Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-03-2011, n. 6126 Atti e contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società "Fa Service s.r.l." ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale del Veneto, dep. il 28/08/2006, confermativa, nella parte relativa alla medesima, parte acquirente, della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Verona che aveva rigettato il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento per imposta di registro in ordine alle compravendite di cui all’atto notar Salvatore di Legnago del 16 marzo 2000.

La CTR premesso che, con un unico rogito, erano stati venduti diversi appezzamenti di terreno alla medesima società; che l’Ufficio aveva provveduto ad aumentare il valore; che l’accertamento cumulativo, con la chiamata in causa di tutti i venditori anche per situazioni non proprie, doveva ritenersi illegittimo; confermava la sentenza che aveva accolto il ricorso dei venditori e rigettava quello della società.

Si dolgono i ricorrenti, con motivi corredati da quesiti, di violazione e falsa applicazione di legge e di vizio motivazionale.

Il Ministero della Economia e Finanze e l’Agenzia delle Entrate si sono costituiti al solo fine di partecipare alla discussione orale.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.
Motivi della decisione

Col primo motivo la società ricorrente deduce, in via preliminare, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 e art. 54, comma 2 ed inammissibilità dell’appello incidentale per difetto di domanda e conseguente giudicato interno favorevole che chiedeva di estendere a norma dell’art. 1306 cod. civ. alla società.

Osserva, in particolare, la ricorrente che, dal tenore dell’appello incidentale dell’Ufficio in cui si chiedeva di "(1) riconoscere validi gli avvisi di rettifica notificati ai sigg.ri… quali condebitori solidali per le maggiori imposte accertate e decise in 1 grado a carico dell’acquirente 2) confermare la sentenza di 1 grado nei confronti della società acquirente" – la CTP aveva accolto il ricorso dei venditori – emergeva che le conclusioni (e l’intento) dell’Agenzia erano quelli di estendere, inammissibilmente, anche perchè la pronunzia non era definitiva, la decisione emessa nei confronti della società anche nei confronti dei venditori, piuttosto che una richiesta di conferma dell’accertamento nei confronti dei medesimi, con la conseguenza che la sentenza sarebbe passata in giudicato in relazione alla mancata richiesta di conferma dell’accertamento nei confronti dei venditori, onde tale giudicato era estensibile ex art. 1306 c.c.. In altre parole, assume la società che l’Agenzia non aveva chiesto la conferma dell’accertamento nei confronti dell’acquirente, onde il relativo giudicato avrebbe effetto nei confronti della società a seguito della inammissibilità dell’appello incidentale per difetto di domanda, su cui la CTR aveva omesso di pronunziarsi, e conseguente giudicato interno favorevole che si chiedeva di estendere a norma dell’art. 1306 cod. civ. alla società.

Non avendo poi l’Agenzia proposto ricorso incidentale, nei confronti della sentenza in esame, per quanto concerne i venditori, si sarebbe formato giudicato in ordine all’illegittimità dell’accertamento cumulativo nei confronti dei venditori.

Il motivo è infondato.

Deve anzitutto rilevarsi un difetto di autosufficienza del ricorso laddove la ricorrente fonda i suoi rilievi solo sulle conclusioni dell’atto d’appello, ma non trascrive i motivi, non consentendo alla Corte di verificare il contenuto complessivo dell’atto d’appello (e cioè se, per ipotesi, la domanda come sopra trascritta non sottenda un più ampio contenuto) dovendo lo stesso interpretarsi facendo interagire il conclusum con le relative ragioni. E’ invero giurisprudenza costante di questa Corte che un atto giudiziale va valutato complessivamente (Cass. n. 2010/3012, n. 2004/22665) essendosi in particolare affermato (Cass. n. 8128/2004) che "una corretta interpretazione della domanda giudiziale postula non solo la sua analisi letterale, ma anche e soprattutto la sua valutazione contenutistico – sostanziale, avuto riguardo alle finalità perseguite dalla parte, ond’è che un’istanza non esplicitamente e formalmente proposta ben può ritenersi implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella domanda espressamente avanzata, ove risulti in rapporto di connessione necessaria con il "petitum" e la "causa petendi" di questa, con il solo limite di non estenderne l’ambito di riferimento." Ma a seguire l’impostazione della ricorrente, nel momento in cui l’Agenzia chiede la estensione della sentenza in danno della società ai venditori e la CTR decide con la superiore motivazione, è quest’ultimo il giudicato che va considerato esistente e al qual occorre fare riferimento. E il giudicato esistente è diverso da quello invocato. Invero il giudicato s’è formato sulla pronuncia positiva della CTR(annullamento dell’accertamento per motivi – causa petendi – sicuramente personali ai compratori) e non già sulla circostanza che l’Ufficio avrebbe proposto un appello incidentale inammissibile per non avere chiesto la conferma dell’accertamento bensì la estensione della pronuncia di conferma dell’accertamento nei confronti del compratore anche nei confronti dei venditori.

Se anche per ipotesi la CTR avesse ritenuto sic et simpliciter inammissibile l’appello incidentale (oggetto di odierna censura) il giudicato si sarebbe pur sempre formato sulla pronunzia di primo grado che pur sempre annullava l’accertamento per motivi sostanzialmente personali. Altrimenti opinando si sarebbe costretti a ritenere esistenti due giudicati, uno esplicito e l’altro implicito per omessa pronunzia sulla asserita inammissibilità dell’appello incidentale dell’Agenzia.

Invece il giudicato favorevole ai venditori, allo stato esistente (o che sarebbe esistito in caso di dichiarazione di inammissibilità dell’appello)non è opponibile dalla compratrice al Fisco. a) perchè fondato su ragioni personali. b) perchè la compratrice è stata parte del giudizio.

In ordine alla giurisprudenza di questa Corte sulla questione in esame, Cass. n. 1589/2006 ha ritenuto che il vincolo solidale nell’adempimento di un’obbligazione nella specie imposta di registro per compravendita immobiliare – non incide sull’autonomia ed indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun coobbligato, con la conseguenza che, se i condebitori solidali hanno partecipato al giudizio in cui è stata emessa la sentenza passata in giudicato nei riguardi di alcuno di essi per effetto della mancata proposizione, da parte del creditore, di impugnazione nei suoi confronti, non possono giovarsi di tale giudicato (cd. diretto) per impedire l’esame dell’impugnazione proposta invece nei loro confronti, ed infatti la disposizione contenuta nell’art. 1306 c.c., comma 2 – che consente al condebitore solidale di opporre al creditore la sentenza definitiva favorevole, non fondata su ragioni personali, intervenuta tra questi ed altro condebitore, in deroga ai limiti soggettivi del giudicato (cd. riflesso) – postula che il condebitore che la invoca sia rimasto estraneo al relativo giudizio (Cass. 9821/1996; 7783/2003).

Sotto altro profilo, Cass. n. 28881/2008 ha ritenuto che, nell’ipotesi di più soggetti debitori in solido della stessa imposta, uno dei quali soltanto abbia impugnato l’avviso di accertamento, la definitività di detto accertamento nei confronti del debitore inerte non precluderebbe a quest’ultimo di avvalersi del giudicato riduttivo di quel valore formatosi a favore del debitore più solerte. Ma la tendenziale unicità dell’accertamento e l’estensibilità del giudicato al condebitore solidale in sede tributaria incontrerebbe sempre il limite delle preclusioni processuali formatesi nei confronti del debitore che invochi l’estensione, per modo che il diritto potestativo sostanziale all’estensione del giudicato favorevole presupporrebbe la mancata formazione di specifico giudicato o, comunque, di preclusioni processuali a carico del soggetto che intendesse esercitare tale diritto.

Le due sentenze delle Sezioni Unite n. 13916 del 16 giugno 2006 (in tema di giudicato esterno) e n. 1052 del 18 gennaio 2007 (in tema di litisconsorzio) hanno letteralmente ribaltato uno dei principi su cui si fondava il sistema processuale tributario, così come plasmato dal diritto vivente.

Si dava, cioè, per scontato che nel processo tributario vigesse il principio della frammentazione dei giudizi per cui ogni singola vicenda processuale aveva un suo autonomo iter e raggiungeva un proprio esito: poteva dunque darsi una frammentarietà di pronunce su un’unica identica situazione di fatto, certo sconcertante per i soggetti coinvolti, ma utile ai fini della celerità processuale.

Quest’ottica è stata rimeditata nel momento in cui, sotto la spinta dei principi di uguaglianza e della capacità contributiva, si è ritenuto di unificare la tassazione, stante l’identità del valore del bene trasferito agli effetti delle due imposte, postulata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, (cfr. Cass. 14696/08).

Nel caso in esame si è ritenuto pertanto, che il giudicato formatosi sul ricorso presentato dai soli venditori non possa esaurire i suoi effetti solo nell’ambito del rapporto tributario Invim, con l’esclusione ai fini dell’imposta sul registro.

Si è comunque confermato che i venditori non possono avvalersi, ai sensi dell’art. 1306 c.c. delle statuizioni più favorevoli nascenti dal giudicato formatosi in relazione al ricorso presentato dagli acquirenti dal momento che l’art. 1306 c.c. presuppone che, nei confronti del debitore che ne chiede l’applicazione, non si sia già formato altro giudicato (Cass. S.U. 7053/91). Orbene, nel caso in esame, se la partecipazione al medesimo giudizio nel quale s’è formato (o si sarebbe formato) il giudicato che si chiede di estendere a norma dell’art. 1306 c.c., rende processualmente inammissibile l’istanza, l’essere il giudicato fondato su motivi personali ai venditori, come sopra dimostrato, la rende infondata.

La seconda censura, indicata quale proposta in via principale, è fondata sulla dedotta violazione e falsa applicazione di legge, D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 52, 52 commi 1 e 2, art. 57, commi 1 e art. 6, anche in combinato disposto tra di loro e con l’art. 1306 c.c. nonchè della disciplina delle imposte catastali ed ipotecarie facenti rinvio a quello del registro e, altresì dell’art. 331 c.p.c. oltre del principio di inscindibilità delle cause e del divieto di contrasto di giudicati, omessa pronuncia e vizio motivazionale, sul rilievo della solidarietà paritetica dell’imposta di registro, dell’esistenza dell’obbligazione solidale di venditore e compratore a coppia, e con la conseguente inammissibilità di un accertamento cumulativo per cinque vendite autonome e con la creazione di un’unica coppia venditori – compratore anzichè cinque coppie venditore – compratore.

Osserva la Corte che la CTR, nel momento in cui, con discorso apparentemente semplicistico, distingue tra posizioni dei venditori, che hanno interesse a non essere chiamati in proprio per debito altrui (così interpreta la CTR il significato dell’accertamento cumulativo e sul punto non si può più disquisire per il giudicato) spiegando che tale ratio non soccorre per il venditore, fa, anzitutto, un corretto richiamo al principio dell’interesse, essendo ovvio che per il compratore rispondere di 100 o di 5 volte 20 è, in linea di principio, la medesima cosa. Di poi, con tale pronuncia, non è violato il principio di necessaria parità del valore accertato per il compratore(secondo la giurisprudenza sopra citata) e per il venditore, in ordine ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto nel caso in esame non v’e una diversa valutazione del quantum per le parti, bensì l’esclusione della debenza per una parte per motivi personali (si ripete perchè la CTR ha ritenuto che non potesse crearsi condebitorietà solidale tra i venditori per il tutto).

Sul quantum non v’è stata pronuncia perchè evidentemente – ritenuto assorbito nella superiore pronunzia. Sono pertanto non pertinenti i profili di dedotta illegittimità costituzionale ove si ritenesse possibile un diverso accertamento del valore per le parti solidalmente tenute (circostanza che non ricorre nel caso in esame) e, analogamente, i profili posti al punto tre del ricorso. La questione che potrebbe residuare è quella del pregiudizio, alla possibilità di difesa al compratore, dall’accertamento unitario nei confronti dei compratori, ove l’Ufficio avesse "omogeneizzato" differenze invece rilevanti.

Una tale doglianza, sostanziale, e per altri versi sottesa al ricorso, non è però in alcun modo esplicitata. Anzi appare smentita dallo stesso contenuto del ricorso dal momento che risulta dallo steso atto di vendita (quale descritto in ricorso) che sono le parti stesse ad escludere differenze di valore tra i diversi lotti(basta un semplice calcolo aritmetico per rilevare che in ciascuna vendita il prezzo a mq. è L. 31.000) e che pur nella incontestabilità di cinque vendite autonome (v’erano cinque proprietari diversi) non potrebbe contestarsi che la scelta, nella piena autonomia contrattuale della redazione di un unico rogito notarile, abbia in qualche modo comportato una sostanziale considerazione unitaria della fattispecie, come risulta anche dalla incontroversa funzionalità (e necessarietà) di tutte le vendite alla realizzazione di un centro commerciale, funzionalità tenuta conto,da quanto risulta dalle deduzioni del medesimo ricorrente, dall’Ufficio nella determinazione de valore a mq. Per quanto concerne i motivi sub 4 e 5 del ricorso, sono palesemente infondati quelli relativi alla mancata esposizione dei fatti ed estrema concisione della motivazione, in quanto, al contrario, è perfettamente identificabile, dai dati esposti, la ratio decidendi (analoghe osservazioni vanno effettuate in ordine alla dedotta motivazione per relationem) e, per quanto concerne il vizio motivazionale, sono inammissibili le censure riguardanti i punti di diritto (e cioè le questioni sulla validità dell’accertamento cumulativo), laddove, per le questioni in fatto (erroneità e congruità dell’accertamento) e per cui non vi è certo omessa pronunzia, la ricorrente omette di indicare le diverse circostanze che avrebbero imposto, in relazione ai principi della logica processuale, una diversa soluzione.

Questa Corte (Cass. n. 1147/2010) ha, invero, ritenuto che il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione ( art. 366 c.p.c.), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (così anche Cass. n. 3004/2004).

La contribuente, pur indicando gli elementi addotti dall’Ufficio, e fatti propri dalla CTR, per addivenire alla valutazione operata, non ha dedotto, invero, alcun elemento idoneo a giustificare una diversa valutazione e pertanto a evidenziare i vizi motivazionali dedotti.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non si provvede sulle spese non avendo l’Agenzia svolto rilevante attività difensiva.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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