Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-03-2011, n. 6142 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il sig. C.G. con ricorso alla Corte d’appello di Napoli in data 4 marzo 2008 chiedeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001 la liquidazione dell’equa riparazione, in Euro 13.250,00 per il danno non patrimoniale derivatogli dall’eccessiva durata di un processo promosso dinanzi al TAR della Campania in data 28 luglio 2000, ancora pendente al momento della proposizione del ricorso alla Corte d’appello ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni per il mancato godimento di riposi settimanali. La Corte d’appello, con decreto depositato il 18 febbraio 2009, ritenuta congrua la durata del giudizio di primo grado in tre anni, per il periodo di eccessiva durata sino alla data della domanda di equa riparazione, pari ad anni quattro e mesi otto, liquidava la somma complessiva di Euro 5.400,00, i rivalutati all’attualità della pronuncia. Compensava le spese di causa per metà. Avverso tale decreto l’attore ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 luglio 2009, formulando sette motivi. Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e della regola secondo la quale la normativa della CEDU prevale su quella nazionale. Si formula il seguente quesito: "La L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU o di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale e applicare la CEDU"?.

Il motivo va dichiarato inammissibile per l’inadeguatezza del quesito formulato, in quanto del tutto astratto e privo di riferimento alla decisione ed alla fattispecie concreta.

2. Con il secondo e il terzo motivo si contesta, con i quesiti così come formulati, che l’indennizzo sia stato ragguagliato solo al periodo di eccessiva durata del processo e non a tutta la sua durata.

Tali motivi sono infondati poichè la liquidazione con riferimento al solo periodo di eccessiva durata è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (ex multis Cass. 14 febbraio 2008, n. 3716; 14 febbraio 2008, n. 3716) in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 la legge nazionale impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole del processo e non all’intera durata dello stesso; e tale modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge citata ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana con la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

3. Con il quarto e il quinto motivo si censura la mancata concessione del "bonus" di 2000.00 Euro, che si asserisce dovuto trattandosi di causa di lavoro e l’omessa pronuncia al riguardo. I motivi vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili in quanto, come già statuito da questa Corte, (ex multis Cass. 6 settembre 2010, n. 19064; 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869), in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto per il danno non patrimoniale, la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e a riparare un pregiudizio normalmente sempre presente ed uguale, mentre l’attribuzione di una somma ulteriore (cosiddetto "bonus") postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore; conseguentemente, nel caso in cui il giudice di merito abbia negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla circostanza che il "bonus" spetta "ratione materiae", era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che non sono allegate nei motivi e quesiti formulati al riguardo.

4. I due successivi motivi riguardano la compensazione delle spese di causa, che si allega essere errata. Il primo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. per inidoneità del quesito, formulato in modo del tutto astratto e senza alcun riferimento alla fattispecie concreta, in cui le spese sono state compensate per metà.

Il secondo infondato, avendo la Corte d’appello motivatamente compensato le spese per metà in relazione al parziale accoglimento della domanda.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato, con la condanna della parte soccombente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro novecento, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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