Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-11-2010) 09-02-2011, n. 4636 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 18 dicembre 2009, confermava la condanna pronunciata il 3 febbraio 2009 dal G.U.P. del Tribunale di Bologna alla pena di anni tre mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa ciascuno nei confronti di Z. L. e X.G., dichiarati colpevoli, in concorso tra loro e con altri imputati non ricorrenti, dei reati di rapina aggravata, detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola artigianale e di porto in luogo pubblico senza giustificato motivo di una lama.

Propongono ricorso per Cassazione il difensore di X.G. e Z. L. personalmente.

Z.L. deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe ignorato vari elementi addotti dalla difesa, in particolare, ritenendo irrilevante la circostanza che la persona offesa fosse all’epoca dei fatti indagata per reati di usura e gioco di azzardo, e ritenendo, altresì, attendibili le dichiarazioni della persona offesa, che, invece, sarebbero risultate non vere, come quella relativa alla indicazione del presunto mandante dell’azione criminosa.

Il ricorrente si duole anche che, sulla base di valutazioni non esaustive delle risultanze emerse, la sentenza non abbia accolto la ricostruzione della difesa in ordine alla possibile riqualificazione del reato di rapina in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, considerando che uno dei concorrenti, L.G.J., si era recato dalla persona offesa al fine di restituire un prestito ricevuto e riottenere la restituzione degli assegni dati in garanzia al creditore e che, dinanzi al diniego della consegna, aveva ritenuto di potersi rivalere sulla merce sottratta. Il ricorrente, sulla base di tale ricostruzione dei fatti, chiede l’applicazione nei suoi confronti dell’art. 116 c.p., tanto più che esso non era materialmente presente all’interno del magazzino dove si erano verificati i fatti ed era convinto che l’amico si fosse recato dalla persona offesa al fine di ottenere la restituzione di un credito legittimamente vantato.

Il ricorrente denuncia, infine, un’altra lacuna motivazionale, con riferimento all’utilizzo di una grossa lama di cui parla una testimone, senza che la dichiarazione testimoniale trovi riscontri, risultando, anzi, smentita dall’esito della perquisizione dell’autovettura sulla quale si trovavano gli imputati, avvenuta dopo pochi minuti dal fatto.

Il difensore di X.G. deduce erronea qualificazione del fatto come rapina anzichè furto e contraddittorietà della motivazione sul punto. Il ricorrente afferma che il giudice di appello non avrebbe tenuto conto delle risultanze processuali, poichè lo scopo della "spedizione" sarebbe stato quello di intimidire la parte offesa in ordine all’attività di usura e gioco d’azzardo e l’appropriazione di beni di sua proprietà non era stata predeterminata, ma si trattava di un atto estemporaneo compiuto da uno solo dei concorrenti, del tutto scollegato dalla minaccia posta in essere.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso di entrambi i ricorrenti non sono consentiti nel giudizio di legittimità, oltre ad essere privi di specificità e devono essere dichiarati inammissibili.

Occorre ribadire la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale esula dai alla indicazione del presunto mandante dell’azione criminosa.

Il ricorrente si duole anche che, sulla base di valutazioni non esaustive delle risultanze emerse, la sentenza non abbia accolto la ricostruzione della difesa in ordine alla possibile riqualificazione del reato di rapina in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, considerando che uno dei concorrenti, L.G.J., si era recato dalla persona offesa al fine di restituire un prestito ricevuto e riottenere la restituzione degli assegni dati in garanzia al creditore e che, dinanzi al diniego della consegna, aveva ritenuto di potersi rivalere sulla merce sottratta. Il ricorrente, sulla base di tale ricostruzione dei fatti, chiede l’applicazione nei suoi confronti dell’art. 116 c.p., tanto più che esso non era materialmente presente all’interno del magazzino dove si erano verificati i fatti ed era convinto che l’amico si fosse recato dalla persona offesa al fine di ottenere la restituzione di un credito legittimamente vantato.

Il ricorrente denuncia, infine, un’altra lacuna motivazionale, con riferimento all’utilizzo di una grossa lama di cui parla una testimone, senza che poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali(per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, chiarendo, in particolare che "il sequestro della refurtiva ed il contestuale rinvenimento, nella disponibilità degli imputati, di passamontagna e di un’arma da sparo dimostrano di per sè soli la fondatezza dell’ipotesi accusatoria e confermano la piena attendibilità dei fatti narrati dalla parte offesa", mentre "nulla in atti attesta che l’azione criminosa avesse un movente diverso da quella prettamente predatorio". Per quanto riguarda la posizione di Z.L. la sentenza impugnata diffusamente motiva sulla inverosimiglianza delle tesi difensive; in particolare, per quanto concerne l’utilizzo di una lama, la Corte di Appello evidenzia la assoluta attendibilità della teste che ha riferito in modo dettagliato in merito, mentre "se è vero che nessuna lama fu trovata all’interno dell’auto, ciò non esclude il possesso di essa da parte dei rapinatori all’atto della rapina, posto che, come uno dei rapinatori si liberò del passamontagna, lasciandolo sul luogo del fatto, è ben possibile che si sia liberato anche della lama".

Pertanto, i motivi di ricorso in merito mancano anche di specificità, poichè questa deve essere apprezzata non solo sotto il profilo della genericità, come indeterminatezza, ma anche sotto il profilo della mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi, al versamento ciascuno della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *