Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-03-2011, n. 6132 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.A.A. proponeva nel 2007 alla Corte di appello di Bari domanda di equa riparazione in relazione alla irragionevole durata della procedura fallimentare iniziata dal Tribunale di Larino nel dicembre 1989 nei suoi confronti e non ancora definita. La Corte d’appello, con decreto depositato il 12 ottobre 2007, ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di cinque anni, il procedimento si fosse protratto per ulteriori 12 anni, liquidava per il danno non patrimoniale complessivi Euro 12.000,00 (pari a Euro 1000 per anno di ritardo) oltre interessi legali.

Avverso tale decreto il G. ha proposto ricorso a questa Corte, affidato ad unico motivo. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Il ricorrente denuncia erronea e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè vizio di motivazione. Una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea, dalla quale la Corte di merito sì sarebbe discostata immotivatamente.

2.- Il motivo è infondato. La Corte di appello, riconoscendo al ricorrente la somma di Euro 12.000,00 complessivi per dodici anni di durata irragionevole, non si è affatto discostata dai parametri (che il ricorrente deduce oscillanti tra Euro 1000 e 1500 per anno) normalmente adottati dalla Corte Europea in casi analoghi. Ha dunque validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo nel rispetto di quei parametri, che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, considerata anche la estrema genericità della censura concernente la valutazione in ordine alla concreta posta in gioco nel procedimento presupposto.

3.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero della Giustizia delle spese di questo giudizio di legittimità, in Euro 600,00 oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *