Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-03-2011, n. 6136 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G., dichiarato fallito dal Tribunale di La Spezia nel gennaio 1986, proponeva nell’ottobre 2006 alla Corte di appello di Torino domanda di equa riparazione per la irragionevole durata della procedura, chiusa nel maggio 2006. La Corte d’appello, con decreto depositato il 9 maggio 2007, ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di sei anni, la procedura si fosse protratta per quattordici anni e cinque mesi, liquidava Euro 17.000,00 pari a Euro 1.200 circa per anno di ritardo.

Avverso tale decreto il P. ha proposto ricorso a questa Corte, affidato a due motivi. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso e proponendo ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi debbono essere riuniti. 2.- Quanto al ricorso principale, il primo motivo, con il quale il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 erronea e falsa applicazione di norme di diritto ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, p. 1, CEDU) nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5), è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis. Ai sensi di tale disposizione, l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Nel caso in esame, l’illustrazione del primo motivo si conclude con la seguente esposizione del quesito di diritto, non dissimile peraltro dal quesito di diritto con il quale si conclude anche il secondo motivo di ricorso: "Dica codesta Ecc.ma Corte se, ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, p. 1 CEDU e della Legge Pinto n. 89 del 2001, art. 2 il Giudice nazionale, nell’accertare la sussistenza della violazione della durata ragionevole del processo, debba considerare discrezionalmente la tempistica ritenuta congrua ai fini dell’individuazione della lesione del diritto alla ragionevole durata, ovvero debba uniformarsi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e conformemente a quest’ultima attribuire rilievo al complessivo periodo di tempo necessario affinchè il diritto di credito azionato dal ricorrente trovi concreta attuazione. Risponde con un si o con un no?". Trattasi all’evidenza di quesito generico, in quanto privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie decisa ed alla ratio decidendi del provvedimento impugnato oggetto di censura. Il suo difetto di specificità e la inidoneità a svolgere la funzione attribuitagli dalla legge trova del resto conferma nella sostanziale identità di contenuto con il quesito di diritto relativo al secondo motivo di impugnazione. L’inammissibilità ne deriva dunque di necessità. 3.- Con il secondo motivo, il P. denunzia violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che alla liquidazione dell’equo indennizzo la Corte di appello ha provveduto considerando il solo tempo eccedente la ragionevole durata anzichè l’intera durata del processo, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Europea. La doglianza è infondata. Deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, possa essere risolto semplicemente con la disapplicazione della norma interna. Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001: qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007).

D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte Europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato.

4.- Con il primo motivo di ricorso incidentale, il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria in ordine alla valutazione circa la durata irragionevole del procedimento presupposto, non avendo la Corte di appello tenuto conto delle molteplici attività svolte dagli organi della procedura. Con il secondo motivo, denunzia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione alla omessa considerazione, nell’ambito della suddetta valutazione, delle cause esterne (essenzialmente, un giudizio instaurato dal coniuge del fallito, poi definito transattivamente, e la richiesta del Comune di (OMISSIS) di pagamento degli arretrati I.C.I.) che hanno in concreto reso complessa la definizione della procedura.

4.1.- Tali motivi, da considerare congiuntamente perchè connessi, sono infondati. La Corte di merito ha specificamente motivato la ritenuta non particolare complessità della procedura osservando come, consistendo le uniche attività da liquidare in un fabbricato (costituito da due distinte unità immobiliari) sito in (OMISSIS), il ritardo di più di dieci anni tra la dichiarazione di fallimento ed il primo esperimento d’asta, così come il successivo decennio per compiere le poche attività residue, non trovassero adeguata giustificazione; sì che, tenendo conto dei tempi tecnici della vendita immobiliare (che aveva richiesto più esperimenti d’asta) e del ritardo derivante dalle pretese di terzi sopravvenute alla vendita (cfr. sopra), ha determinato in sei anni la durata ragionevole che la procedura avrebbe dovuto avere. Tale motivazione si mostra più che congrua e logicamente condotta, sì da non meritare la censura esposta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nè può ravvisarsi la violazione del disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2 atteso che la Corte di merito ha considerato, nella determinazione in sei anni della durata ragionevole del procedimento presupposto, il complesso delle attività che gli organi della procedura hanno dovuto compiere, ivi comprese quelle derivanti dalle citate pretese di terzi, che peraltro infondatamente la ricorrente Amministrazione pretende di detrarre dal ritardo del quale deve rispondere per il solo fatto che esse non sarebbero addebitabili all’Ufficio fallimentare.

4.2 – Infondato è anche il terzo motivo di ricorso incidentale, con il quale il Ministero denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 cod. civ.) in relazione alla ritenuta rilevanza, nella liquidazione del danno non patrimoniale, del protrarsi degli effetti limitativi derivanti dallo status di fallito. Assume la ricorrente che tali effetti derivano dalla legge e quindi non sono ricollegabili in via immediata e diretta alla pendenza della procedura. Tuttavia, il fatto che tali effetti derivino dalla legge non toglie che il protrarsi per una durata irragionevole dello status di fallito produca normalmente l’effetto (restando pacificamente esclusa nella specie la ricorrenza di situazioni particolari idonee ad escluderlo) di porre il soggetto in una situazione di sofferenza e disagio per la situazione di minorata attitudine socio-giuridica a svolgere le normali attività connesse al proprio mantenimento.

5.- Entrambi i ricorsi debbono pertanto essere rigettati, con la conseguente compensazione tre le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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