T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 04-02-2011, n. 1052 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con i tre gravami di cui in epigrafe il ricorrente impugna:

– il parere negativo della Soprintendenza Archeologica (ric. N.1935/2003) su una sua richiesta (prot. n. 9400/86/001/002/2003) di sanatoria concernente l’ampliamento di un immobile abusivo composto da un piano terreno ad uso residenziale ed un piano interrato ad uso rimessa e cantina motivato con la sussistenza di un vincolo assoluto di edificabilità ai sensi della legge n. 1089/1939, di cui al DM 13 febbraio 1990;

– il successivo conseguente rigetto da parte del Comune di Roma, emanato sul presupposto della ritenuta necessità di un preventivo parere della Soprintendenza Archeologica di Roma (ric. N.13000/2003);

– l’autoannullamento definitivo da parte del Comune di Roma della concessione edilizia in sanatoria rilasciata il 21.2.2000 (ric. n.683/2004) su una precedente domanda (prot. n.41427/1995) per il medesimo immobile.

Tutti i ricorsi sono affidati alla denuncia di numerosi capi di censura relativi alla violazione degli articoli 2, comma 1°; 6, 7, 8 e 0 del decreto legislativo n. 490/1990; illegittimità derivata del D. M. del Ministero dei Beni Culturali; violazione degli articoli 3233 della legge n. 47/1985 e dell’articolo 1 della legge n. 1902/1952; violazione degli articoli 3910 della legge n. 241; nonché eccesso di potere sotto diversi profili.

L’Avvocatura dello Stato si è costituita solo formalmente in tutti i giudizi, versando gli atti del procedimento sul terzo gravame.

Il Comune di Roma si è ritualmente costituito in giudizio, versando tre identiche memorie, con cui ha confutato l’esattezza delle affermazioni di controparte, concludendo per il rigetto.

All’udienza pubblica di discussione i ricorsi sono stati introitata dal collegio per la decisione.
Motivi della decisione

– 1.Par.. Si deve premettere, in punto di fatto, che:

) il ricorrente aveva presentato nel 1995 una prima istanza di condono relativa all’abusiva realizzazione di un edificio e di un pollaio; e nel 2003 un’altra domanda concernente il relativo ampliamento;

) il primo parere favorevole della Soprintendenza ai Beni Ambientali sulla prima istanza fosse immediatamente stato sospeso in relazione al vincolo archeologico sull’area;

) ciononostante il Comune di Roma aveva ugualmente emesso la concessione in sanatoria, che tuttavia è stata successivamente annullata con il provvedimento oggetto del terzo gravame;

) sulla seconda istanza di condono relativa alla sopraelevazione dello stesso, la Soprintendenza per i beni Archeologici aveva espresso il parere negativo, che è l’oggetto del primo gravame, in conseguenza del quale il Comune aveva emesso il provvedimento definitivo di diniego gravato con il secondo ricorso.

In tale termini, e conformemente alle concordi istanze delle parti, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione dei ricorsi di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva dei gravami.

– 2.Par.. Il primo ricorso, diretto avverso il parere sfavorevole della Soprintendenza archeologica di Roma sulla seconda istanza di sanatoria, è affidato a diverse censure che sono poi riproposte identicamente nel secondo e nel terzo ricorso, in quanto un atto presupposto ai relativi atti impugnati. Per evidenti ragioni di economia processuale, tali doglianze possono essere esaminate congiuntamente per tutti e tre i ricorsi.

– 2.1. Nell’ordine logico delle questioni deve essere esaminato il secondo motivo, con cui si lamenta che il vincolo, essendo sopravvenuto solamente nel 1990, non avrebbe potuto concernere le opere ultimate negli anni 1973 e 1983, a mente dell’articolo 33 della legge n. 47/1985 per cui la suscettibilità della sanatoria concerneva i soli vincoli di edificabilità imposti prima dell’esecuzione delle opere stesse.

Il motivo va respinto.

In linea di principio, la Soprintendenza deve tener conto, all’attualità, di tutti i vincoli esistenti sull’area sulla base della normativa vigente, e quindi anche sopravvenuti rispetto all’epoca dell’abuso, e delle qualificazioni giuridiche che la stessa vincolistica impone (cfr. Cons. Stato, A.P. n.20/1999 22 luglio 2009 n.20; TAR Lazio, Sez. II quater, 18 gennaio 2010 n.303; CGA Reg. Sic. 28 agosto 2009 n,690; Tar Puglia, Bari, sez. III, 3 dicembre 2008, n. 2765; Tar Lazio, Latina, sez. I, 29 agosto 2008, n. 1004). La valutazione di tale conformità corrisponde infatti all’esigenza attuale di vagliare la compatibilità dei manufatti, realizzati abusivamente, con il vincolo il quale, ancorché sopravvenuto, costituisce la fondamentale, e più recente, valutazione dell’interesse pubblico generale al corretto utilizzo del territorio.

In conseguenza, l’Amministrazione deve accertare la compatibilità del manufatto con il contesto ambientale al momento in cui viene esaminata la domanda di sanatoria che quindi non può considerarsi del tutto inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione, dovendo applicarsi in questi casi il regime di cui all’art. 32 comma 1, l. n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell’autorità preposta alla sua tutela (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 novembre 2008, n. 10460; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 14 giugno 2010, n. 14166).

– 2.2. Possono poi essere confutati unitariamente in quanto attengono ad un unico nucleo sostanziale di doglianza, la prima rubrica, comune a tutti i ricorsi, e la settima rubrica identica per il secondo ed il terzo ricorso con cui si lamenta rispettivamente:

– che la particella n. 120 fg. 973 non sarebbe tra quelle incluse nel citato DM 13.2.1990; il quale non conterrebbe neppure la confinante particella n. 181 (che proviene dalla 120 per frazionamento), per cui l’area sarebbe stata libera da vincoli;

– che erroneamente il Comune di Roma affermerebbe che il terreno su cui insiste l’abuso risulterebbe essere vincolato, oltre che dalla legge n.1089/39, dal DM 13 febbraio 1990, anche ai sensi rispettivamente: della legge n. 1497/39 e del DM 17 dicembre 1953; della legge n. 431/1985 del DM 16.1.1998 e risulterebbe anche inserito nel Parco dell’Appia Antica di cui al DM 11 febbraio 1960.

I vincoli suddetti sarebbero dei vincoli paesaggistici riconducibili agli articoli 146 e 151 del D. Lgs. n. 490/1999 su cui si era ampiamente espresso, in via surrogatoria, il competente Sovrintendente per i beni ambientali ed architettonici di Roma con decreto del 18 giugno 1999 "poi successivamente sospeso" con la nota del 12.8.1999 dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici. In ogni caso non sarebbe sussistente alcuna incondonabilità in quanto il vincolo ai sensi della lett. m. del d.lgs. n.490/1999 avrebbe una valenza eminentemente paesaggistica il che escluderebbe la competenza della Soprintendenza ai beni Archeologici in materia.

L’assunto va respinto.

Come la Sezione ha avuto modo di accertare in un caso identico, l’area, sotto il profilo archeologico, ricade pienamente all’interno di una perimetrazione che ha riconosciuto l’interesse archeologico, monumentale e paesistico dell’area, a partire dal vincolo del 1953 ai sensi della L. n.1497/39, del PRG del 1965, dal Parco Regionale dell’Appia del 1988 fino ai vincoli archeologici della Soprintendenza. Il vincolo archeologico di cui al DM 13.2.90 ha inteso tutelare preesistenze archeologiche e le aree adiacenti di rispetto in una visione unitaria di territorio di interesse archeologico, consistente nel complesso dell’Appia Antica costituito dai monumenti, dall’Agro Romano Storico e dal paesaggio formatosi, nel tempo, da tale realtà (cfr. TAR Lazio Sez. IIquater, 18.1.2020 n.303).

Il vincolo archeologico sulle particelle catastali in questione del 1990 era stato poi trascritto alla Conservatoria immobiliare come risulta dalla copia delle specifiche Note di Trascrizione che la Soprintendenza ha effettuato rispettivamente il 5 febbraio 1992 per la pt.120, e l’11.3.1992 per pt. n.181 (versate in atti dall’Amministrazione sul terzo ricorso).

Il parere di cui all’art. 32 l. 28 febbraio 1985 n. 47, sul rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le opere abusivamente realizzate su zone sottoposte a vincolo archeologico, compete alla Soprintendenza archeologica (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 22 aprile 1997, n. 632) ai sensi dell’art. 146 co. 1 lett. m) del d.lvo n. 490/99 (ora art. 142 lett. m del d.lvo n. 42/2004).

Ciò posto, la tutela "archeologica", se concerne in primo luogo il profilo conservativo dei beni, non può prescindere dal contesto territoriale dove i reperti stessi sono allocati, in quanto non concerne solo i singoli reperti archeologici ma anche la conservazione del decoro e del godimento di una complessa area archeologica.

Dovendosi dunque ritenere prevalente il valore intrinseco dell’interesse pubblico alla tutela dei beni archeologici ( art. 9 comma 2, Cost.), rispetto all’interesse sotteso alla proprietà privata (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 11 luglio 2006, n. 5773), deve concludersi che il vincolo paesaggistico e la declaratoria del notevole interesse pubblico sotto il profilo storico – archeologico dell’area rende impossibile l’accoglimento dell’istanza di condono edilizio in essa realizzato se ciò è ritenuto incompatibile con la tutela del vincolo.

Tutti i profili vanno perciò respinti.

– 2.3. In conseguenza del punto che precede, essendo inequivocabile la natura vincolata dell’area e quindi l’esattezza dei presupposti logici e giuridici del provvedimento, risulta del tutto inconferente il terzo motivo con cui il ricorrente contesta il richiamo alla "Carta dell’agro romano" che, in quanto allegato alla variante generale PRG del Comune di Roma del 1997, sarebbe stata una misura di salvaguardia scaduta.

Infatti qui il vincolo archeologico non è stato certamente imposto con la "Carta dell’Agro", ma il provvedimento impugnato richiama l’esistenza di elementi morfologici determinanti per il "godimento e per la visibilità del paesaggio dell’Agro Romano", costituisce un elemento incidentale per suffragare il carattere storicoarcheologico dei luoghi interessati alle opere (cfr. anche Sez. IIquater cfr. 18.1.2020 n.303).

– 2.4. Con il quarto motivo si lamenta il vizio funzionale della motivazione del provvedimento erroneamente fondata sui rilievi per cui gli abusi, relativi ad un’abitazione rurale e ad un pollaio, sarebbero stati "molto consistenti" ed avrebbero "seriamente trasformato il carattere del luogo" ed altresì che "questa zona, caratterizzata da edifici rustici con fasi di vita di epoca repubblicana e imperiale, ha mantenuto quasi inalterate le sue caratteristiche ambientali". Un piccolo immobile che si troverebbe a poche centinaia di metri dal Raccordo anulare distante chilometri dalla via Appia antica sarebbe comunque lontano da qualsiasi emergenza archeologica di rilievo.

Essendo il vincolo limitato al profilo archeologico del tutto inconsistente sarebbe il richiamo alle caratteristiche ambientali del sito e comunque la Soprintendenza ai beni archeologici sarebbe incompetente ad esternare le valutazioni sul piano ambientale.

L’assunto va respinto.

In linea generale la tutela istituzionale dei beni sottoposti al vincolo è affidata dalla legge a discrezionali valutazioni dell’Autorità amministrativa, che attengono esclusivamente allo stretto merito amministrativo, e che come tali sono insindacabili da questo Giudice fatti salvi i casi di manifesta illogicità ed irrazionalità. Qui non pare assolutamente sussistere alcun sintomo di un vizio funzionale del provvedimento.

L’affermata vicinanza del lotto di terreno di cui all’odierno ricorso con il G.R.A. non esclude affatto la permanenza del vincolo e l’interesse della Amministrazione statale alla conservazione della zona archeologica, senza che possa in alcun modo farsi discendere – come deduce il ricorrente – alcuna conseguente attenuazione dell’oggetto della tutela stessa.

Inoltre il semplice riscontro delle mappe satellitari disponibili sulla rete internet dimostrano che gli abusi di cui trattasi non distano affatto chilometri dalla via Appia Antica, come dichiarato.

Tale valore è stato riconfermato con il vincolo di L. 431/85 art. 1 lettera m) D.M. 16.10.98, vincolo questo di natura paesistica ma relativo ad un territorio di interesse archeologico.

Nel caso di specie poi, la motivazione del provvedimento richiama il D. M. del 13 febbraio 1990 e le vestigia dalla Carta dell’Agro che, al foglio 24 segnalerebbe "nelle vicinanze una villa di età romana con resti in parte emergenti ed in parte interrati e di altre presenze archeologiche interrate", e dall’altro valuta negativamente l’incompatibilità dell’opera.

Il provvedimento impugnato incentra quindi la sua motivazione sia sulla esatta circostanza relativa alla presenza di un vincolo archeologico nell’area oggetto dell’intervento edilizio in questione e sia con il richiamo alla esistenza di elementi morfologici determinanti per il "godimento e per la visibilità del paesaggio dell’Agro Romano".

Tali considerazioni suffragano l’importanza sul piano storicoarcheologico dei luoghi interessati alle opere.

In tale prospettiva, il Collegio ritiene che, sotto il profilo dell’eccesso di potere, non si ravvisano elementi sintomatici di un vizio funzionale del giudizio per cui gli immobili abusivi avevano seriamente trasformato il carattere del luogo anche in relazione alla effettuazione di "movimenti di terra in area sottoposta a vincolo archeologico".

La realizzazione abusiva dell’immobile e di un pollaio costituisce una manomissione idonea ad alterare assolutamente il complesso delle condizioni e delle caratteristiche storico -culturali di un area archeologicamente rilevante.

Di qui la congruità sostanziale della motivazione nel caso di specie.

– 2.5. Per il medesimo ordine di ragioni deve quindi essere respinto il quinto motivo, con cui il provvedimento sarebbe viziato sotto il profilo della motivazione in relazione al preteso mancato accertamento dell’effettivo interesse archeologico dell’area, che per il ricorrente sarebbe smentito dallo stesso D. M. del 13 febbraio 1990.

Al contrario la nota con la quale la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio ha espresso parere negativo al rilascio della concessione in sanatoria appare compiutamente motivata con preciso riferimento alla tutela dei reperti sussistenti nell’area che non consentono alterazione dei tratti caratteristici della località protetta.

– 2.6. Del tutto erroneamente il ricorrente lamenta poi che la Soprintendenza resistente non avrebbe comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento in violazione degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/1990.

Prima dell’intervento del D.Lgs. n. 42/2004 (che ha espressamente reintrodotto l’obbligo di previa comunicazione dell’avvio del procedimento di competenza della Soprintendenza con conseguente implicita abrogazione del D.M. n. 165/2002), l’art. 2 del D.M. n. 165 del 2002 – applicabile rationetemporis alla presente fattispecie – aveva ripristinato il quadro normativo antecedente all’entrata in vigore del regolamento ministeriale n. 495 del 1994, prevedendo che il Ministero (e, per esso, la Soprintendenza) potesse emettere il proprio parere senza la preventiva comunicazione dell’avvio del subprocedimento di propria competenza e salva, comunque, la possibilità per l’interessato di presentare memorie o documenti ritenuti utili per quella fase (comma 1 bis, dell’art. 4 del d.m. 495/1994, introdotto dall’art. 2 del d.m. n. 165 del 2002).

Di qui l’infondatezza del motivo.

– 2.7. Tutti i motivi, comuni ai tre ricorsi, qui esaminati sono complessivamente infondati.

In conclusione il primo ricorso, rubricato al n.1935/2003, va dunque respinto.

– 3.Par.. Con il secondo gravame rubricato con il n. 13.000/2003 si chiede l’annullamento dell’atto definitivo del Comune di Roma di rigetto dell’istanza di sanatoria, sia per illegittimità derivata dal parere negativo della Soprintendenza che per vizi autonomi.

– 3.1. Per le prime sette censure di gravame, che denunciano l’illegittimità derivata, si fa direttamente riferimento ai punti che precedono.

– 3.3. Del tutto inconferente, in quanto fondata su una inesatta rappresentazione della fattispecie, è anche l’ottava rubrica con cui si lamenta che, anche a voler ammettere la competenza della Soprintendenza ai beni archeologici, a pronunciarsi ai sensi dell’art.1, lettera m della legge n. 431/1985 questa nel parere non avrebbe poi fatto luogo ad alcuna considerazione sul vincolo, che invece era stato già ampiamente considerato nel primo parere favorevole dalla Soprintendenza ai beni ambientali.

Qui infatti non solo era stato imposto un vincolo specifico, ma erano stati puntualmente identificati i reperti presenti sulle particelle in questione e l’Amministrazione ha preso atto del parere sfavorevole della Soprintendenza per i beni archeologici, preposta alla tutela del vincolo relativo ad un territorio di interesse archeologico, e che era specificamente motivato sul punto.

– 3.4. Devono poi essere respinti i seguenti motivi con cui si denuncia che:

– in assenza di vincolo archeologico, illegittimamente l’ufficio speciale condono edilizio avrebbe richiesto, all’autorità competente in materia archeologica, il parere sul condono anche perché a latere di una parallela vicenda riguardante lo stesso terreno, a seguito di comunicazione di avvio del procedimento di annullamento di una concessione edilizia in sanatoria emanata il 21 febbraio 2000 in suo favore il ricorrente aveva puntualmente informato l’Ufficio Speciale del condono che la particella 120 non sarebbe stata assolutamente vincolata (nono motivo);

– l’Ufficio Speciale del condono avrebbe dovuto in ogni caso accertare d’ufficio l’inesistenza del vincolo (decimo motivo);

– il vincolo di inedificabilità non poteva esser certo ricavato dal fatto che il vincolo sull’area, più volte reiterato, dal Comune di Roma, relativo alla zona "N- Verde Pubblico" del PRG del lontano 1962, Parco dell’Appia Antica, che non sarebbe mai stato realizzato, per cui la disciplina legale dell’area sarebbe stata quella dell’articolo 9 del d.p.r. n. 380/2001, già articolo 4, ultimo comma, legge n. 10/1997. Né poteva costituire ostacolo al rilascio il fatto che gli immobili ricadessero nell’area del parco regionale dell’Appia Antica in quanto l’inserimento in aree naturali protette non escluderebbe la possibilità di una sanatoria ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 47/1985, ma avrebbe imposto solamente l’acquisizione del parere da parte dell’ente di gestione del parco (undicesimo motivo).

L’assunto va respinto.

Come si è avuto più volte modo di ribadire, il provvedimento di rigetto del Comune di Roma è fondato con riferimento alla comprovata sussistenza di un vincolo diretto sulle particelle in questione, trascritto nei registri immobiliari per cui il Comune aveva il preciso obbligo di acquisire il parere della Soprintendenza ai Beni Archeologici, la quale a sua volta – come ha fatto -doveva verificare la compatibilità dell’immobile abusivo con le esigenze della tutela archeologica.

Di qui l’inconferenza del motivo.

– 3.5. In conclusione anche il secondo gravame è infondato e deve essere respinto.

– 4. Con il terzo gravame il ricorrente lamenta l’illegittimità della Determina Dirigenziale del 16 ottobre 2003 n. 366 di annullamento della precedente concessione in sanatoria n. 218.510, ai sensi della legge 724/94.

– 4.1. Per ciò che concerne le prime sette censure si fa direttamente riferimento ai punti che precedono.

– 4.2. Con l’ottava intestazione di censura si lamenta il difetto di motivazione del provvedimento di annullamento della concessione in sanatoria che non consentirebbe di individuare gli elementi in grado di qualificare specificamente le caratteristiche architettoniche, tecniche ritenute incompatibili con l’interesse protetto per cui la Soprintendenza avrebbe dovuto verificare la non presenza di vincoli e specificare in che cosa sarebbe evidenziata la asserita offesa alle elevate presenze archeologiche presenti nell’area.

L’assunto è infondato.

Legittimamente l’Amministrazione ha annullato la concessione rilasciata con riferimento al parere negativo della Soprintendenza ai beni archeologici ed alla connessa alterazione dello stato dei luoghi in relazione alle opere oggetto di condono. Non si tratta, infatti di leggere difformità rispetto ad atti autorizzatori o di piccole pertinenze, ma della realizzazione senza titolo di due corpi di fabbrica incompatibili con le esigenze di tutela dei beni archeologici (cfr. n.303/2010 cit.).

Sul piano della logica del tutto legittimamente si è ritenuto che i due distinti edifici, uno destinato ad abitazione e l’altro destinato a pollaio, alterassero i caratteri del paesaggio storico e costituissero un vulnus diretto all’area archeologica.

– 4.3. Sulla base delle precedenti considerazioni, deve quindi essere respinta anche la nona rubrica per cui il Comune, non essendo vincolata l’area, avrebbe dovuto acquisire dichiarazioni e integrazioni documentali e considerare che il rilascio della concessione in sanatoria da parte del Comune non sarebbe dovuto essere subordinato al previo parere favorevole della soprintendenza archeologica.

Come visto, essendo indubitabilmente l’area vincolata nel caso di specie era necessario il parere dell’Amministrazione preposta al vincolo.

– 4.4. In conclusione anche il terzo motivo è infondato e deve essere respinto.

– 5. Le spese di giudizio dei presenti gravami seguono la soccombenza e, in relazione all’attività difensiva espletata, sono liquidati in favore del Comune di Roma per Euro 1.000 a ricorso, per complessivi Euro 3000.

Possono invece essere compensate con l’Avvocatura dello Stato.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando:

1. Respinge i ricorsi, n.1935/2003, n. 13.000/2003 e n.683/2004

– 2. Condanna il ricorrente alle spese di giudizio che sono complessivamente liquidate in favore del Comune di Roma per complessivi Euro 3000.

3. Compensa le spese con il Ministero dei BB.CC..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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