potuto o
dovuto essere eseguite nelle fasi anteriori al dibattimento, perche’
la relativa esigenza e’ consequenziale all’istruttoria dibattimentale
e non vi era alcun obbligo normativo in senso opposto (perizie
necessarie e inevitabili)», determinerebbe un sostanziale rispetto
della norma costituzionale, restringendo l’ambito applicativo
dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. alle sole situazioni in linea
con il sistema delle norme di rito e a quelle ipotesi in cui
l’urgenza della perizia e’ conseguente allo sviluppo dell’istruttoria
dibattimentale; in tali casi il prolungamento dei termini di custodia
cautelare si giustificherebbe esclusivamente in relazione ad
accadimenti e sviluppi dibattimentali imprevisti, restringendo
l’ambito applicativo della disposizione in questione, cosi’ da
rispettare l’esigenza del minimo sacrificio della liberta’ personale.
Osserva ancora il rimettente che l’interpretazione dell’art. 304,
comma 2, cod. proc. pen. accolta dalla Corte di cassazione sarebbe in
contrasto con il principio di uguaglianza in quanto la durata della
custodia cautelare nella fase dibattimentale sarebbe condizionata
dalla «solerzia o meno del Pubblico Ministero nella richiesta di
perizia di trascrizione»: la soluzione accolta dalla Corte di
cassazione «tratteggia una disciplina normativa irragionevole
allorche’ contempla termini di fase differenti in assenza di
situazioni obiettive che giustifichino tale differenziazione»,
poiche’ la maggior ampiezza dei termini di custodia cautelare
rispetto a quelli previsti dall’art. 303 cod. proc. pen. «e’
conseguenza esclusiva di un imponderabile atteggiamento del Pubblico
Ministero, derivandone una disciplina diseguale per identiche
situazioni».
2.- E’ intervenuto nel giudizio di legittimita’ costituzionale il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione
sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
Nel costituirsi l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l’inammissibilita’ della questione per difetto di rilevanza, perche’
il giudice avrebbe potuto dichiarare la «non particolare complessita’
del giudizio» con altra motivazione e ponendo alla base di essa
elementi diversi: il vincolo imposto dall’art. 627 cod. proc. pen.
infatti non precluderebbe al giudice di rinvio la possibilita’ di
confermare con altra motivazione la precedente valutazione circa la
non complessita’ del dibattimento.
Nel merito, osserva l’Avvocatura dello Stato, la particolare
complessita’ del giudizio deriverebbe da ragioni oggettive collegate
al contenuto della perizia e delle intercettazioni, dalla varieta’
delle lingue utilizzate e non da fattori soggettivi quali la
valutazione discrezionale del pubblico ministero sul momento
processuale in cui chiedere la trascrizione: «in caso di perizia
oggettivamente complessa, anche se il P.M. la anticipasse all’udienza
preliminare nulla cambierebbe circa la complessita’ delle operazioni
peritali ed il tempo necessario ad espletarla, incidendo comunque sul
decorrere del termine di fase della custodia cautelare in corso».

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Brescia, sezione riesame, dubita della
legittimita’ costituzionale dell’articolo 304, comma 2, del codice di
procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione
della Corte di cassazione, vincolante per il giudice rimettente ex
art. 627, comma 3, cod. proc. pen. – «consente di definire
"particolarmente complesso" il dibattimento in cui sia stata disposta
una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle
intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere
espletata nelle fasi anteriori al dibattimento stesso». Ad avviso del
giudice rimettente, la norma censurata sarebbe in contrasto con il
principio della riserva di legge nella predeterminazione dei termini
di durata massima della custodia cautelare, perche’ la sospensione di
tali termini sarebbe disposta «non gia’ alla stregua di fatti e
situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti per legge», ma
sulla base di scelte del pubblico ministero relative al momento in
cui richiedere la perizia (in particolare, quella per la trascrizione
delle registrazioni) imponderabili e imprevedibili, in quanto
difformi dal sistema legislativo che prevede «l’espletamento della
perizia di trascrizione, o piu’ in generale di una perizia laboriosa
e di lunga durata, nella fase delle indagini preliminari (o anche in
sede di udienza preliminare)».
La norma censurata, inoltre, violerebbe il principio di
uguaglianza, perche’ la durata della custodia cautelare nella fase
dibattimentale sarebbe condizionata dalla «solerzia o meno del
Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione» e
verrebbe ad essere differenziata «in assenza di situazioni obiettive
che giustifichino tale differenziazione», cosi’ derivandone «una
disciplina diseguale per identiche situazioni».
2.- L’eccezione di inammissibilita’ proposta dall’Avvocatura
generale dello Stato non e’ fondata.
Secondo l’Avvocatura il giudice rimettente aveva la possibilita’,
in sede di rinvio, di «confermare con altra motivazione la precedente
valutazione circa la non complessita’ del dibattimento», e per questa
ragione la questione sarebbe priva di rilevanza. E’ vero pero’ che se
la decisione della Corte di cassazione non impediva di ritenere che
la trascrizione delle intercettazioni avrebbe potuto essere
effettuata in un tempo minore, e dunque in ogni caso non era tale da
determinare una particolare complessita’ del dibattimento, e’ anche
vero che il giudice di rinvio non e’ stato di questo parere e ha
ribadito che «la laboriosita’ della perizia per mole di conversazioni
e connotati dei fonemi» comportava necessariamente un rilevante
prolungamento del dibattimento e ha dato cosi’ adeguatamente ragione
della rilevanza della questione sollevata.
Percio’ la prospettazione da parte dell’Avvocatura dello Stato,
in via del tutto ipotetica, di altri possibili motivi che il
rimettente avrebbe potuto porre a base della decisione sulla "non
particolare complessita’ del dibattimento" non inficia il rilievo del
giudice a quo secondo cui «la decisione dell’impugnazione transita
necessariamente dall’esegesi dell’art. 304 c. 2 c.p.p., indicata
dalla Suprema Corte». Il rimettente deve pronunciarsi in sede di
appello cautelare in seguito all’annullamento disposto dalla Corte di
cassazione, che ha statuito un principio di diritto per lui
vincolante, a norma dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.: egli
pertanto deve applicare l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen.,
nell’interpretazione accolta dalla sentenza della Corte di cassazione
e sulla quale si incentra il dubbio di legittimita’ costituzionale.
Deve aggiungersi che, «per costante giurisprudenza di questa
Corte, il giudice del rinvio e’ legittimato a sollevare dubbi di
costituzionalita’ concernenti l’interpretazione della norma, quale
risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di
cassazione: e cio’ in quanto – essendo vincolato al rispetto di tale
principio – egli non ha altro mezzo per contestare la regula iuris di
cui e’ chiamato a fare applicazione che quello di sollevare
l’incidente di costituzionalita’» (ordinanza n. 133 del 2009).
3.- Nel merito, la questione non e’ fondata.
4.- L’ordinanza di rimessione si muove su due piani: quello della
trascrizione delle intercettazioni, prevista dall’art. 268, comma 7,
cod. proc. pen., e quello della perizia di lunga durata, che a norma
dell’art. 392, comma 2, cod. proc. pen. puo’ essere espletata nel
corso delle indagini preliminari, con l’incidente probatorio.
L’apparente ambiguita’ e’ sciolta con l’assorbimento della questione
relativa alla trascrizione in quella piu’ generale relativa alla
perizia, come, oltre che dalla motivazione, emerge in modo chiaro dal
dispositivo, dato che e’ stata sollevata «la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 304 c. 2 c.p.p. nella parte in
cui consente di definire particolarmente complesso il dibattimento in
cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di
trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o
dovuto essere espletata nelle fasi anteriori al dibattimento». «In
altre parole» – precisa la motivazione – «l’affermazione secondo cui
e’ necessaria e inevitabile anche una perizia che avrebbe potuto o
dovuto essere espletata nelle fasi antecedenti al dibattimento ed e’
stata, invece, differita a quest’ultima fase per una scelta libera
del Pubblico Ministero, determina un’assoluta imprevedibilita’ dei
termini massimi di fase della custodia cautelare laddove assume quale
presupposto di applicazione della norma un iter procedimentale
dissonante e imprevisto rispetto al dettato legislativo; e questa
peculiare difformita’ rimette esclusivamente alla scelta dell’organo
titolare del potere cautelare di seguire o meno la procedura del
codice di rito e – giocoforza – di determinare un prolungamento dei
termini ex art. 303 c.p.p.».
5.- Nell’ambito della disciplina dei termini della custodia
cautelare l’art. 304 cod. proc. pen. prevede due ipotesi di
sospensione: quella del primo comma «consegue pressoche’ di diritto
al verificarsi degli eventi da esso indicati e senza che venga
richiesta alcuna iniziativa del pubblico ministero», sicche’ il
relativo provvedimento assume «i connotati dell’atto vincolato in
presenza delle condizioni richieste dalla legge»; quella del secondo
comma, invece, «deriva da situazioni oggettive che devono essere
verificate da parte del giudice (particolare complessita’ del
dibattimento)», e il relativo provvedimento deve essere ascritto alla
«categoria di quelli a discrezionalita’ vincolata» (sentenza n. 238
del 1997).
La questione di legittimita’ costituzionale si riferisce al
secondo comma, nel presupposto che l’esecuzione nel dibattimento di
una perizia che si sarebbe potuta svolgere nel corso delle indagini
preliminari dipenda da scelte del pubblico ministero che non
potrebbero giustificare la sospensione dei termini di custodia
cautelare prevista dall’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. Infatti,
secondo il giudice rimettente, «la prolungata durata massima della
custodia cautelare (in deroga a quella di fase dell’art. 303 c.p.p.)
e’ determinata non gia’ alla stregua di fatti e situazioni
obiettivamente rilevabili e prestabiliti dalla legge» – come avviene
nei casi previsti dal comma 1 dell’art. 304 cod. proc. pen. – «bensi’
alla stregua di determinazioni imponderabili del Pubblico Ministero a
seconda che decida di richiedere la perizia di trascrizione durante
la fase delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, oppure
nella successiva fase dibattimentale».
Questa impostazione pero’ non considera che, secondo il codice di
rito, la perizia e’ un mezzo di prova che, in presenza dei
presupposti di legge, e’ disposto dal giudice su richiesta delle
parti o anche d’ufficio e che nel corso delle indagini preliminari
entrambe le parti hanno la facolta’ di chiedere una perizia che, se
fosse eseguita nel dibattimento, ne potrebbe determinare una
sospensione superiore a sessanta giorni (art. 392, comma 2, cod.
proc. pen.). Percio’ non si puo’ configurare a carico del solo
pubblico ministero l’onere di richiedere nella fase delle indagini
preliminari una perizia per evitare un eventuale prolungamento del
dibattimento.
Le ragioni per riservare al dibattimento la valutazione
sull’opportunita’ di una perizia possono essere diverse e non puo’
non rilevarsi che, come ha sottolineato questa Corte, «il giudice,
senza necessita’ di disporre perizia, puo’ legittimamente desumere
elementi di prova dall’esame dei consulenti tecnici dei quali le
parti si siano avvalse» (sentenza n. 33 del 1999), e che quando e’
stata fatta una consulenza tecnica e’ possibile che solo nel
dibattimento questa si riveli insufficiente.
E’ chiaro dunque che non puo’ formare oggetto di addebito al
pubblico ministero il mancato svolgimento nel corso delle indagini di
una perizia che poi si e’ svolta nel dibattimento, e tanto meno puo’
ritenersi che un fatto del genere sia in ogni caso ingiustificato.
In realta’ la «concreta dinamica del processo» (sentenza n. 299
del 2005), in rapporto con le iniziative probatorie delle parti, puo’
essere fonte di effetti diversi, e rispetto a questi non puo’ non
essere affidato alla «discrezionalita’ vincolata» del giudice
(sentenza n. 238 del 1997) l’apprezzamento della "particolare
complessita’ del dibattimento", alla quale l’art. 304, comma 2, cod.
proc. pen. collega la sospensione della custodia cautelare. Insomma,
l’eventuale iniziativa del pubblico ministero relativa a una perizia
rientra nella fisiologia delle dinamiche probatorie, cosi’ come
rientra nella fisiologia processuale la possibilita’ di definire, ai
sensi della norma censurata, "particolarmente complesso" il
dibattimento, quando si debba eseguire una perizia che presenti
particolari caratteristiche di difficolta’ e durata. Da questo punto
di vista la censura in termini di «imprevedibilita’» e di
«imponderabilita’» delle scelte del pubblico ministero relative
all’espletamento della perizia, che nella prospettiva del rimettente
sta alla base dell’asserita violazione dell’art. 13, quinto comma,
Cost. e del principio di uguaglianza, e’ priva di fondamento perche’
non tiene conto del carattere "fisiologico" delle diverse
determinazioni che il pubblico ministero puo’ essere di volta in
volta chiamato ad adottare nell’ambito delle dinamiche probatorie del
processo.
Considerazioni non dissimili possono farsi anche per quanto piu’
specificamente concerne la trascrizione delle intercettazioni.
Innanzi tutto si deve osservare che ne’ nella fase delle
indagini, ne’ in quella del dibattimento occorre una richiesta di
trascrizione da parte del pubblico ministero: l’art. 268, comma 7,
cod. proc. pen. prevede infatti che sia il giudice a disporre
direttamente «la trascrizione integrale delle registrazioni», e la
stessa regola dovrebbe valere anche nel dibattimento, quando nella
fase delle indagini non si e’ svolta la selezione delle
intercettazioni prevista dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. Sono
percio’ prive di base giuridica le considerazioni del giudice
rimettente sulla «solerzia (…) del Pubblico Ministero nella
richiesta di perizia di trascrizione», dato che la richiesta non e’
prevista. Nella prospettiva del giudice rimettente potrebbe piuttosto
farsi riferimento a un’eventuale mancanza di impulso, da parte del
pubblico ministero, al procedimento di selezione delle
intercettazioni, previsto dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., al
quale, su disposizione del giudice, consegua la trascrizione, ma la
questione allora sarebbe diversa.
E’ da aggiungere che secondo un orientamento della giurisprudenza
di legittimita’, come ha ricordato questa Corte, «la trascrizione
(anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una
conversazione, ma va considerata solo come un’operazione
rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite
mediante la registrazione fonica» (sentenza n. 336 del 2008).
Inoltre, va osservato, da un lato, che l’espletamento nel
dibattimento di una perizia di lunga durata o della trascrizione di
intercettazioni non comporta necessariamente un prolungamento della
fase dibattimentale, perche’ e’ ben possibile che l’attivita’ del
perito si svolga contemporaneamente all’assunzione delle prove, e,
dall’altro, che la trascrizione delle intercettazioni nel corso delle
indagini potrebbe prolungare la custodia cautelare in tale fase,
quando il deposito degli atti delle intercettazioni e’ ritardato fino
al momento della chiusura delle indagini (art. 268, comma 5, cod.
proc. pen.). Infatti, se dopo si desse corso al procedimento per la
selezione delle intercettazioni e per la loro trascrizione si
potrebbe determinare un’inutile prosecuzione della fase, con il
correlativo mantenimento della custodia cautelare.
Inoltre, un rinvio della trascrizione delle intercettazioni a
dopo la chiusura delle indagini preliminari potrebbe essere dettato
anche da ragioni di economia processuale nella fondata previsione che
il procedimento potra’ essere definito nell’udienza preliminare con
un patteggiamento o con un giudizio abbreviato.
6.- A sostegno delle censure formulate nei confronti dell’art.
304, comma 2, cod. proc. pen., il rimettente ha richiamato anche la
sentenza n. 408 del 2005 di questa Corte, in tema di "contestazioni a
catena", effettuando, nell’ambito della sospensione dei termini della
custodia cautelare, una trasposizione dell’affermazione, contenuta in
tale sentenza, volta ad evitare ricadute negative sulla durata della
custodia cautelare della «imponderabile valutazione soggettiva degli
organi titolari del "potere cautelare"».
La trasposizione non ha fondamento.
Gli istituti della retrodatazione, in presenza di "contestazioni
a catena", e della sospensione della custodia cautelare sono
radicalmente diversi: il primo tende ad evitare che, rispetto a una
custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza
adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in
avanti del termine iniziale della misura, mentre il secondo,
nell’ambito del titolo originario e dei relativi termini, prevede
casi di sospensione, pur essi limitati nel tempo, e giustificati da
particolari situazioni processuali.
L’introduzione di «parametri certi e predeterminati» nella
disciplina delle "contestazioni a catena" risponde all’esigenza di
«configurare limiti obiettivi e ineludibili alla durata dei
provvedimenti che incidono sulla liberta’ personale» (sentenza n. 89
del 1996), in assenza dei quali si potrebbe «espandere la restrizione
complessiva della liberta’ personale dell’imputato, tramite il
"cumulo materiale" – totale o parziale – dei periodi custodiali
afferenti a ciascun reato» (sentenza n. 233 del 2011). La disciplina
delle "contestazioni a catena", dunque, si caratterizza per una
rigidita’ indispensabile a scongiurare il rischio di un’espansione,
potenzialmente indefinita, della restrizione complessiva della
liberta’ personale, ed e’ in nome di questa rigidita’ che la
disciplina delle "contestazioni a catena" non tollera alcuna
«imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del
"potere cautelare"».
La stessa rigidita’ non caratterizza anche la disciplina della
sospensione dei termini di durata massima, incentrata, per quel che
qui rileva, su un provvedimento che attribuisce al giudice
l’apprezzamento – "a discrezionalita’ vincolata" – della "particolare
complessita’ del dibattimento".
La circostanza che la "particolare complessita’ del dibattimento"
possa essere condizionata dalla «concreta dinamica del processo» e
che questa, a sua volta, si ricolleghi alle iniziative probatorie
delle parti – e segnatamente, per quanto qui rileva, a quelle del
pubblico ministero concernenti una perizia – non determina alcun
vulnus costituzionale in un sistema che e’ caratterizzato, tra
l’altro, dalla previsione dei «termini finali complessivi, in
funzione di limite massimo insuperabile (c.d. massimo dei massimi)
anche ove si verifichino ipotesi di sospensione, proroga o
neutralizzazione del decorso dei termini di custodia cautelare»
(sentenza n. 299 del 2005).
Le determinazioni del pubblico ministero sono sottoposte a un
duplice vaglio del giudice (il primo, sulla ammissione della perizia;
il secondo, sulla "particolare complessita’ del dibattimento") e
rispetto ad esse la disciplina della durata massima della custodia
cautelare reagisce non gia’ "sterilizzandone" l’incidenza sulla
durata della custodia, ma assicurando una regolamentazione, per
riprendere ancora le espressioni della sentenza n. 299 del 2005, che
copre «l’intera durata del procedimento» e garantisce «un ragionevole
limite di durata della custodia»: e’, dunque, questa articolata
regolamentazione dei termini che, per un verso, assicura al sistema
processuale la compatibilita’ del ruolo del pubblico ministero nella
«concreta dinamica del processo» – e, segnatamente, in quella
probatoria – con l’osservanza della riserva di legge nella
predeterminazione dei termini di durata massima e, per altro verso,
esclude che il concreto dispiegarsi della dinamica processuale possa
determinare disparita’ di trattamento lesive del principio di
uguaglianza.
Un’articolata disciplina dei termini di durata, che preveda
«termini finali complessivi, in funzione di limite massimo
insuperabile (c.d. massimo dei massimi)», e copra «l’intera durata
del procedimento», garantendo «un ragionevole limite di durata della
custodia», da un lato, e l’attribuzione al giudice di una
«discrezionalita’ vincolata» nella valutazione della sussistenza dei
presupposti per la sospensione ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen.,
dall’altro, fanno escludere che le iniziative del pubblico ministero
circa l’espletamento della perizia, in grado di influire sulla
«concreta dinamica del processo», possano entrare in contrasto con i
parametri costituzionali evocati dal rimettente.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 13, quinto comma, della
Costituzione, dal Tribunale di Brescia, sezione riesame, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *