T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 04-02-2011, n. 1040 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Fondazione G. è proprietaria di aree ubicate in Roma, località Falcognana, Via di Porta Medaglia, individuate in catasto al foglio 1169, allegato 1089, particelle nn. 21, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 66, 67, 68, 74, 136, 137, 246, 247, 248, 249, 250, 251, foglio n. 1170 allegato 1091, particelle nn. 359, 381, 399, 400, 401, 402, 403, 404, 405, 406, 407, 443 e 445, aventi una superficie pari a circa ettari 64.

I Sigg.ri F.G.D.L. e N.G. sono proprietari, sempre nella stessa località, di aree fisicamente contigue a quelle della Fondazione G. distinte in catasto al foglio n. 1169, particelle nn. 28, 33 e 75, al foglio n. 1170, particelle nn. 1, 309p, 310, 311, 312, 118, aventi superficie pari a circa ettari 18.

Il tutto quindi per una superficie complessiva pari ad 82 ettari.

In relazione al decreto di vincolo, i ricorrenti hanno constatato che le aree di proprietà già individuate in sede di P.T.P.R. ex art. 134, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 42/2004 come ambito tipizzato della campagna romana, ricadono interamente nel perimetro individuato dal vincolo stesso, risultando interessate esattamente dagli identici sistemi ed ambiti di paesaggio riscontrati negli elaborati del P.T.P.R. adottato dalla Giunta Regionale con delibera n. 556 del 25.7.2007 e n. 1025 del 21.12.2007.

In particolare:

a) il paesaggio agrario di rilevante valore, ricopre un’area di circa 463.250 mq. (355.925 mq. di proprietà G. e 107.325 mq. di proprietà G.) e rappresenta il 57,07% della Tenuta della Falcognana.

L’art. 12 delle Norme Tecniche allegate al D.M. oggetto del presente ricorso, ricalca fedelmente l’art. 24 delle N.T.A. del P.T.P.R. inibendo integralmente la trasformabilità dei suoli, salvo modeste realizzazioni finalizzate al mantenimento dell’attività agricola;

b) il paesaggio naturale di continuità, ricopre un’area di circa 155.541 mq. (97.128 mq. di proprietà G. e 58.413 mq. di proprietà G.) e rappresenta il 19,17% della Tenuta Falcognana.

L’art. 11 delle norme tecniche di cui al D.M. impugnato, ricalca fedelmente l’art. 23 delle N.T.A. del P.T.P.R. inibendo integralmente la trasformabilità dei suoli, salvo, anche in questo caso, consentire modesti interventi finalizzati al miglioramento dell’efficienza dell’attività agricola;

c) il paesaggio dell’insediamento storico diffuso ricopre un’area di circa 99.647 mq. (interamente di proprietà G.) e rappresenta il 12,28% della Tenuta Falcognana.

L’art. 18 delle norme tecniche di cui al D.M. impugnato, ricalca fedelmente il testo dell’art. 31 delle N.T.A. del P.T.P.R., inibendo la trasformabilità dei suoli, salvo modeste realizzazioni finalizzate al miglioramento dell’efficienza dell’attività agricola ed alla fruizione delle aree storicoarcheologiche nei parchi archeologici istituiti (che non interessano aree dei ricorrenti).

In via generale, i ricorrenti rilevano che, comunque, il decreto ministeriale ha esteso a 5.400 ha. La superficie dell’area già individuata in sede di PTPR come area agricola identitaria della campagna romana e pari a 2.700 ha.

Il ricorso è sorretto dai seguenti motivi:

1) Violazione del DPR n. 8/1972. Violazione degli artt. 135 e 143 D.Lgs. n. 42/2004. Incompetenza. Violazione e falsa applicazione art. 138, comma 3 D.Lgs. n. 42/2004. Violazione e falsa applicazione dell’art. 140, comma 2 D.Lgs. n. 42/2004.

Gli interessati premettono una ricostruzione del quadro normativo che presiede all’attribuzione della competenza in materia di redazione ed approvazione dei piani paesistici, dalla L. n. 1497/39 e dal suo regolamento di attuazione R.D. n. 1357/40, fino al D.Lgs. n. 42/2004, (in particolare art. 143, comma 2 ult. cpv., art. 156 D.Lgs. n. 42/2004) e ricordano che la Regione Lazio ha ottemperato agli obblighi di legge adottando il PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale).

Il Ministero dei Beni Culturali non avrebbe una potestà pianificatoria in via primaria, dovendosi limitare ad ampliare la dichiarazione di notevole interesse pubblico a quelle aree non ancora assoggettate a tale vincolo ed esterne e diverse da quelle già inserite nel PTPR.

Il D.M. impugnato invece nelle NTA allegate e costituenti parte integrante del provvedimento, contiene disposizioni precise e puntuali impositive, come nel caso dei ricorrenti, addirittura di una inedificabilità assoluta, che per espressa disposizione "sostituiscono a tutti gli effetti quelle del PTPR e quelle dei PPTTPP, anche con riguardo alle modifiche introdotte con DGR Lazio n. 41 del 31 luglio 2007", questa ultima riguardante le osservazioni dei Comuni accolte ed inserite con immediata vigenza nei PTP approvati.

Inoltre ben 2700 ettari dell’Agro Romano, tra cui le aree dei ricorrenti, erano state già individuate e pianificate in sede di PTPR, redatto sulla base di una cooperazione istituzionale fondata su di un accordo di collaborazione, con la identica disciplina ora riproposta.

Con il vincolo impugnato il Ministero sarebbe venuto ad interferire con il PTPR, in corso di approvazione, essendo l’istruttoria in fase di controdeduzioni alle oltre 12.000 osservazioni presentate dai privati. In particolare le osservazioni dei ricorrenti sarebbero state valutate favorevolmente dal Comune di Roma con deliberazione C.C. n. 32/2008.

La stessa Regione, nel proprio parere, avrebbe lamentato ad opera del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, un’illegittima invasione dell’area riservata al piano paesaggistico e la conseguente lesione del suo potere pianificatorio.

2) Illegittimità costituzionale degli artt. 134 comma 1 lett. c) e 143 comma 1 lett. d) D.Lgs. n. 42/2004, così come modificati dal D.Lgs. n. 157 del 24.3.2006 e dal D.L. g.s. del 23 marzo 2008 per violazione dell’art. 76 Cost. (eccesso di delega). Illegittimità del D.M. del 25.1.2010 in via derivata e riflessa dal PTPR.

La Legge n. 137 del 6.7.2002 delegava, all’art. 10, il Governo ad adottare "uno o più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente alla lettera a) (beni culturali e ambientali), la codificazione delle disposizioni legislative in materia", con il fine di "aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali… senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, né l’abrogazione degli strumenti attuali e, comunque, conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali, soprattutto in materia di circolazione dei beni culturali…".

Il D.Lgs. n. 42 del 22.1.2004 "Codice dei beni culturali e del paesaggio" (c.d. "Codice Urbani"), le sue disposizioni correttive ed integrative ( D.Lgs. n. 157 del 24.3.2006 e D.Lgs. n. 63 del 26.3.2008), il PTPR ed il decreto di vincolo impugnato avrebbero determinato un incostituzionale ampliamento delle tipologie di beni sottoposti a tutela, mediante l’introduzione di una nuova categoria di beni paesaggistici accanto a quelle originariamente previste (art. 134, comma1 lett.c)).

Nel caso di specie, l’area dei ricorrenti è stata individuata dal P.T.P.R.secondo le qualificazioni meglio specificate in fatto, ed il decreto di vincolo impugnato, per le aree dei ricorrenti, si sarebbe specularmente "appoggiato" sulla individuazione effettuata dal PTPR. Tale provvedimento è dunque affetto da illegittimità in via derivata dal Codice Urbani e dal PTPR, posto che l’art. 1 comma 3 delle N.T.A. allegate al decreto di vincolo precisa che le norme stesse adottano i criteri metodologici e le modalità di tutela che informano il P.T.P.R. con particolare riguardo alla classificazione del territorio in sistemi di paesaggio ed ambiti di paesaggio.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 136 lett. c) e d) D.Lgs. n. 42/2004 in relazione all’art. 138. Violazione dell’art. 9 R.D. 1357/1940.

Se il decreto impugnato potesse essere considerato come dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136 D.Lgs. n. 42/2004, sarebbe illegittimo in via principale, per non aver rispettato quei criteri ritenuti necessari dal legislatore per l’individuazione delle bellezze naturali, poiché le aree assoggettate alla dichiarazione di interesse pubblico con il D.M. impugnato (5.400 ettari), sarebbero delle normali zone agricole che non solo non rientrano nelle categorie tutelate paesisticamente per legge (art. 1 L. 431/1985, oggi art. 142 D.Lgs. n. 42/2004), ma che in quanto tali non costituiscono "complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale" ai sensi dell’art. 136 lett. c) D.Lgs. n. 42/2004 e né costituiscono "bellezze panoramiche considerate come quadri naturali o punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quella bellezza", ai sensi della lett. d) dello stesso art. 136 cit., mancando in esse una dimostrata eccezionalità delle caratteristiche di omogeneità del territorio.

In subordine, il decreto impugnato sarebbe comunque illegittimo per aver posto in essere una specifica e puntuale pianificazione riservata al piano paesaggistico e come tale inammissibile.

4) Violazione del giudicato con conseguente nullità del provvedimento impugnato ex art. 21 septies L. 241/1990. Eccesso di potere per carenza dei presupposti.

Il vincolo impugnato si pone in palese contrasto con la natura "giuridicamente edificabile" dell’area di proprietà dei ricorrenti, consolidatasi in un giudicato.

Rammentano i ricorrenti, nell’ambito di una ricostruzione delle vicende relative al profilo della destinazione urbanistica impressa ai terreni nei vari piani regolatori e varianti succedutisi dal "64 ad oggi nel comune di Roma, che i terreni in questione fanno parte di un più ampio comprensorio (circa 103 ettari) avente fin dal "6265 destinazione edificatoria zona E di espansione con densità territoriale di 140 abitanti/ha.

Con deliberazione C.C. n. 279 del 23/24 luglio 1991 di adozione della Variante di Salvaguardia l’area in questione veniva destinata a zona H, Agro Romano, sottozona H3.

Con decisione del TAR Lazio, Sez. I, n. 975/93 in accoglimento del ricorso proposto dalla Fondazione G. e dai Sigg.ri G., la precisata Variante veniva annullata con ampia motivazione che, in sintesi, evidenziava l’incongruenza della eliminazione di una potenzialità edificatoria senza giustificazioni evidenti. L’annullamento sarebbe stato confermato con la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1928/98.

Secondo la prospettazione degli interessati l’annullamento dell’attribuzione a zona agricola avrebbe comportato la reviviscenza della destinazione edificatoria a zona E di espansione, vigente per la zona de qua sin dal 1965 e tale principio non sarebbe stato scalfito né dalla Variante delle Certezze e né dal Nuovo P.R.G, che hanno reimposto sull’area de qua la destinazione a zona agricola, avendo gli stessi, sempre ad avviso dei ricorrenti, carattere "meramente confermativo della precedente Variante di Salvaguardia". Comunque, sia avverso la Variante delle Certezze che avverso il Nuovo P.R.G., gli stessi hanno proposto in via meramente cautelativa ricorsi al TAR ancora (R.G. n. 16910/97 Sez. I e n. 13992/03 Sez. II).

In ogni caso in base all’art. 21 septies alla L. n. 241/1990 secondo cui "E’ nullo il provvedimento amministrativo che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato", i ricorsi predisposti risulterebbero superflui.

Il provvedimento impugnato sarebbe pertanto viziato da violazione del giudicato comportante il "consolidamento" di una destinazione giuridicamente edificatoria., che rappresenterebbe la base ed il presupposto del vincolo.

5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 134 lett. c) e 136 D.Lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza d’istruttoria. Difetto di motivazione.

a) Sull’area di proprietà dei ricorrenti sono state realizzate opere di infrastrutturazione, quali, in particolare, la condotta idrica alimentatrice della zona idrica E/4 da Via Ardeatina a Via Laurentina (delibera G.C. n. 529/1999 e delibera G.C. n. 749/2000 di approvazione del progetto ACEA) ed un cablaggio in fibra ottica per telecomunicazioni, collocato dall’ACEA nel sottosuolo, in parallelo alla condotta idrica.

Inoltre, ad immediato ridosso dell’area di proprietà esiste un nucleo abusivo.

Tali circostanze sarebbero sintomatiche di una poca qualificazione dell’area sotto il profilo paesisticoambientale e dimostrerebbero l’esistenza, a carico del decreto impugnato, del vizio di eccesso di potere sotto il profilo della carenza d’istruttoria e dei presupposti.

Sussisterebbe inoltre a carico del decreto ministeriale impugnato anche un difetto di motivazione.

Gli elementi descritti nelle relazioni sarebbero ordinari e ricorrenti nell’intero Agro Romano, quali: "Il paesaggio ondulato" "Le colture agricole che costituiscono la copertura vegetale dominante", "L’utilizzazione agricola del suolo, nell’ambito del quale la coltura qualitativamente e quantitativamente più rilevante è il seminativo nudo".

In particolare con riferimento all’ambito della località Falcognana si affermerebbe che "Sia i fondovalle che gli altopiani sono tenuti a seminativo nudo, qui più che mai determinando quel caratteristico paesaggio della Campagna Romana caratterizzato da amplissime estensioni ondulate punteggiate da radi insediamenti rurali e scenograficamente dominate dal profilo dei Colli Albani".

Ma le zone agricole, in quanto tali non rientrano nelle categorie tutelate paesisticamente per legge.

I casali della Falcognana di Sotto inoltre non costituirebbero testimonianze tali da giustificare un vincolo praticamente di inedificabilità assoluta che investe la quasi totalità della proprietà, in quanto gli stessi hanno subito anche integrazioni di recente datazione e semmai si potevano tutelare con la previsione di una congrua fascia di rispetto.

6) Mancato contemperamento tra interesse pubblico e privato con conseguente violazione dell’art. 9 R.D. n. 1357/1940. Eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta. Sproporzione del vincolo.

Le aree di proprietà dei ricorrenti avrebbero tutte le caratteristiche richieste dall’invito pubblico allegato alla delibera CC n. 315/2008, finalizzata al reperimento di aree per l’attuazione del piano comunale di Housing Sociale e di altri interventi di interesse pubblico, in quanto destinate dal P.R.G. vigente a zona agricola, ubicate ad 1,8 Km dalla Stazione Ferroviaria "Divino Amore", compatibili con i vincoli e le prescrizioni di tutela e protezione del paesaggio.

L’art. 3, comma 6 dell’invito pubblico allegato alla richiamata delibera G.C. n. 315/2008 prevedeva comunque la salvezza dei casi di osservazioni al PTPR già presentate e valutate favorevolmente dal Comune, con la deliberazione C.C. n. 32/2008 ed i ricorrenti, trovandosi in tale condizione, hanno partecipato al precisato invito pubblico con domanda presentata il 9 febbraio 2009 (prot. n. 2202) ed il 12 febbraio 2009 (prot. N. 2583).

Il vincolo contrasterebbe quindi con l’esigenza di tutela del diritto all’abitazione ( art. 47 Cost., II comma) soprattutto delle fasce economicamente più deboli, nonchè dell’iniziativa privata ( art. 41 Cost.) e di tutela della proprietà privata ( art. 42 Cost.), poiché non vi sarebbe stato il contemperamento di distinte esigenze tutte costituzionalmente tutelate, esigenze riconosciute dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, con illegittimità del vincolo impugnato e preclusione dell’espansione dell’aggregato urbano proprio in quelle zone agricole che dovrebbero essere a ciò naturalmente deputate.

Infine, il decreto di vincolo impugnato, considerata la dimensione della proprietà dei ricorrenti (82 ettari), vincolata pressoché integralmente, determinerebbe anche la lesione del principio di proporzionalità tra estensione del vincolo e sacrificio imposto ai privati.

Si è costituita in giudizio, per resistere, l’Amministrazione intimata con memoria scritta a sostegno del proprio operato.

Con memoria conclusionale i ricorrenti hanno replicato alle difese della parte avversa e con memoria unica le stesse parti hanno insistito sulla questione di costituzionalità, motivando ampiamente.

L’Amministrazione ha prodotto ulteriori controdeduzioni in vista dell’udienza.

All’udienza pubblica odierna il ricorso è trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Deve essere precisato in fatto che le aree di proprietà dei ricorrenti, come esattamente dimostrato dagli atti dell’istruttoria svolta dall’amministrazione, sono qualificate dai vigenti e non annullati strumenti di pianificazione del comune di Roma come agro romano, ma sia il PTP (15/3 Cecchignola Valleranno) che il PTPR adottato le hanno sottoposte a livelli di tutela stringenti riconoscendone la rilevanza sul piano paesaggistico.

I ricorrenti ritengono di avere una posizione meritevole di particolare considerazione in quanto a suo tempo hanno ottenuto l’annullamento di previsioni pianificatorie che escludevano la massiccia edificabilità dell’area, con affermata reviviscenza di tali potenzialità.

La tesi non è condivisibile, sia perché con successivi provvedimenti lo stesso comune di Roma ha reiterato la destinazione ad agro romano e rispetto a tali atti non esiste giudicato favorevole ai ricorrenti- né tali provvedimenti possono ritenersi elusivi del giudicato, specialmente in questa sede in cui la relativa legittimità non è in discussione – sia perché in ogni caso l’effetto del giudicato investe al limite i rapporti tra amministrazione comunale e privati, come esattamente rilevato dal Ministero in sede di controdeduzioni, mentre nella specie, come sarà chiarito in seguito si è in presenza di un provvedimento adottato sulla base di distinti poteri e di specifici presupposti, a tutela di un bene riconosciuto di notevole interesse pubblico. Il quarto motivo è quindi destituito di fondamento.

La posizione dei ricorrenti, sul piano urbanistico, è inoltre di mera aspettativa rispetto ad un’iniziativa comunale, quella dell’Housing sociale, ancora in itinere, relativa alla mera programmazione di interventi di edilizia residenziale e pubblici che ancora dovevano essere localizzati al momento dell’adozione del provvedimento.

Altra peculiarità è rappresentata dal fatto che, nella specie, vi è una sostanziale identità di terminologia e di qualificazione delle aree tra piano paesaggistico e decreto di vincolo. La circostanza tuttavia non produce gli effetti ipotizzati dagli interessati nei motivi di ricorso ed ha una sua spiegazione logica di cui si dirà in seguito.

In estrema sintesi, a parte la questione di costituzionalità, di cui al secondo motivo, i ricorrenti reputano il provvedimento impugnato illegittimo perché l’amministrazione dello Stato, nel dichiarare il notevole interesse pubblico di una vasta area dell’ "agro Romano", avrebbe in realtà pianificato invadendo la potestà riservata dalla legge e dalla costituzione alla Regione, incidendo sulle previsioni di un Piano paesaggistico regionale già adottato e corredato di specifiche norme d’uso per ogni parte del territorio, avrebbe esorbitato dai limiti di esercizio di un potere per sua natura eccezionale, da attivare per aree prive di disciplina paesaggistica in via sostitutiva (art. 143, comma 2), ed avrebbe inoltre inserito la loro area tra quelle da tutelare, seppure assolutamente priva degli elementi richiesti dalla legge per giustificare il vincolo, in quanto coltivata a seminativo nudo, imponendone la assoluta inedificabilità, con difetto di motivazione e di istruttoria, anche con riferimento alle controdeduzioni del Ministero alle osservazioni.

Quanto alla questione di costituzionalità, il codice Urbani, il piano paesaggistico regionale e quindi, in via di illegittimità derivata, il decreto impugnato, che ne avrebbe recepito pedissequamente le tipizzazioni e le norme d’uso, violerebbero la Costituzione perché avrebbero introdotto nell’ordinamento una terza categoria di beni da vincolare, rappresentata dalle aree agricole, determinando ulteriori restrizioni alla proprietà privata espressamente vietate dalla legge delega.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, invece, l’amministrazione avrebbe individuato una tipica bellezza d’insieme ai sensi dell’art. 136 lett.c) e d) del codice Urbani, nell’esercizio del potere dello Stato, di cui all’art. 138, ultimo comma, autonomo e concorrente, di imporre i vincoli in questione, comportanti specifica disciplina d’uso delle aree interessate, prevalente su quella del Piano paesistico regionale, anche in assenza di previa intesa con la Regione, titolare del potere di governo del territorio, in tal modo sancendo la prevalenza dell’interesse alla salvaguardia dei valori di identità rispetto a quella di autodeterminazione degli enti esponenziali delle comunità territoriali.

Ne deriverebbe l’irrilevanza della questione di costituzionalità così come prospettata.

Prima di affrontare la censura sviluppata nel secondo motivo ed ampiamente ripresa negli ulteriori scritti difensivi, è indispensabile sgombrare il campo da un equivoco di fondo che inficia la prospettazione dei ricorrenti.

Il provvedimento impugnato, per la parte di interesse, non rappresenta un mero ed acritico recepimento di previsioni pianificatorie definite in sede regionale, ma è la conclusione di una autonoma ed approfondita fase istruttoria, di cui si ha traccia negli elaborati grafici e fotografici allegati al decreto, tesa ad evidenziare, nell’esercizio del potere che la legge attribuisce da sempre all’autorità centrale, la preesistenza e sussistenza, nell’area vincolata, di quelle caratteristiche che ne fanno un bene identitario peculiare e da salvaguardare perché tuttora integro e di particolare qualità, se osservato nella sua complessiva definizione e superficie e non in relazione a piccole porzioni facenti capo a diversi proprietari, in quanto caratterizzato da elementi di tipo naturalistico, da interventi derivanti dall’azione dell’uomo, dalla presenza di elementi archeologici sparsi ed architettonici, propri di una peculiare cultura contadina, ancora integri ma minacciati da massicce previsioni di edificazione residenziale tali, per estensione e densità da snaturarne le qualità.

Tali considerazioni valgono in special modo per le proprietà dei ricorrenti che secondo la documentazione anche fotografica esibita in giudizio si presentano come particolarmente integre e significative dei richiamati valori identitari.

Non sussiste quindi il vizio di illegittimità derivata, che secondo la prospettazione dei ricorrenti è alla base della censura di incostituzionalità, poiché i sistemi ed ambiti di paesaggio considerati nel decreto e la relativa disciplina d’uso, seppure dichiaratamente coincidenti nell’individuazione cartografica o nella classificazione con quelli individuati e tipizzati dalla regione in sede di pianificazione (cfr. art. 1 comma 3 ed art. 2 comma 2 delle NTA) rappresentano la conclusione di un autonomo e distinto procedimento di riconoscimento del notevole interesse pubblico di un’area e non una pianificazione paesaggistica.

Non è quindi rilevante la questione di costituzionalità, non essendovi eccesso di delega in relazione al potere esercitato, nè violazione dell’art. 76 della Costituzione in quanto, relativamente all’esercizio del potere riconosciuto al Ministero, che è presupposto del provvedimento, non vi è stata alcuna introduzione o specifica individuazione di nuove categorie di beni paesaggistici.

D’altro canto va osservato, anche se nella specie non si controverte della legittimità del piano paesaggistico, che il codice Urbani, nella versione vigente, ha semmai attribuito ad altro organo, la regione, il potere prima riservato solo allo Stato, quello di individuare autonomamente e sulla base di uno specifico procedimento, in ambito regionale, altri "beni paesaggistici", purchè aventi le medesime caratteristiche di quelli già previsti nel precedente sistema legislativo e non certo il potere di creare nuove categorie di beni da vincolare.

Il sistema di tutela del paesaggio, d’altro canto, rende legittime le limitazioni all’uso della proprietà dei beni individuati "senza limitarne, peraltro la commerciabilità od una redditività diversa da quella dello sfruttamento edilizio, alla luce dell’equilibrio costituzionale tra gli interessi in gioco, che vede alcune facoltà del diritto dominicale recessive di fronte all’esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali ( art. 9 cost.) in attuazione della funzione sociale della proprietà"(Cass. 19/07/2002, n. 10542).

Esclusa la fondatezza del secondo motivo, le altre censure sono state già esaminate di recente dal tribunale in casi afferenti la medesima zona, con argomentazioni che, in linea generale, tuttora si condividono.

Quanto al primo motivo, al fine di meglio inquadrare la questione sottoposta all’esame del Collegio, è necessario operare una ricostruzione della materia alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale ed in particolare della novella successivamente introdotta al Codice dei BB.CC.PP., con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

Il Codice dei Beni Culturali, all’art. 131, nella versione vigente, che tiene conto della Convenzione europea del paesaggio, modificato anche in questa parte, prevede in linea generale che:

"1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.

2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità" nazionale, in quanto espressione di valori culturali.

3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano cfr. corte cost. 29 luglio 2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici."

Pertanto se, in via ordinaria, ai sensi dell’art. 135 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs, la conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio è assicurata tramite la pianificazione paesaggistica e a tale fine le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143 d.lgs. 42/04 e s.m.i., sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, tuttavia tale assetto ordinario delle competenze trova un limite, ai sensi del terzo comma dell’art. 131 del Codice, nella ricordata "… potestà esclusiva" dello Stato di tutela del paesaggio che si pone come preciso limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni sul territorio.

Il potere esclusivo di intervento dello Stato è stato specificato proprio nell’articolo 138 comma 3° (nel testo introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera h) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) del codice dei Beni Culturali per cui:

"E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136.".

E’ evidente dalla sua stessa costruzione letterale, che non prevede limiti d’intervento, che non si tratta né di una potestà, né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere dovere di intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto dai primi due commi della stessa norma, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi nei quali, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato. Ed è significativo che il legislatore abbia introdotto tale modifica in aggiunta al già disciplinato potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli art. 156, terzo comma e 143, secondo comma. Si è voluta in tal modo ribadire la coesistenza di un duplice e distinto potere in capo all’amministrazione centrale, il primo attribuito in via diretta sulla base dei principi costituzionali ed il secondo, funzionale alla valorizzazione del paesaggio,in via sostitutiva.

Si tratta manifestamente dell’introduzione di una norma "di chiusura" del sistema per porre una garanzia di una tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale (nel momento in cui si è modificato il procedimento paesistico).

Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella – previo parere della Conferenza Unificata StatoRegioni — è stato riconosciuto, e disciplinato, "… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla Corte Costituzionale con la sentenza 1424 luglio 1998 n.334…"

Il potere è, quindi legittimamente esercitato, come nella specie, quando, il "munus patrum" da tramandare alle generazioni future può apparire pregiudicato da scelte effettuate dagli enti locali, anche se nel corretto esercizio del potere di gestione del territorio e del suo sfruttamento a fini edificatori o di sviluppo delle città. La tutela del bene paesaggistico infatti prevale, per scelta del costituente, sulla realizzazione degli altri interessi economici.

Quando, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni..), si determini una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si verifichi la prevalenza di scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico, che appaia oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari e sia quindi impossibile un’azione condivisa, la preminenza del valore "paesaggio" implica che debba esser "…fatto salvo il potere del Ministero…" (così la norma) di cui all’art. 138, 3° co. di imporre autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio, previo procedimento, sia pure differenziato nelle modalità di avvio e di partecipazione, sia della regione (che deve esprimere un parere),che dei comuni (che possono presentare osservazioni).

E’ bene chiarire che tali norme non si riferiscono al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla Regione, la quale in sede di pianificazione, dopo aver recepito i vari vincoli e le relative norme d’uso, ove formulate, resta libera di tipizzare a sua volta altre porzioni di territorio, entro i limiti specificati con le modifiche all’originaria versione del codice, e comunque di regolare il restante territorio non vincolato, di delinearne la valorizzazione e gestione secondo criteri sempre rispettosi dei valori costituzionali. La disposizione conferma e riconosce allo Stato il superiore potere di individuare i beni paesaggistici, da sottoporre a specifica tutela in quanto di notevole interesse pubblico, anche, per scongiurare ogni equivoco, attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione, non degli immobili e delle aree in sé considerati, ma "dei valori"espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude dunque la possibilità di disciplinare interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico – nella loro individualità od in complessi ben definiti- purchè ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.

Tale nuova suddivisione del potere è tuttora coerente con la cornice delineata dalla Costituzione.

In linea di principio, infatti, sotto il profilo costituzionale, la "…tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali…" è affidata alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente ( art. 117, terzo comma, Cost.) la "valorizzazione dei beni ambientali".

L’art. 117 della Costituzione, in realtà non prevede direttamente tra le materie nominate "il paesaggio", ma tale disposizione non può che essere coordinata con l’art. 9 Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi,quanto siano in gioco interessi nazionali, allo Stato.

Il paesaggio è un valore "primario" ed "assoluto", in quanto il termine paesaggio indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato (cfr. Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183).

La Corte Costituzionale in più pronunce ha ribadito che la tutela ambientale deve infatti essere considerata come una tutela "d’insieme" e non concerne esclusivamente i singoli elementi che la compongono, in quanto attraverso l’imposizione dei vincoli paesistici, si salvaguarda la tutela del paesaggio, ed al contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato VI, 22 marzo 2005, n. 1186).

L’oggetto della tutela del paesaggio non è, quindi, il concetto astratto delle "bellezze naturali", ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano "valore paesaggistico", per cui la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, anche se non necessariamente omogeneo (non a caso questo termine è stato espunto dalla legge), deve essere considerata un valore primario ed assoluto, che precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici, assegnati alla competenza concorrente delle Regioni, in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali ed a maggior ragione a quella dei comuni, che devono contenere la gestione a fini edificatori del territorio entro i limiti delineati dalle autorità sovraordinate, Stato e Regioni.

Il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ "Agro romano"qui impugnato (come sarà più evidente in seguito) è coerente con tali principi, garantisce la conservazione dei valori paesistici anche attraverso la indicazione delle relative modalità d’uso e di trasformabilità, e può essere dunque considerato un legittimo esercizio dello speciale potere di intervento in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e di valorizzazione che la legge riconosce alla regione.

I ricorrenti contestano inoltre l’estensione del bene paesaggistico delineata dal Ministero (che ha raddoppiato verso nord e sud la superficie soggetta a vincolo rispetto a quanto previsto dalla Regione, in parziale accoglimento delle osservazioni della soprintendenza,) e rilevano che per le sue caratteristiche l’area non avrebbe i cospicui caratteri di bellezza naturale richiesti dalla legge, e ciò anche se la stessa pianificazione paesistica nella specie ha già riconosciuto l’esistenza di tali valori. Del tutto erroneamente però la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto la presenza di norme di attuazione del vincolo costituiva un preciso dovere di legge.Tali norme "sostituiscono" le previsioni del piano non perché il Ministero ha inteso pianificare in sostituzione della Regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela si impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata. In altri termini pur dopo l’adozione del piano paesaggistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione, sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, ovviamente se ne sussistano i presupposti, ed i relativi provvedimenti, compresa la disciplina d’uso, " sostituiscono" le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla costituzione e dal Codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato.

Infatti l’ articolo 140, secondo co., applicabile anche al procedimento di cui all’art. 138 terzo comma per effetto dell’art. 141, espressamente impone che "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata".

Nella specie peraltro il motivo perde di incidenza solo se consideri che, per le aree dei ricorrenti, entrambi le autorità competenti in materia hanno condiviso le rispettive valutazioni.

La scelta di adozione del provvedimento, per la parte dei ricorrenti, è stata determinata dal fine di assicurare la conservazione dei valori identitari di una vasta area di agro romano, sottraendola alla possibilità di una trasformazione urbanistico edilizia snaturante, se colta nel suo complesso, scelta che allo stato degli atti sembra non essere stata condivisa dal solo Comune, nel dare parere favorevole alle osservazioni al PTPR e nel ritenere quindi le aree idonee, quanto meno in linea di principio, all’allocazione di futuri programmabili interventi di edilizia sociale.

Tanto chiarito in merito alla natura del potere esercitato, va precisato che la modalità con cui lo stesso risulta essere stato esercitato nella specifica fattispecie in esame risulta del pari immune da vizi di eccesso di potere specificati nei restanti motivi del ricorso.

Non corrisponde infatti alla lettera attuale dell’articolo 136 l’affermazione per cui il compendio individuato non costituirebbe un circoscritto ed individuato complesso di beni, e né un quadro panoramico, ma una vasta porzione non omogenea di territorio in quanto la norma, così come modificata di recente, non autorizza una visione limitativa nella parte in cui individua:

"c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;

d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".

Pertanto l’espressione "complesso di cose immobili" non va inteso in senso di contiguità o di vicinanza, ma può concernere ambiti che, seppur differenziati al loro interno, costituiscano, nel loro insieme inscindibile, un unico complesso paesaggistico.

Non rinvenendosi, nella norma, alcuna espressa limitazione, è dunque evidente che la nozione "complesso di beni" deve essere intesa nel senso che deve trattarsi di elementi di differente natura, pregio estetico,e destinazione, i quali sono però unificati dal fatto di costituire un "bene culturale", perché il loro insieme racchiude l’essenza stessa di quel "richiamo identitario", che il Codice tutela in misura massima possibile.

Quanto al profilo panoramico si ricorda che, l’articolo 2, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63 — nell’eliminare dalla norma l’espressione "…considerate come quadri…" — ha proprio voluto elidere dall’ambito oggettivo di applicazione della norma il limite concernente la visione statica esteticopanoramica del bene. Pertanto in base alla nuova normativa, l’imposizione del vincolo non può più essere subordinata all’esistenza di punti di vista dai quali si possa godere della bellezza panoramica dell’insieme, perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio. Nei fatti in sede di individuazione del bene si riconosce che la bellezza dei luoghi si percepisce anche attraversandoli e che il valore identitario finora non è stato violato né irrimediabilmente compromesso dagli interventi di un’edificazione che seppure spontanea si pone in ambiti defilati ed appare suscettibile di recupero.

In tal modo lungi dall’incorrere nel vizio dedotto, nell’individuare vari sistemi di paesaggio (naturale, seminaturale, agrario, insediativo) e nel circoscrivere ambiti di recupero e valorizzazione, la Soprindentenza è pervenuta — come esattamente ricordato dall’avvocatura -ad affermare che la Campagna romana è un luogo riconosciuto dalla memoria collettiva, come " porta d’ingresso all’Urbe, contorno prossimo territoriale di accesso alla città di Roma, parte integrante dell’immagine e della forma territoriale d’insieme della stessa "Città eterna" proprio perché ha mantenuto attraverso i secoli i suoi lineamenti fisici ed insediativi, come è provato da secoli di produzione artistica, letteraria, e dalla documentazione amministrativa descrittiva del territorio (atti di cessione di terreni, mappe catastali e censuarie, ecc.).

Medesime considerazioni hanno ispirato nella specie la regione nella propria pianificazione.

La "Relazione istruttoria alla proposta" e soprattutto la "Relazione di sintesi dell’istruttoria" allegate al provvedimento, corpose e puntuali, ripercorrono analiticamente i caratteri geomorfologici, i profili storici e culturali, descrivono i singoli sistemi paesaggistici che fanno capo agli scenari interessati; vi è stato un esame sia complessivo che analitico delle osservazioni dei privati; sono indicati i profili procedimentali, sia le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell’interesse pubblico perseguito che sono state poste a base del provvedimento caratterizzato dell’analiticità dell’esame istruttorio relativo ai singoli ambiti interessati al provvedimento.

Anche sotto il profilo della sussistenza dei presupposti di fatto del provvedimento del Ministero gli obiettivi della tutela appaiono correttamente identificati con particolare riferimento:

– a. alla necessità sia della conservazione degli elementi costitutivi delle diverse morfologie dei beni paesaggistici (in relazione alle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi), e sia all’esigenza del ripristino dei valori paesaggistici, che si pongono in una linea di continuità con le Osservazioni al Progetto di Piano Territoriale Paesistico Regionale" (PTPR). Tale presupposto è direttamente dimostrato dalle numerose fotografie allegate al provvedimento, che restituiscono in maniera plastica la bellezza e la storicità, e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico storico culturale e paesaggistico, la cui significativa alterazione costituisce un vulnus non solo ai cittadini romani ma all’intera comunità nazionale.

Si tratta infatti di un territorio che (come esattamente ricordato nella Relazione allegata alla proposta di dichiarazioni di notevole interesse pubblico) mantiene l’alta qualità paesaggistica della campagna romana sia sotto il profilo paesaggistico che per la presenza di antichi casali e fortificazioni sicchè la varietà degli ambiti interessati pianori, filari di pini marittimi, poggi, valli, forre, campi, rii e torrenti, così come sono incorniciate dal profilo dei Colli Albani, non fanno affatto venir meno quelle caratteristiche di unitarietà e di unicità sul piano paesaggistico ambientale.

Per i caratteri di peculiare riconoscibilità, inconfondibilità ed unicità dell’ambiente deve pertanto negarsi che l’area interessata, anche per la parte di proprietà dei ricorrenti, sia carente dei tratti tipici della campagna romana e che comunque non avrebbe caratteristiche peculiari tali da giustificare il vincolo. La stessa conserva infatti ancora i tratti tipici del paesaggio agrario "qui particolarmente caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici…., di grande rilevanza ai fini della costruzione dell’immagine paesaggistica tipica dei luoghi".

– b) alla presenza di zone degradate dall’edilizia abusiva e da insediamenti di nessun pregio che radica la necessità di riqualificare, e che — lungi dal giustificare un’ulteriore compromissione del territorio — costituisce il secondo degli obiettivi del provvedimento, e qualifica peculiarmente sotto il profilo dell’interesse pubblico l’intervento della Soprintendenza, senza che possa ritenersi travalicato il limite tra tutela e gestione.

– c) all’esigenza di salvaguardare le caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali assicurando, al contempo il minor consumo possibile del territorio perfettamente coerente con le indicazioni geologiche rappresentanti il terzo obiettivo del vincolo. Al riguardo, sul piano esclusivamente funzionale, del tutto legittimamente rispetto ai presupposti di fatto l’intervento ministeriale è motivato con riferimento all’insufficiente tutela del paesaggio operata dalla pianificazione comunale.

In tale prospettazione è dunque rilevante nella specie che l’area finora non sia stata oggetto di urbanizzazioni od utilizzazioni diverse da quella agricola, in quanto la finalità del provvedimento di tutela è proprio l’arresto dell’indiscriminato consumo del territorio, ovvero l’adozione di prescrizioni d’uso coerenti con la conservazione dei valori, concetto che non esclude una guidata trasformazione rispettosa dei caratteri peculiari del territorio.Nella specie infatti non si è imposta l’inedificabilità assoluta, ma la possibilità di uno sfruttamento economico coerente con la conservazione del bene.

Resta da esaminare l’ultima censura con la quale si contesta la scelta dell’amministrazione di rigettare le osservazioni presentate dai ricorrenti, con speciale riferimento allo stato attuale dei luoghi, con violazione del principio di proporzionalità.

In particolare l’affermazione contenuta nelle controdeduzioni secondo cui il giudicato costituirebbe res inter alios acta, in quanto giudicato urbanistico non esplicante, come tale, nessuna influenza nella diversa materia del paesaggio sarebbe priva di qualsivoglia valenza, posto che la destinazione urbanistica annullata era proprio la destinazione agricola e cioè quella destinazione che ha dato luogo all’imposizione del vincolo come area tipizzata ai sensi dell’art. 134 comma 1 lett. c) D.Lgs. n. 42/2004 (area agricola identitaria della campagna romana).

La tesi non ha fondamento poiché, nell’identificare il bene come suscettibile di essere vincolato, il ministero ne ha verificato le qualità intrinseche, oggettivamente riscontrabili, che esulano dagli effetti di una destinazione e qualificazione impressa in sede di pianificazione. In altri termini il vincolo non è stato imposto perché i terreni avevano una destinazione ad area agricola, ma perché gli stessi sono rappresentativi, nella specie in modo inequivoco, di quei valori identitari della campagna romana che si intendono tutelare.

L’esame della scheda relativa all’osservazione dei ricorrenti e le relative controdeduzioni dimostrano infatti una accurata ed attuale ricostruzione fotografica e grafica del sito, la verifica delle diverse destinazioni dell’area nei vari strumenti comunali (PRG del 1965, variante delle certezze del 1997, PRG del 2003) e regionali succedutisi nel tempo (PTP CecchignolaVallerano e PTPR) e l’accertamento dell’esistenza di aree e beni singoli da tutelare di vario genere, già individuate nel PTP e meglio specificate nel PTPR (tav. B e C).

Tali elementi rendono congrua e non illogica la scelta effettuata, se sommati alle considerazioni, condivisibili, sulla irrilevanza della esistenza di un contenzioso con il comune di Roma, che si pone su di un distinto piano, sulla irrilevanza dell’esistenza (all’esterno della vastissima proprietà dei ricorrenti) di taluni nuclei abusivi ((12.11 Falcognana e APPD 0.50 zona O Falcognana), tenuto conto che l’area è intatta, ed infine sulla posizione di mera aspettativa vantata dai ricorrenti rispetto a programmi pianificatori comunali tra l’altro ancora in itinere.

In conclusione, va ancora una volta ribadito che il principio fondamentale della tutela del "paesaggio" senza altre specificazioni, impone la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali in attuazione del disposto dell’art. 9 Cost. (cfr. Corte costituzionale, 07 novembre 2007, n. 367), per cui la tutela ambientale e paesaggistica precede e comunque costituisce un limite per gli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni, in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e e degli enti locali in tema di urbanistica e di sviluppo edilizio.

Il riconoscimento del bene paesaggistico e la conseguente dichiarazione di interesse pubblico, sia che provenga dallo Stato che dalla regione, costituisce infatti sul piano gerarchico e sostanziale, un presupposto intoccabile della pianificazione paesistica (cfr. Consiglio di Stato sezione 22 agosto 2003 n.4766; idem 24 giugno 2006 n. 4056; Corte costituzionale 28 luglio 1995, n. 417).

Il piano paesistico, non può che prendere atto di tutti i vincoli preesistenti o successivamente imposti, recependo le relative norme d’uso, di conservazione e ripristino, avendo la funzione di delineare gli ambiti in cui suddividere tutto il territorio regionale, e di definire prescrizioni e previsioni dirette alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici solo ove non già contenute negli atti di individuazione dei singoli beni soggetti a tutela del territorio.

La tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico – edilizie locali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni paesaggistiche "…sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette" (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180).

Il ricorso, pertanto, sulla base delle precedenti considerazioni, è complessivamente infondato e deve essere respinto.

Le spese tuttavia in relazione all’assoluta novità delle questioni trattate possono essere compensate fra tutte le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II quater, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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