Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-11-2010) 09-02-2011, n. 4689

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Avv. DE LONGIS ANDREA, che ha insistito nei ricorsi.
Svolgimento del processo

1. Il 4 febbraio 2010 la Corte d’appello di Napoli, prima sezione penale, ha confermato la sentenza emessa il 26 novembre 2008 dal Tribunale di Benevento, che aveva dichiarato M.M. e I.G. colpevoli, in concorso, del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 1, (come sostituito dall’art. 11, L. 30 luglio 2002, n. 189), e li aveva condannati, ciascuno, alla pena di un anno di reclusione ed Euro seimilacinquecento di multa.

Era in particolare risultato che:

– attraverso la società G2 D’Alessio S.r.l., costituita il 13 dicembre 1999 con sede in (OMISSIS), della quale M.M. era socio totalitario e I.G. amministratore unico, gli imputati avevano favorito l’immigrazione clandestina di tredici extracomunitari provenienti dall'(OMISSIS);

– la condotta delittuosa si era realizzata attraverso l’utilizzazione di una società apparente, che non aveva mai operato, aveva sede in un deposito abbandonato ed era finalizzata alla sottoscrizione di falsi contratti di lavoro e alla prospettazione di possibilità lavorative e luoghi di lavoro inesistenti, per consentire l’apparente regolare ingresso e la permanenza sul territorio italiano degli extracomunitari;

– I. era anche stato indicato nei permessi di soggiorno come referente in Italia dei lavoratori stranieri che, entrati apparentemente in Italia il 6 dicembre 2002 secondo la sentenza d’appello e il 10 giugno 2002 secondo la sentenza di primo grado, avevano sottoscritto contratti di lavoro con M.M. o D. N.A., delegati dell’amministratore unico della G2 D’Alessio S.r.l., I.M., erano stati immediatamente licenziati e avevano conseguito in tempi ravvicinati il permesso di soggiorno.

2. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto separati ricorsi per cassazione M. e I. con il ministero del medesimo difensore, sviluppando gli stessi motivi.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono inosservanza delle norme processuali, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione alla violazione delle disposizioni previste dall’art. 525 c.p.p., comma 2, sul rilievo che la deliberazione e la stesura della motivazione sono state effettuate da un collegio composto diversamente dal collegio che aveva partecipato al giudizio di secondo grado.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del combinato disposto dell’art. 598 c.p.p., art. 420-ter c.p.p., commi 1 e 5, e art. 178 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, sul rilievo che al difensore, assente per legittimo impedimento all’udienza del 3 dicembre 2009, non era stato dato avviso della data di rinvio della trattazione del processo all’udienza del 4 febbraio 2010.

Con il terzo motivo si lamenta l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, sul rilievo che le condotte accertate sono state successive all’ingresso illegale e tese a garantire il buon esito dell’operazione, mentre è rimasto non accertato il favoreggiamento dell’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato.
Motivi della decisione

1. La censura mossa con il primo motivo è infondata.

L’erronea indicazione nell’intestazione della sentenza impugnata di uno dei componenti del collegio giudicante nel cons. S. anzichè nel cons. Sa. è da ritenere frutto di errore materiale, che non ne inficia la validità, risultando dal verbale dell’udienza svoltasi il 4 febbraio 2010, nella quale è stata emessa la sentenza impugnata, che, oltre al Presidente e al consigliere relatore, il terzo componente era il consigliere Sa..

Questa Corte ha, invero, ripetutamente affermato, e il principio è condiviso da questo Collegio, che nel contrasto tra intestazione della sentenza e risultanze del verbale del dibattimento, sono queste ultime a dover prevalere, in considerazione del valore probatorio del verbale, e che, pertanto, qualora la sentenza rechi nell’intestazione il nome di un giudice diverso da quelli documentati nel verbale dell’udienza di discussione, tale diversa indicazione non comporta nullità della sentenza, ma è suscettibile di correzione con la procedura di cui all’art. 130 c.p.p. (Sez. 1, n. 8125 del 13/06/1991, dep. 25/07/1991, Fontecchio ed altri, Rv. 188315; Sez. U, n. 28 del 27/09/1995, dep. 16/10/1995, Ricci, Rv. 202402; Sez. 3, n. 556 del 06/02/1996, dep. 05/03/1996, Fusco, Rv. 204707; Sez. 2, n. 18570 del 23/01/2009, dep. 05/05/2009, Iannuzzi, Rv. 244442).

2. Anche il secondo motivo, con il quale si deduce la nullità della sentenza per l’omesso avviso al difensore, assente per legittimo impedimento all’udienza del 3 dicembre 2009, della data di rinvio dell’udienza, è infondato.

Secondo il condivisibile orientamento espresso da questa Corte, il difensore, che abbia ottenuto il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento a comparire, ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nell’ordinanza che ha disposto il differimento, in quanto, in tale caso, l’avviso è validamente recepito dal difensore designato in sostituzione, a norma dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore sostituito, e nessuna comunicazione è dovuta a quest’ultimo (Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006, dep. 09/03/2006, Grassia, Rv. 232906; Sez. 5, n. 36643 del 04/06/2008, dep. 24/09/2008, Sorrentino, Rv. 241721; Sez. 6, n. 19831 del 20/03/2009, dep. 09/05/2009, Bartoluccio, Rv. 243855; Sez. 5, n. 26168 del 11/05/2010, dep. 08/07/2010, Terlizzi, Rv. 247897).

Nel caso di specie, essendo stato nominato un sostituto del difensore ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, ed essendo stata comunicata in udienza la data del rinvio dell’udienza, il difensore impedito non doveva essere destinatario di alcun avviso.

3. Quanto al terzo motivo, con il quale si censura la sentenza per non essere rimasto accertato il favoreggiamento, da parte dei ricorrenti, dell’ingresso degli stranieri in Italia e per essere le condotte agli stessi ascritte successive all’ingresso illegale e tese a garantire il buon esito dell’operazione, si rileva che la prospettazione delle ragioni della censura non può ritenersi manifestamente infondata.

Le decisioni di questa Corte, richiamate dai giudici di merito, che ritengono che costituiscano condotte punibili, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, "non solo quelle specificatamente finalizzate a permettere l’arrivo in Italia degli stranieri, ma anche quelle tese a garantire il buon esito dell’operazione, la sottrazione ai controlli della Polizia, l’avvio dei clandestini verso la località di destinazione" (tra le altre Sez. 3, n. 42980 del 04/10/2007, dep. 21/11/2007, Di Maio, Rv. 238148), collegano, infatti, l’affermazione di responsabilità comunque alla condotta di agevolazione dell’ingresso illegittimo degli stranieri nel territorio, in violazione delle disposizioni normative in materia, la cui verifica è preliminare rispetto a quella attinente alle attività successive di fiancheggiamento e di cooperazione, collegabili all’ingresso già avvenuto degli stranieri.

Nella specie, mentre si è indicato da parte del Giudice di primo grado il 10 giugno 2002 e da parte del Giudice d’appello il 6 dicembre 2002 come data dell’apparente ingresso in Italia di tutti gli stranieri, in seguito beneficiari a breve distanza temporale l’uno dall’altro del permesso di soggiorno, sono indubbiamente meritevoli di approfondimento le modalità dell’ingresso degli stranieri nel territorio e l’attività di favoreggiamento del detto ingresso posta in essere dagli imputati, senza che risulti evidente, sulla base degli elementi e delle valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dei ricorrenti.

4. Alla stregua di tali rilievi, e avuto riguardo ai riferimenti al tempus commissi delicti contenuti nelle sentenze, comunque antecedenti al mese di maggio 2003, indicato nel capo d’imputazione come data dell’accertamento dei fatti e, quindi, anche delle attività successive all’ingresso illegale degli stranieri, e alla pena edittale prevista per il reato contestato e attribuito, occorre verificare se sia interamente decorso nelle more del giudizio di cassazione il termine massimo di prescrizione (sette anni e mezzo), con riferimento agli artt. 157 e segg. c.p..

La verifica consente di rilevare che tale termine è maturato all’odierna udienza, tenendo anche conto del periodo di sospensione del corso del termine prescrizionale, che si rileva dagli atti del giudizio di appello per il periodo dal 3 dicembre 2009 al 4 febbraio 2010.

Al rilievo dell’intervenuta estinzione del reato, verificatasi dopo l’emissione della sentenza impugnata, non ostano i motivi dedotti dagli imputati, nè il disposto dell’art. 129 c.p.p..

I motivi, già esaminati, non presentano, infatti, profili d’inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basati su censure non deducibili in sede di legittimità, e non hanno, pertanto, precluso la corretta instaurazione dinanzi a questa Corte del rapporto processuale d’impugnazione (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, dep. 22/06/2005, Bracale, Rv. 231164).

Quanto all’art. 129 c.p.p., deve rilevarsi che, secondo l’orientamento costante di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento", e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Non sono, invece, rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, che, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, citata, Rv. 244275).

Nella specie, non ricorrono le condizioni per un proscioglimento nel merito e questa Corte non può compiere un riesame dei fatti finalizzato a un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.

5. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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