Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-11-2010) 09-02-2011, n. 4634 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello dell’Aquila con sentenza del 7.10.2004, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Vasto in data 28.2.2001, dichiarava non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati per essere il reato loro ascritto estinto per prescrizione e confermava le statuizioni civili.

In primo grado M.G., P.M. e Z.A. venivano condannati il P. alla pena di anni due di reclusione e L. 1.500,00 di multa, M.D. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione e L. 1.400.000 di multa e lo Z. alla pena di un anno di reclusione e L. 1.000.000 di multa, nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile per truffa ai danni di B.R. che veniva indotto a consegnare 150.000.000 in contanti per finanziare un affare immobiliare con la promessa che gli sarebbero stati restituiti a breve L. 300.000.000; in garanzia venivano consegnati tre assegni non solvibili e alla parte offesa veniva dichiarato che la somma non era più restituibile in quanto vi era stata una rapina della somma consegnata. Il L.A., procuratore della parte offesa, veniva in primo grado assolto perchè il fatto non costituisce reato, ma in appello, come detto, la Corte dichiarava la prescrizione del reato in accoglimento dell’appello della parte offesa e del PG. La Corte territoriale rilevava che i 4 imputati avevano concorso nel reato, essendo del tutto evidente il carattere fittizio dell’operazione anche per le modalità della sua conclusione, finalizzata solo carpire la somma ottenuta alla parte offesa. Anche il L., legale della parte offesa, aveva partecipato non avendo avvisato il suo cliente degli altissimi rischi della contrattazione.

Ricorre il M. che con il primo motivo rileva l’inosservanza della legge penale e la carenza e manifesta illogicità della sentenza impugnata.

Non si era verificato alcun raggiro o artificio non emergendo che gli imputati avessero abbellito le notizie fornite alla parte lesa, che al più rappresentavano un mero mendacio. Anche la consegna di assegni alla parte offesa non poteva rappresentare un raggiro perchè i titoli furono consegnati dopo che si era verificato il passaggio del denaro e quindi non per indurre in errore il B..

Anche la notizia sulla falsa rapina che aveva impedito la restituzione della somma era un evento che era intercorso dopo la consumazione della pretesa truffa.

Inoltre (secondo motivo) mancava la prova dell’elemento psicologico del reato. Il M. non aveva avuto alcuna incidenza causale perchè l’intera vicenda era stata voluta ed orchestrata dal D.. Se il M. fosse stato partecipe non avrebbe rilasciato un assegno che avrebbe precostituito una prova ai suoi danni. Il ricorrente aveva restituito l’importo al L. che lo aveva poi ceduto al B. ed aveva già avuto nella sua disponibilità la somma precedentemente.

Nel ricorso del L. il primo motivo di ricorso è identico a quello del coimputato. Si aggiunge che il L. non aveva avuto alcun ruolo nella vicenda avendo solo informato il suo cliente che vi era un affare da fare possibile con pieno disinteresse. Il L., sfumato l’affare una prima volta, aveva riconsegnato la somma che gli era già stata consegnata.

Con il secondo motivo si allega la carenza o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato: la sentenza di prime cure aveva assolto l’imputato, ma al tema della sua responsabilità la sentenza di appello aveva dedicato solo pochissime righe.

Era palesemente non credibile che il ricorrente si fosse prestato ad un evento simile rischiando una denuncia penale e di perdere un importante cliente solo per partecipare ad un affare illecito che gli avrebbe fruttato un guadagno ridottissimo.
Motivi della decisione

Appare fondato il secondo motivo del ricorso del L.; la motivazione offerta dalla Corte di appello dell’Aquila per affermare la responsabilità del L., ribaltando il giudizio di primo grado, è assolutamente carente e si limita a pochissime righe nella quali si imputa al L. una leggerezza nella partecipazione alle trattative con il B., pare lesa, che era suo cliente, non comunicandogli gli estremi rischi dell’affare. Tuttavia la motivazione non prende affatto in considerazione, come era suo onere alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, le ragioni addotte dal giudice di prime cure per arrivare ad una sentenza di proscioglimento, che si fondono sulla tesi della buona fede del L., che avrebbe confidato sull’onestà dei imputati e quindi sulla genuinità dell’affare, sicchè la motivazione della sentenza di primo grado è stata semplicemente ignorata e non, invece, superata attraverso un riesame critico del materiale probatorio. Pertanto si deve annullare la sentenza impugnata nei confronti di L.A. con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio.

Circa il ricorso del M., lo stesso appare manifestamente infondato.

Relativamente al primo motivo i giudici di merito, dovendosi integrare la motivazione della sentenza di appello con quella di primo grado, hanno rilevato il carattere assolutamente inverosimile dell’affare prospettato alla parte offesa da parte del M. e dello Z. (peraltro persone di buona istruzione e cultura che hanno asserito di svolgere attività negoziali), affare di carattere immobiliare che si sarebbe dovuto concludere nella notte con il versamento in contanti di una somma molto ingente e senza la stesura di alcun contratto preliminare e verifica dei titoli di proprietà.

Le circostanze fornite dagli imputati non hanno consentito in alcun modo di accertare la genuinità del prospettato " affare" che quindi appare creato ad arte per carpire la buona fede della parte offesa.

La truffa appare configurata alla luce dei raggiri con cui gli imputati trassero inganno la parte offesa inducendolo a consegnare la somma di cui al capo d’imputazione, indipendentemente dal momento in cui vennero consegnati i titoli poi non onorati in garanzia o dal momento in cui fu inventata la "scusa" della rapina con la sottrazione della somma consegnata dal B..

La motivazione appare sul punto congrua e logicamente coerente, mentre le censure ripropongono questioni già esaminate dai giudici di merito.

Quanto sin qui detto vale anche in relazione al secondo motivo,avendo i giudici di merito già spiegato che il M. agì unitamente ai coimputati nel rappresentare la falsa possibilità dell’"affare" di cui si è detto, inducendo la parte offesa a consegnare l’ingente somma di cui al capo d’imputazione.

Le censure appaiono meramente di fatto e ripropongono questioni fattuali già esaminate dai giudici di primo e secondo grado. Va quindi confermata la sentenza impugnata e con essa i capi civili della sentenza impugnata. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado del giudizio dalla parte civile B.A.R. liquidate in Euro 3.500,00 oltre IVA, CPA e spese generali.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di L.A. con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio.

Dichiara inammissibile il ricorso di M.D. che condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado del giudizio dalla parte civile B.A.R. liquidate in Euro 3.500,00 oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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