Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-03-2011, n. 6130 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel dicembre 2000 l’Ufficio delle Imposte Dirette di Montepulciano notificava alla società Farmacia Bufalini del Dott. Giuseppe Bufalini & C. snc un avviso di accertamento ILOR per l’anno 1994 con il quale si recuperavano a tassazione, ritenendoli non deducibili, i compensi corrisposti dalla società ai soci amministratori sigg.ri Bu.Gi. e B.G.; contemporaneamente l’Ufficio notificava tanto a B.G. quanto a B. G. un avviso di accertamento IRPEF, sempre relativamente all’anno 1994, con il quale si rettificava il reddito da partecipazione da loro dichiarato, contestualmente azzerando il reddito da lavoro autonomo.

Sia la società che i soci impugnavano gli avvisi di accertamento loro rispettivamente notificati, ottenendone l’annullamento dalla Commissione Tributaria Provinciale di Siena. La Commissione Tributaria Regionale di Firenze, adita con l’appello dall’Amministrazione finanziaria, riformava le sentenze di prime cure e – con le sentenze nn. 75/26/055, 76/26/05 e 77/26/05, tutte depositate L. 11.10.05 e recanti motivazioni identiche – dichiarava inammissibili i ricorsi di primo grado.

La Commissione Tributaria Regionale motivava le proprie decisioni con l’argomento che, mentre gli esemplari dei ricorsi presenti nei fascicoli di parte dei ricorrenti recavano a margine la procura speciale sottoscritta dalla parte e dal difensore, gli esemplari dei ricorsi depositati dall’Amministrazione erano costituiti da una fotocopia dei ricorsi originali in cui, in calce alla procura a margine, erano indicati soltanto i nominativi del ricorrente e del difensore ma mancavano entrambe le sottoscrizioni. In base a detto rilievo la Commissione Tributaria Regionale assumeva doversi presumere che le fotocopie dei ricorsi spedite all’Amministrazione fossero state eseguite prima dell’apposizione delle sottoscrizioni e comunque assumeva esser state violate le disposizioni sull’introduzione del giudizio tributario fissate a pena di inammissibilità dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18.

Avverso le sentenze della Commissione Tributaria Regionale i contribuenti hanno proposto identici ricorsi per cassazione, iscritti ai numeri di Registro Generale 30460/06 (avverso la sentenza 76/26/05), 30461/06 (avverso la sentenza 77/26/05) e 30462/06 (avverso la sentenza 75/26/05).

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

I ricorsi sono stati discussi alla pubblica udienza del 2.2.2011, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

Preliminarmente, sebbene i ricorsi abbiano ad oggetto l’impugnazione di sentenze diverse, pronunciate nei confronti di diversi contribuenti, va disposta la loro riunione, peraltro richiesta anche dai ricorrenti con istanza depositata il 6.9.07.

E’ noto, infatti, che – per il principio per cui i redditi delle società di persone si imputano automaticamente a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi ( D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5) – la rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone e le conseguenti rettifiche delle dichiarazioni dei redditi dei relativi soci si fondano su un accertamento unitario; dal che discende, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con Hi sentenza n. 14815/08, che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda indiscutibilmente sia la società che tutti i soci (salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali); cosicchè in tali casi ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario originario tra tutti questi soggetti, con conseguente nullità assoluta, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, del giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari. Il rigore di tale conclusione è stato peraltro temperato da alcune pronunce di questa Sezione, che il Collegio condivide, che hanno affermato che: "Nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a "causa petendi" dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perchè non giustificale dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio. (così Cass. 3030/2010, Cass. 16223/2010, Cass. 22122/2010).

La situazione oggi all’esame della Corte rientra esattamente nello schema delineato dalle pronunce ora citate, in quanto il ricorso della Farmacia Bufalini snc e quelli dei suoi soci B. G. e Gi. si fondano sulla stessa causa petendi, avversano il medesimo accertamento, sono stati trattati contestualmente nelle fasi di merito e sono stati decisi dai giudici di merito con sentenze sostanzialmente identiche. Pertanto non va dichiarata la nullità dei pregressi gradi di giudizio (nè, di conseguenza, vanno rimesse le cause al giudice di primo grado), perchè tale provvedimento conseguirebbe unicamente l’effetto di ritardare la decisione della controversia, ma si deve soltanto "ricomporre l’unicità della causa" (cfr. SS. UU. 14815/08 eh.) innanzi a questo giudice di legittimità, mediante il provvedimento di riunione delle cause; onde attuare, anche nella forma, quel litisconsorzio necessario tra le parti che è stato negletto dai precedenti giudici non quanto al merito della controversia (attesa le sostanzialmente unitarietà delle decisioni adottate) ma solamente sul piano della non operata (benchè "obbligatoria") riunione dei processi.

Tanto premesso, si rileva che tutti i ricorsi ora riuniti si fondano sui seguenti quattro identici motivi:

1) Violazione di legge per falsa ed erronea applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, art. 38, comma 3, e art. 16, commi 2 e 3 ( art. 360 c.p.c., n. 3).

2) Violazione di legge per falsa ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 (art. 360 c.p.c., n. 3).

3) Illogicità e incompletezza della motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5).

4) Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il primo motivo i ricorrenti – premesso che l’Amministrazione aveva appellato le sentenze di primo grado oltre 60 giorni dopo la relativa notifica da parte dei contribuenti e che la Commissione Tributaria Regionale ha giudicalo ammissibili gli appelli sul presupposto della nullità (e conseguente inidoneità a far decorrere il termine breve per l’impugnazione ex art. 326 c.p.c.) delle notifiche delle sentenze di primo grado, in quanto effettuate da ufficiale giudiziario privo di competenza territoriale D.P.R. n. 1229 del 1959, ex artt. 106 e 107 – affermano che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato perchè:

Non avrebbe considerato che comunque le notifiche delle sentenze di primo grado, ancorchè viziate per l’incompetenza territoriale dell’ufficiale giudiziario che le aveva effettuate, avevano raggiunto il loro scopo, in quanto l’Agenzia delle Entrate aveva comunque avuto conoscenza delle sentenze notificate, come desumibile dai provvedimenti di sgravio emessi proprio in ottemperanza a tali sentenze; con la conseguenza che la declaratoria di nullità di dette notifiche sarebbe stata preclusa dai disposto dell’art. 156 c.p.c., comma 3.

Non avrebbe considerato che, a mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, le notifiche possono essere fatte anche ”direttamente a mezzo posta mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento"; cosicchè la notifica in questione, effettuata mediante spedizione dell’atto per raccomandata postale, doveva ritenersi comunque valida come notifica "diretta" e l’intervento dell’ufficiale giudiziario non pregiudicherebbe tale validità, in quanto si limiterebbe a "dare un crisma di maggior ufficialità alla spedizione dell’ano per raccomandata".

Il motivo è infondato sotto entrambi i profili in cui viene articolato.

Quanto al primo profilo, è sufficiente osservare che questa Corte ha costantemente affermato che ai fini della decorrenza del termine per impugnare, rileva esclusivamente la conoscenza acquisita mediante rituale notificazione del provvedimento impugnato, restando improduttiva di effetti, in caso di nullità di tale notificazione, la conoscenza acquisita "aliunde che non è idonea a sanare la nullità per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., comma 3;

in tali termini si vedano già le sentenze nn. 2492/1976, 6333/1982 e 6480/1995; in tempi più recenti, le sentenze n. 1069/2000, 15389/2007, 10026/2010 e 13428/2010. Ciò perchè, come chiaramente precisato dalla sentenza 1069/2000. " L’art. 326 cod. proc. civ. collega la decorrenza del termine breve di impugnazione di una sentenza non alla conoscenza, sia pure legale, di essa, ma al compimento di una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, data dalla notifica nelle forme previste dagli artt. 285 e 170 cod. proc. civ.. Pertanto la notifica di una sentenza al domicilio reale della parte anzichè presso il suo procuratore costituito, pur non essendo nulla, ma anzi pienamente valida ad altri fini, è inidonea alla decorrenza del termine per impugnare, anche per colui che l’ha notificata." Quanto al secondo profilo, osserva la Corte che la questione proposta dal ricorrente – concernente la possibilità di equiparare quoad effectum una notifica per posta effettuata ai sensi dell’art. 149 c.p.c. da ufficiale giudiziario incompetente ad una notifica per posta effettuata direttamente dalla parte ai sensi del terzo comma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 – è priva di rilevanza ai fini della odierna decisione, giacchè neanche la notifica nelle forme di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, sarebbe stata valida ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione.

Infatti il lesto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, applicabile ratione temporis alla fattispecie (anteriore alle modifiche recate dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con la L. 22 maggio 2010, n. 73) richiamava esclusivamente gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, e non anche il citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16; ciò esclude, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, che la notifica delle sentenze potesse essere effettuata senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario;

vedi, in questo senso, Cass. 18149/2004: "In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 2, non ripetendo, in ordine alle modalità di notificazione delle sentenze delle commissioni tributarie, la integrale formulazione di cui al precedente art. 16 – il quale consente, in via generale, anche le notifiche a mezzo posta, – legittima soltanto la notificazione della sentenza secondo il dettato di cui ai richiamati artt. 137 e ss. cod. proc. civ., con la conseguenza che la notificazione eseguita a mezzo del servizio postale non è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione stabilito dal citato D.Lgs., art. 51"; conforme, Cass. 2183/2005.

Il primo motivo di ricordo va dunque respinto.

Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano le sentenze impugnate per aver dichiaralo inammissibili i ricorsi introduttivi dei procedimenti di primo grado per la mancanza, negli esemplari consegnati all’Agenzia (ma non in quelli depositati nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale), delle firme della parte e del procuratore in calce alla procura apposta a margine dei ricorsi stessi. Con tale decisione, ad avviso dei ricorrenti, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, attribuendogli un contenuto precettivo di cui esso è privo, giacchè l’ultima parte del quarto comma di detto articolo sanziona con l’inammissibilità la mancanza di sottoscrizione del ricorso e non la mancanza di sottoscrizione della procura del ricorso.

Il motivo è, nei limiti e con le precisazioni di cui appresso, fondato.

Va premesso che, come rilevato dalla stessa Commissione Tributaria Regionale nella pagina 3, paragrafo d), di tutte le sentenze impugnate con i ricorsi riuniti:

gli esemplari dei ricorsi di primo grado depositati dall’Amministrazione nei propri fascicoli di parte erano costituiti da fotocopie dei ricorsi originali;

in dette fotocopie non compariva alcuna sottoscrizione sotto i nominativi del ricorrente e del difensore scritti in calce alla procura speciale stesa a margine del testo dei ricorsi;

per contro, gli esemplari dei ricorsi di primo grado presenti nei fascicoli di parte dei ricorrenti recavano regolarmente le firme della parte e del difensore in calce alla procura speciale.

E’ dunque evidente, in linea di fatto, che i contribuenti – i quali notificarono i ricorsi di primo grado all’Ufficio finanziario avvalendosi della forma della notifica diretta a mezzo posta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3 – errarono nell’esecuzione di tale forma di notifica, perchè – invece di spedire all’Ufficio gli originali dei ricorsi e depositare presso la segreteria della Commissione le relative copie, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992 negli art. 16, comma 3, (ove si parla di "spedizione dell’atto") e art. 22, comma 1, ("Il ricorrente … deposita nella segreteria della commissione tributaria adita … copia del ricorso … spedito per posta") – spedirono all’ufficio le fotocopie dei ricorsi (quelle che le sentenze impugnate riferiscono essere presenti nei fascicoli di parte dell’Amministrazione) e depositarono presso la segreteria della Commissione gli originali (quelli che le sentenze impugnate riferiscono essere presenti nei fascicoli di parte dei contribuenti).

L’errore compiuto dai contribuenti nella esecuzione della notificazione diretta a mezzo posta D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 16, comma 3, non è tuttavia causa di inammissibilità del ricorso, ma costituisce una mera irregolarità, come già chiarito da questa Corte con la sentenza 21170/2005, la quale ha affermato che:

Le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo (extrema ratio) è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della "tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità" (sentenze C.Cost. nn. 189 del 2000 e 520 del 2002).

La chiave di volta dell’intero regime delle inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio tributario va individuato nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 5 ("ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi"), il quale stabilisce una sorta di possibile causa di esclusione della sanzione dell’inammissibilità (da intendersi, come si è detto, quale vera e propria extrema ratio) quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell’atto e l’osservanza delle regole processuali fondamentali.

In particolare, con riferimento alla previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, riguardante la menzionata attività di consegna del ricorso in originale all’Ufficio finanziario e di deposito della copia, attestata come conforme dalla parte, presso la segreteria della Commissione, non si può far discendere l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dalla eventuale irregolarità che abbia avuto ad oggetto tale procedura e, ad esempio, si sia (come nel caso di specie) esattamente "rovesciata" nell’ordine procedimentale, con la consegna della copia (anzichè dell’originale) all’Ufficio e il deposito dell’originale (anzichè della copia conforme) presso l’organo giurisdizionale.

Alla stregua di tali principi, che la Corte ha ribadito con le sentenze 6391/2006, 29394/2008, 15444/2010 e che qui si intende nuovamente confermare, deve escludersi che i ricorsi introduttivi dei procedimenti di primo grado potessero considerarsi inammissibili perchè i contribuenti aveva sbagliato nella esecuzione della notifica D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 16, comma 3, spedendo all’Ufficio la copia, anzichè l’originale. e depositando nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale l’originale, anzichè la copia, dei ricorsi.

Ciò posto – una volta chiarito che i contribuenti depositarono nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale gli originali dei ricorsi e spedirono all’Ufficio le relative copie e che tale errore non è causa di inammissibilità dei ricorsi – resta da chiedersi se costituisca causa di inammissibilità dei ricorsi il fatto che nelle copie (spedite all’Ufficio), ma non negli originali (depositati nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale), mancavano le firme della parte e del difensore in calce alla procura alle liti stesa a margine dei ricorsi stessi.

La risposta al suddetto quesito non può che essere negativa, perchè il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 4, sanziona con ‘inammissibilità la mancata sottoscrizione del ricorso, ma non fa alcun cenno alla sottoscrizione della procura apposta a margine del ricorso (ben potendo, de resto, l’incarico essere rilasciata su un atto diverso dal ricorso, secondo il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3). Sotto altro aspetto, va sottolineato che la conformità che deve sussistere, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, tra l’atto depositato nella segreteria della Commissione Tributaria e l’atto spedito all’Ufficio finanziario riguarda unicamente il contenuto dell’atto e non la trascrizione della procura a margine del medesimo; vedi, sul punto, la sentenza di questa Sezione n. 8601/2006: "In tema di contenzioso tributario, la conformità della copia del ricorso depositata presso la segreteria della commissione tributaria all’originale notificato dal contribuente all’ufficio imposi tare mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale, prescritta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 3, riguarda unicamente il contenuto dell’atto, mentre per quanto attiene alla procura al difensore deve ritenersi sufficiente l’apposizione sulla copia di una annotazione che attesti la presenza di tale procura sull’originale." Deve quindi confermarsi il principio già espresso nella sentenza di questa Sezione n. 13208/2007, secondo cui "nel processo tributario la procura alle liti deve essere apposta sull’originale del ricorso, mentre non è necessario che figuri anche sulla copia notificata alla controparte, nella quale è sufficiente che compaia una annotazione la quale attesti la presenza di tale procura sull’originale";

principio da ultimo confermato – sia pure in fattispecie in cui, all’inverso rispetto al caso oggi all’esame della Corte, il contribuente aveva correttamente spedito l’originale del ricorso all’Ufficio finanziario e depositato la copia nella segreteria della Commissione Tributaria – dalla sentenza 14389/2010 ("La mancata sottoscrizione in originale della procura alle liti, nella copia del ricorso depositata presso la segreteria del giudice tributario, è priva di conseguenze in ordine all’ammissibilità e validità del ricorso medesimo, essendo necessario che la sottoscrizione della parte sia contenuta nell’originale dell’atto, nonchè seguita dall’autenticazione del difensore ed, infine, che le copie contengano elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto da difensore munito di procura speciale, come la trascrizione o l’indicazione del mandato").

Le sentenze della Commissione Tributaria Regionale di Firenze impugnate con i ricorsi riuniti si sono discostate dalla interpretazione sopra delineata del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 22, in quanto hanno giudicato inammissibili i ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado perchè sulle relative copie mancavano le firme in calce alla procure alle liti; in tal modo trascurando il principio che nel processo tributario la procura alle liti deve essere apposta sull’originale del ricorso, mentre non è necessario che figuri anche sulla copia; irrilevante poi essendo che, come nella specie, la parte erroneamente spedisca all’Ufficio la copia (invece che l’originale) e depositi presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale l’originale (invece che la copia) del ricorso.

Le sentenze impugnate vanno dunque cassate, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, restando assorbiti il terzo e quarto motivo.

Le cause riunite vanno rinviate ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale di Firenze, che conoscerà nel merito delle controversie e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi 30460/06, 30461/06 e 30462/06, respinge il primo motivo dei ricorsi stessi e, in accoglimento del secondo motivo, assorbiti gli altri, cassa le sentenze impugnate e rinvia ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale per l’esame del merito delle controversie.

Spese al merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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