Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-03-2011, n. 6303 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sentenza di cui si domanda la cassazione – in via non definitiva e in accoglimento degli appelli del Consiglio Interregionale dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e del Molise nonchè di A. P. – riformando la sentenza del Tribunale di Roma, n. 14253 dell’11 giugno 2002, dichiara il diritto dell’ A. all’applicazione del contratto nazionale collettivo giornalistico, dispone con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio e rinvia al definitivo per le spese.

Secondo la Corte d’appello di Roma non è da condividere l’assunto del primo giudice secondo cui le mansioni svolte dall’ A. non possono considerarsi di tipo giornalistico in quanto sfornite del carattere della "creatività".

Infatti, per quanto attiene l’attività svolta dall’ A. nel settore grafico, sulla base della giurisprudenza, di legittimità, deve qualificarsi come giornalistica l’attività svolta dal grafico mediante l’espletamento di attività inerenti la progettazione e la realizzazione della pagina di giornale, esprimendo, in tal modo, una valutazione sulla portata e la rilevanza della notizia, valutazione rapportata ad un giudizio sulla idoneità del fatto ivi riferito ad incidere sul convincimento del lettore.

Analogamente, anche l’attività svolta dall’ A. nel periodo precedente, come segretario di redazione, non può non essere considerata di natura giornalistica, essendo emerso all’esito dell’espletata istruttoria, che egli si occupava della raccolta delle notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale e della mediazione tra le notizie stesse e la loro diffusione.

Il ricorso della società EAG s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resistono con controricorso A. P. e l’INPS, mentre il Consiglio Interregionale dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e del Molise non si è costituito.

In prossimità dell’udienza la società FINEGIL Editoriale s.p.a., in qualità di incorporante per fusione della EAG s.p.a.. ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. nella quale ha ribadito le argomentazioni esposte nel ricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 cod. civ. nonchè omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Ci si duole del fatto che la Corte d’appello abbia affermato la natura giornalistica delle mansioni svolte dall’ A. limitandosi a considerare l’attività esercitata nel settore grafico e come segretario di redazione, senza esaminare tutti gli altri compiti aventi carattere meramente amministrativo e/o organizzativo – e, come tali, sicuramente estranei all’attività giornalistica – svolti in modo assorbente e non certo marginale dal lavoratore.

In particolare si sostiene che la Corte d’appello, oltre a non aver motivato sul punto, non abbia applicato il c.d. criterio della prevalenza, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 2095 e 2103 cod. civ., in base al quale, in caso di esercizio di mansioni promiscue regolate da disciplina collettive differenti, per stabilire il corretto inquadramento del lavoratore si deve tenere conto di tutte le mansioni svolte e ritenere applicabile il contratto collettivo corrispondente a quelle concretamente prevalenti sia qualitativamente, sia soprattutto quantitativamente, salvo diversa disposizione della stessa contrattazione collettiva.

2.- Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione di norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro (artt. 1 e 5 del c.c.n.l. giornalisti dell’1 gennaio 1985 e art. 2, Allegato N. del c.c.n.l. giornalisti 1 marzo 2001) nonchè insufficiente motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Secondo la ricorrente, la Corte d’appello nell’accertare la natura giornalistica delle mansioni svolte dal lavoratore, come grafico e come segretario di redazione, avrebbe violato l’esatta nozione di attività giornalistica, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 1 e 5 del c.c.n.l. giornalisti dell’1 gennaio 1985 e art. 2.

Allegato N, c.c.n.l. giornalisti 1 marzo 2001 e fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Tale nozione, infatti, presuppone che, qualunque sia il tipo di messaggio informativo utilizzato (scritto, orale, visivo, grafico e così via), in ogni caso il giudice è tenuto a verificare che sussistano sia l’elaborazione sia la compiutezza delle notizie (cioè l’autosufficienza del messaggio stesso). Ciò vale per tutte le figure lavorative che partecipano alla redazione del giornale e/o alla trasmissione delle notizie, inclusi il segretario di redazione e il grafico.

3.- Con il terzo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione di norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro (artt. 1 e 19, livello 8, del c.c.n.l. poligrafici 1 aprile 1991) nonchè insufficiente motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Si rileva, al riguardo, che la Corte d’appello ha dichiarato il diritto dell’ A. all’applicazione del contratto collettivo nazionale dei giornalisti, anzichè di quello dei poligrafici, così violando le suindicate norme di tale ultimo contratto che, a differenza di quelle del c.c.n.l. dei giornalisti, prevedono le figure professionali – di assistente di redazione e di addetto all’ufficio grafico – corrispondenti alle mansioni svolte dal lavoratore (rispettivamente a decorrere da gennaio 1985 e da settembre 1988). I suddetti profili professionali, rappresenterebbero il risultato di un "ampliamento" rispetto alla classificazione contenuta negli accordi collettivi decorrenti dall’1 gennaio 1985 e dall’1 gennaio 1988, il cui ari. 19 faceva esclusivo riferimento alla figura (di 7 livello) del tecnico di redazione. Inoltre anche nei successivi contratti (non applicabili nella specie) si sarebbe manifestata una più accentuata tendenza ad ampliare ulteriormente i suddetti profili professionali, aggiungendosi – come 8 livello – la figura del grafico di redazione (art. 19 c.c.n.l. 1 gennaio 1994 e c.c.n.l. 1 gennaio 1999. nonchè accordo di rinnovo 15 marzo 2001).

4.- Con il quarto motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, derivante dall’omesso esame delle prove documentali e testimoniali acquisite al processo.

Si sostiene che la Corte d’appello, avendo erroneamente ignorato tutti i numerosi compiti svolti dall’ A. aventi carattere amministrativo e/o organizzativo – esecuzione di telefonate, gestione degli accrediti dei giornalisti, organizzazione delle trasferte degli inviati, tenuta del registro delle presenze etc. – come tali, riconducibili al contratto collettivo dei poligrafici anzichè a quello dei giornalisti, ha totalmente omesso di esaminare le relative prove, peraltro ritualmente fornite dalle parti e assunte nel giudizio.

5.- I quattro motivi possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione e non sono fondati.

Si deve osservare, in linea generale, che, secondo consolidati orientamenti di questa Corte, in tema di prova spetta in via esclusiva al giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Nè tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro (vedi per tutte: Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).

In particolare, l’accertamento, sulla base delle risultanze probatorie, delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e la valutazione delle stesse, ai fini dell’inquadramento speltantegli secondo la disciplina collettiva, si risolvono in un giudizio di fatto del giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici (ex plurimis: Cass. 14 febbraio 1983, n. 1127; Cass. 30 ottobre 2008, n. 26233; Casa. 31 dicembre 2009, n. 28284). Ciò vale anche con riguardo all’individuazione dell’inquadramento da attribuire al lavoratore nell’ipotesi di svolgimento di attività promiscue e alla determinazione delle mansioni da considerare prevalenti, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore.

Peraltro, la prevalenza – al suddetto fine – non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purchè non espletata in via sporadica od occasionale (ex plurimis:

Cass. 22 marzo 1999, n. 2744; Cass. 8 marzo 2000, n. 2637; Cass. 22 dicembre 2009, n. 26978).

Comunque, la necessità dell’accertamento dell’attività prevalente, al fine di individuare la categoria d’inquadramento del lavoratore, sussiste solo se le diverse mansioni contemporaneamente svolte siano state esercitate in parte, e cioè in misura quantitativamente ridotta rispetto alle medesime mansioni espletate dagli appartenenti alle categorie cui tali mansioni corrispondono;

pertanto, detta indagine non deve essere compiuta allorchè la mansione, il cui espletamento è attributivo della categoria superiore, è svolta nella sua interezza, sì che il contemporaneo esercizio della mansione inferiore, qualunque ne sia la quantità, è ulteriore rispetto allo svolgimento della prima mansione, la quale da tale esercizio non riceve limitazione alcuna (Cass. 28 maggio 1990, n. 4943).

6.- Nella stessa ottica, è stato affermato che anche alla valutazione del contenuto dell’attività giornalistica va attribuita natura di accertamento di fatto, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimità (vedi, per tutte: Cass. 27 maggio 2008, n. 13814).

Peraltro, con riferimento alle figure professionali di cui si discute nel presente giudizio, da tempo sono consolidati gli indirizzi secondo cui:

a) costituisce attività giornalistica – intesa come prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione – l’attività svolta dal grafico il quale, mediante l’espletamento di attività inerenti la progettazione e la realizzazione della pagina di giornale come la collocazione del singolo pezzo giornalistico e la scelta delle immagini e dei caratteri tipografici con i quali lo stesso viene riportalo sulla pagina, esprime – pur nell’eventuale presenza delle scelte e delle indicazioni degli autori degli articoli e del direttore – un personale contributo di pensiero ed una valutazione sulla rilevanza della notizia, valutazione rapportata ad un giudizio sulla idoneità del fatto ivi riferito ad incidere sul convincimento del lettore, in ciò differenziandosi dall’attività dei poligrafico il cui contributo si esaurisce nella mera trasposizione grafica della notizia da comunicare (Cass. 5 marzo 2008. n. 5926: Cass. 12 marzo 2004, n. 5162: Cass. 1 febbraio 1996, n. 889);

b) la nozione di attività giornalistica, presupposta dalla L. Professionale 3 febbraio 1963, n. 69 e dalla disciplina collettiva, comprende non solo l’attività che si realizza con la stesura di pezzi ed articoli o con la preparazione ed il completamento della notizia (semprechè non si tratti di mera integrazione della stessa) e con la partecipazione al programma di preparazione del giornale, ma anche l’attività di regolazione del flusso di notizie che, afferendo alla elaborazione od al completamento delle stesse anche in ragione del modo e del tempo per fornirle al pubblico, comporta creatività giornalistica, quale quella (nella specie, di un addetto alla segreteria di redazione di un giornale) che consiste nello stabilire la lunghezza degli articoli, nell’organizzare il lavoro fissando l’orario di trasmissione dei pezzi, nel distribuire i servizi dei corrispondenti a ciascun redattore secondo le pagine di pertinenza, nel reperire le foto necessario ad illustrare i pezzi, nell’avere conseguentemente contatto con giornalisti e corrispondenti, in particolare per la trasmissione dei pezzi e l’organizzazione dei servizi (Cass. 22 novembre 1989, n. 5009; Cass. 12 dicembre 1981, n. 6574).

7.- Discende da quanto precede che la sentenza impugnata appare immune dai contestati vizi perchè, muovendo da una corretta interpretazione della normativa codicistica e contrattuale di riferimento, ha dato conto, con motivazione adeguata e priva di contraddizioni o deficienze rilevabili in questa sede, del ragionamento posto alla base della decisione.

In particolare, deve ritenersi corretto il mancato accertamento dell’attività prevalente, al fine di individuare la categoria d’inquadramento del lavoratore, visto che. come si è detto, la suddetta indagine non deve essere compiuta allorchè la mansione, il cui espletamento è attributivo della categoria superiore, è svolta nella sua interezza, sì che il contemporaneo esercizio della mansione inferiore, qualunque ne sia la quantità, è ulteriore rispetto allo svolgimento della prima mansione, la quale da tale esercizio non riceve limitazione alcuna. Ciò risulta essersi verificato nella specie, visto che nella sentenza si riferisce (e ciò è non specificamente e adeguatamente contestato nel ricorso) che sia l’attività di segretario di redazione sia successivamente quella di responsabile dei servizi grafici sono state svolte dall’ A. a tempo pieno, sicchè te eventuali mansioni diverse (e inferiori), qualunque ne sia stata la quantità non risulta abbiano limitato lo svolgimento delle prime.

Lo stesso è da dire con riferimento alla disciplina contrattuale, la cui interpretazione ha portato a risultati, come si è visto, conformi rispetto agli indirizzi della giurisprudenza di legittimità e, d’altra parte, le censure avanzate al riguardo dalla ricorrente si risolvono, in realtà, in una mera e generica contrapposizione di una esegesi diversa da quella criticata, fondata, oltretutto anche su norme collettive non applicabili nella specie e che, comunque, non risulta siano state prodotte nei precedenti gradi di merito.

Va, infatti, ricordato a tale ultimo riguardo, l’orientamento di questa Corte secondo cui la prescrizione dettata dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, che obbliga i ricorrente ad indicare i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, e quella dettata dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, che obbliga il ricorrente a depositare, a pena di improcedibilità, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, si saldano in un unicum e stanno a significare che è onere del ricorrente tracciare il perimetro delle norme contrattuali che egli allega a sostegno del denunciato vizio della sentenza impugnata sia indicandole nel ricorso, sia allegandole documentalmente, peraltro nel rispetto del principio dispositivo che in generale conforma il processo civile ( art. 112 cod. proc. civ.) e che impone che queste norme, che la parte ricorrente deve indicare nel ricorso e documentare con il prescritto deposito, devono già appartenere al processo. In particolare, nel caso di controversie riguardanti il lavoro privato la normativa contrattuale collettiva è espressione di autonomia privata e quindi il giudice non è tenuto a conoscerla, operando in tal caso non già il principio iura novit curia, bensì quello che vuole che il giudice giudica iuxta alligata et probata (Cass. 4 agosto 2008, n. 21080; Cass. 6 marzo 2009, n. 5569).

Quanto, infine, alla – peraltro generica – contestazione della violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, già si è detto che èjus receptum che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (da ultimo: Cass. 21 luglio 2010. n. 17097).

Peraltro, nella specie, la scelta della Corte di appello di Roma di non dare peso alle cosiddette mansioni inferiori è del tutto consequenziale a quella di non aver effettuato alcuna indagine sull’eventuale mansione prevalente, a sua volta giustificata, come si è detto, dall’accertato svolgimento delle due mansioni principali (e superiori) a tempo pieno, nei rispettivi periodi di riferimento.

8.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto e la ricorrente va condannata alle spese del presente giudizio, in favore di A. P., che si liquidano come da dispositivo.

Nulla spese in favore sia del Consiglio Interregionale dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e del Molise – che in questa sede non ha svolto attività difensiva – sia dell’INPS, in quanto la sua posizione, nel presente giudizio, non è quella di parte, dovendo considerarsi la sua chiamata in causa (non seguita dalla proposizione di alcuna domanda contro o dall’Istituto) non come una vocatio in jus, ma come una mera denuntiatio litis, che rende inammissibile il relativo controricorso proposto in questa sede (vedi, per tutte:

Cass. 16 maggio 2007, n. 11274).
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di A.P. che liquida in 24,00 Euro per esborsi, Euro 3000,00 (tremila/00) per onorario, oltre IVA, CPA e spese generali.

Nulla spese per il Consiglio Interregionale dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e del Molise e per l’INPS. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *