Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-11-2010) 09-02-2011, n. 4669

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con ordinanza in data 21 giugno 2010, confermava il provvedimento del G.I.P. dello stesso Tribunale emesso il 7 giugno 2010, di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di H.P., indagato per il delitto di estorsione aggravata ai danni di L.D., costretto ad effettuare numerosi prelievi a sportelli bancomat e presso la filiale della Banca di Legnano, nonchè ad acquistare con la sua carta di credito due orologi Rolex.

Il Tribunale rilevava la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza sulla base della denuncia della parte lesa, riscontrata dalle intercettazioni e dai riconoscimenti fotografici positivi dell’indagato da parte del direttore della filiale della Banca e del titolare della gioielleria. Per quanto riguarda le esigenze cautelari, il Tribunale ravvisava una particolare intensità del rischio di recidiva e di inquinamento probatorio. Propone ricorso per cassazione l’indagato personalmente, deducendo carenza di motivazione, contraddittorietà e/o violazione di legge in relazione alle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura.

L’indagato ricorrente insiste nella richiesta, avanzata davanti al Tribunale, di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, stante la sua giovane età, la sua incensuratezza e l’avvenuto risarcimento del danno; lamenta, inoltre, che sia stata accettata in modo acritico l’ipotesi accusatoria.
Motivi della decisione

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato ovvero non consentito nel giudizio di legittimità e deve essere dichiarato inammissibile: è manifestamente infondato per la parte in cui contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste; non consentito per la parte in cui pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi di fatto al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio che non le compete.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, la pronuncia cautelare non è fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza, e il giudizio di legittimità deve limitarsi a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, senza possibilità di "rilettura" degli elementi probatori (per tutte, Sez. Un. 22/3/2000-2/5/2000, n. 11, Audino, riv. 215828). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, analizzando ampiamente i gravi indizi, individuati nella denuncia della parte lesa, riscontrata dalle intercettazioni e dai riconoscimenti fotografici. Per quanto concerne le esigenze cautelari, il giudice di merito ha evidenziato "professionalità e stabilità nella deliberazione delittuosa" e "elevatissima capacità intimidatoria", che fanno ritenere di particolare intensità il rischio di recidiva e di inquinamento probatorio, nonchè la "soggettiva inaffidabilità di un soggetto capace di simili condotte".

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinchè provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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