T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 04-02-2011, n. 224 Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Espone la società ricorrente di esercitare l’attività di stoccaggio e trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi, finalizzata al recupero di metalli preziosi e pregiati, in forza dell’autorizzazione dirigenziale della Provincia di Arezzo rilasciata l’11 maggio 2004.

Al fine di trasferire ed ampliare la propria attività la ricorrente, in data 15 luglio 2005, acquistava nuovi terreni in località San Zeno aventi, secondo il P.R.G. del Comune di Arezzo, destinazione "agricola speciale, irrigazione, riordino fondiario, parte sedi stradali e spazi accessori, parte aree di rispetto stradale e ferroviario, linee di arretramento", come risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dallo stesso Comune in data 24 dicembre 2004.

Peraltro, le particelle acquistate rientravano in un’area oggetto di variante al Piano regolatore del 1987, adottata con la deliberazione consiliare n. 331 del 28 ottobre 2003 per la trasformazione dei terreni agricoli in zona produttiva e servizi. Tale variante non è stata mai approvata.

Frattanto, il Consiglio comunale di Arezzo, con deliberazione del 19 dicembre 2003, adottava il Piano strutturale comunale con il quale la destinazione dell’area di proprietà S., era prevista come in parte ricadente nel sottosistema P4 "aree specializzate delle attrezzature tecnologiche" e in parte in area strategica 2.3 "nuova zona industriale di San Zeno".

Con istanza del 5 settembre 2005 la società ricorrente presentava un progetto di trasferimento e ampliamento dell’impianto già in esercizio, da collocarsi in strada vicinale dei Mori, località San Zeno, a distanza di qualche centinaio di metri dall’attuale stabilimento.

Tanto confidando nella variante al P.R.G., pur non approvata, e nel Piano strutturale adottato che individuavano la zona come "produttiva industriale" e quindi la più idonea a ricevere un simile impianto. Infatti, l’art. 109 delle NTA del Piano strutturale adottato colloca le aree in questione nel sottosistema P4, qualificandole come "aree assimilabili a quelle produttive per modalità e tipologie insediative, nonostante alcune di queste presentino caratteristiche peculiari, come nel caso dell’inceneritore".

La Provincia di Arezzo, competente all’approvazione del progetto per tale tipo di impianto, nonché al rilascio della valutazione di impatto ambientale, al fine della trattazione della questione in conferenza di servizi, come previsto dall’art. 27 del d.lgs. n. 22/1997 all’epoca vigente (ed oggi dall’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006), nonché dalla l. reg. n. 25/1998, richiedeva alle amministrazioni interessate i pareri di rispettiva competenza.

L’Ufficio regionale di tutela del territorio rendeva il proprio parere in data 9 novembre 2005 richiedendo una integrazione documentale "dato che la procedura costituisce anche variante allo Strumento Urbanistico vigente".

L’Azienda Usl n. 8 di Arezzo, nel parere formulato in data 19 novembre 2005, rilevava alcune lacune istruttorie del progetto ritenendo opportuna l’integrazione della documentazione. Analogamente concludeva il Dipartimento provinciale dell’ARPAT di Arezzo.

Il Comune di Arezzo, con delibera di Giunta n. 1061 del 28 novembre 2005, affermava "la non conformità urbanistica dell’impianto con il sito dove è proposto" ritenendo, comunque, di non poter esprimere un parere in merito alle caratteristiche tecnologiche dell’impianto in relazione all’impatto con l’ambiente circostante".

Con nota del 17 marzo 2006 la Provincia di Arezzo chiedeva nuovamente agli enti interessati alla procedura di valutazione di impatto ambientale di formulare il parere di competenza ex art. 14 legge reg. n. 79/1998.

Con deliberazione del Commissario straordinario n. 90 del 12 aprile 2006 il Comune di Arezzo, facendo proprie le considerazioni del Nucleo di valutazione comunale, riteneva "di non poter procedere oltre all’espressione del parere sulla VIA riguardante il progetto di trasferimento", poiché esso risulta privo "di conformità urbanistica del sito proposto al vigente piano regolatore generale; di uno studio complessivo preliminare sull’area strategica 2.3 in cui è proposto l’intervento, definito dal piano strutturale adottato, ma non ancora approvato; di un piano provinciale dei rifiuti speciali con evidenziate le esigenze del territorio e le ricadute in merito a rifiuti speciali e pericolosi".

La società ricorrente, preso atto del parere negativo espresso dal Comune di Arezzo, in data 30 agosto 2006 presentava un atto di significazione con il quale chiedeva di rivedere la posizione espressa dall’amministrazione, senza peraltro ottenere alcun riscontro.

Esaurita la fase istruttoria, la Provincia di Arezzo assumeva i propri pareri interni. In particolare, il Servizio programmazione territoriale e urbanistica, con nota del 6 novembre 2006, evidenziava una serie di contrasti fra l’intervento proposto, le norme generali di dettaglio del Piano territoriale di coordinamento – PTC – e alcuni articoli del Piano strutturale adottato.

All’esito della procedura istruttoria, con deliberazione di Giunta n. 806 dell’11 dicembre 2006, la Provincia approvava il parere con cui il Nucleo di valutazione interno aveva sintetizzato la propria posizione definitiva.

In particolare, si rilevava l’assenza di conformità urbanistica del sito proposto al vigente PRG comunale; la mancanza di uno studio complessivo preliminare sull’area strategica 2.3; la carenza di un Piano provinciale dei rifiuti speciali, concludendo nel senso di non poter procedere oltre nell’espressione del parere richiesto in merito alla valutazione di impatto ambientale.

Veniva così convocata la conferenza di servizi che, nelle sedute del 12 dicembre 2006 e 9 gennaio 2007 consentiva a ciascuna delle amministrazioni coinvolte di fornire i propri pareri definitivi.

In relazione a tali contributi procedimentali la Provincia di Arezzo si riportava al parere negativo del Nucleo di valutazione sopra rammentato; il Comune di Arezzo confermava il parere negativo espresso con la deliberazione 126 del 4 dicembre 2006; la Regione Toscana, assente in tali riunioni, comunicava che il progetto non rivestiva alcun interesse ai fini del coinvolgimento dell’ente; l’azienda USL n. 8 di Arezzo inviava una nota con la quale comunicava di far riferimento al proprio parere positivo, con prescrizioni, già espresso il 27 aprile 2006; l’ARPAT rendeva, secondo la ricorrente, un parere sostanzialmente positivo.

La conferenza di servizi concludeva, con parere asseritamente unanime, di non poter procedere oltre nella disamina del progetto, rinviando la pratica all’amministrazione procedente.

Sulla scorta di tali premesse la Provincia di Arezzo, con deliberazione di Giunta n. 11 del 18 gennaio 2007, valutata negativamente la compatibilità ambientale del progetto di trasferimento dell’impianto, ne negava l’approvazione.

Contro tale atto ricorre la società in intestazione chiedendone l’annullamento, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Violazione dell’art. 24 (particolarmente punto b), nonché sotto altro profilo, dell’articolo 208 del d.lgs. n. 152/2006; dell’art. 6 del d.p.r. 12 aprile 1996; dell’art. 4 del DPCM 27 dicembre 1988 e norme presupposte. Violazione dell’art.2.2 e degli artt. 14 e segg. della l. reg. n. 79/1998. Eccesso di potere per difetto di istruttorie di motivazione e per difetto di comparazione degli interessi. Eccesso di potere per sviamento e straripamento di potere.

2. Violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, sotto diverso profilo e dell’art. 14 della legge n. 241/1990. Violazione degli artt. 14 e segg. della l. reg. n. 79/1998. Eccesso di potere per sviamento e straripamento di potere, travisamento dei fatti contraddittorietà.

3. Violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, sotto ulteriore profilo. Eccesso di potere per incompetenza, sviamento di potere, difetto di motivazione e perplessità.

4. Violazione degli artt. 178 e 208 del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per sviamento, illogicità manifesta, carenza e contraddittorietà della motivazione.

5. Violazione degli artt. 52 e segg. della legge reg. n. 1/2005. Violazione dell’art. 219 delle NTA del Piano strutturale del Comune di Arezzo. Eccesso di potere per contraddittorietà.

6. Violazione degli artt. 3, n. 22, 16 e 17 del d.lgs. n. 285/1992 e degli artt. 26 e 27 del d.p.r. n. 495/1992. Eccesso di potere per incompetenza assoluta, illogicità manifesta, sviamento di potere e travisamento dei fatti.

7. Eccesso di potere per sviamento, illogicità manifesta (sotto ulteriori profili), disparità di trattamento nonché difetto della motivazione.

8. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per sviamento; contraddittorietà manifesta; difetto di motivazione.

9. Violazione degli artt. 3 e 10 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

10. Violazione degli artt. 1 e 14 della l. n. 241/1990. Violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per travisamento di fatto il difetto di istruttoria.

Si sono costituite in giudizio la Provincia di Arezzo, la Regione Toscana, il Comune di Arezzo e l’Azienda U.S.L. n. 8 di Arezzo opponendosi all’accoglimento del gravame.

In vista dell’udienza pubblica fissata per l’8 gennaio 2009, il Comune di Arezzo depositava alcuni documenti, tra cui, il verbale della seduta n. 14 del 23 novembre 2006 della Commissione assetto del territorio, la deliberazione n. 66 del 24 novembre 2006, del Consiglio di Circoscrizione n. 5 (Rigutino) e il verbale n. 6 del 13 novembre 2006 della Commissione urbanistica del Comune.

Con motivi aggiunti notificati il 7 gennaio 2009 e ritualmente depositati la società ricorrente ha impugnato anche tali atti, deducendo:

1. Violazione degli artt. 178 e 208 del d.lgs. n. 152/2006, sotto diverso profilo. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione; sviamento; contraddittorietà e perplessità.

2. Violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, sotto ulteriore profilo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione sotto il profilo della mancata comparazione fra gli interessi pubblici sottesi.

Alla pubblica udienza del 23 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame vengono impugnati gli atti in epigrafe con cui la Provincia di Arezzo, concludendo il relativo procedimento, ha deliberato "non rilasciare la pronuncia di compatibilità ambientale del progetto di trasferimento dell’impianto di recupero di metalli preziosi e pregiati e di smaltimento rifiuti speciali" e di non approvare il progetto di trasferimento in località San Zeno dell’impianto di cui al progetto presentato dalla Società ricorrente il 5 settembre 2005.

Preliminarmente è necessario esaminare l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione passiva avanzata dalla difesa della Regione Toscana.

L’assunto merita condivisione.

L’art. 7, comma 2, della l. reg. 3 dicembre 1998, n. 79, in materia di valutazione di impatto ambientale (emanata in forza del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che devolve alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative inerenti alla materia dell’inquinamento, ad eccezione di quelle espressamente mantenute allo Stato) stabilisce che "sono di competenza delle Province tutte le procedure di V.I.A. relative: a) ai progetti ricompresi nelle tipologie di cui agli Allegati A2 e B2".

Tra questi sono certamente da ricomprendere gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi e gli impianti destinati a ricavare metalli grezzi non ferrosi da minerali, nonché concentrati o materie prime secondarie attraverso procedimenti metallurgici, chimici o elettrolitici (allegato A2, lett. d bis e j), tra i quali rientra l’impianto proposto dalla S..

Ne consegue che la Regione non riveste, nel procedimento di cui trattasi, alcun ruolo e, quindi, deve essere dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva.

Peraltro, non può accedersi alla richiesta, formulata in memoria dalla stessa Amministrazione regionale, di condanna alle spese della S., ex art. 96 cod. proc. civ., atteso che, diversamente dalla normativa regionale appena menzionata, l’art. 27 del d.lgs. n. 22/1997 (vigente all’epoca dell’avvio del procedimento) e l’art. 196, comma 1 lett. d), del d.lgs. n. 152/2006 conferiscono la competenza in materia alle regioni, di talché l’intento tuzioristicamente perseguito dalla ricorrente di rendere completo ed effettivo il contraddittorio non può essere riguardato come emulatorio o temerario nei riguardi della Regione.

La domanda va, quindi, rigettata.

Analoga eccezione, sotto diverso profilo viene formulata dalla ASL n. 8 di Arezzo secondo cui, poiché nessuna censura viene avanzata nei confronti del parere dalla medesima formulato nel corso del procedimento, la ricorrente non avrebbe alcun interesse ad evocarla in giudizio.

Si osserva, in proposito, che l’art. 8 della l. reg. n. 79 citata stabilisce che sono Amministrazioni interessate alle procedure di v.i.a., oltre quelle nominativamente individuate, "i soggetti pubblici competenti al rilascio di pareri, nullaosta, autorizzazioni e/o altri atti di assenso, comunque denominati, riguardanti il progetto determinato, sottoposto a procedura di V.I.A.".

Va altresì rammentato che, se pure la conferenza di servizi decisoria integra un modulo procedimentale che si conclude con una decisione pluristrutturata la quale assorbe le determinazioni rimesse dalla legge ai singoli soggetti che vi partecipano, questi non perdono la titolarità dei poteri che la legge attribuisce loro e mantengono la funzione di cura degli interessi pubblici di cui sono portatori (cfr. Cons. Stato sez. V, 20 febbraio 2006, n. 695; id., sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5296).

Consegue che, anche se ai fini della completezza del contraddittorio, il ricorso proposto contro le decisioni della conferenza di servizi deve essere notificato alle sole amministrazioni che hanno una competenza esoprocedimentale (T.A.R. Toscana, sez. III, 29 maggio 2007, n. 804), non per questo sussistono impedimenti a che il contraddittorio sia allargato anche alle singole amministrazioni partecipanti.

Nel merito il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.

Con i primi quattro motivi la società ricorrente lamenta che, in violazione dell’art. 208 del codice dell’ambiente e dell’art. artt. 14 e segg. della l. reg. n. 79/1998 la Provincia abbia ritenuto ostativo alla pronuncia di compatibilità ambientale la destinazione urbanistica non conforme alla collocazione dell’impianto, come dettata dal Piano strutturale adottato dal Comune di Arezzo il 19 dicembre 2003.

Dispone la norma in parola, al comma 1, che "I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l’impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini…".

Per quanto di interesse, con riferimento alle censure mosse dalla ricorrente, il comma 6 dello stesso art. 208 stabilisce che "…l’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori".

Come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza, l’effettiva destinazione urbanistica dell’area destinata alla realizzazione di un impianto per la messa in riserva e recupero di rifiuti speciali non pericolosi, rientra tra gli elementi che la conferenza di servizi deve tenere in considerazione nell’assumere il proprio parere, sostituendo l’approvazione del progetto ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, e costituendo, ove occorra, variante allo strumento urbanistico (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 14 luglio 2008, n. 2002)

Nondimeno, ciò non significa, come pretenderebbe la ricorrente, che la destinazione urbanistica vigente dell’area in cui l’impianto dovrà sorgere possa essere stravolta o mutata a piacimento o, comunque, sia un aspetto indifferente o cedevole rispetto all’esigenza prospettata dal soggetto interessato.

In altre parole, la destinazione urbanistica della zona non costituisce una variabile dipendente rispetto alla scelta discrezionale dell’Amministrazione di approvare o meno il progetto presentatole. Invero, così argomentando, si finirebbe paradossalmente col ritenere possibile anche la costruzione di un impianto di tal genere nel bel mezzo di una zona destinata ad uso residenziale o già adibita a tale uso.

In realtà, non pare dubbio al Collegio, che l’effettiva destinazione urbanistica dell’area, destinata alla realizzazione ovvero alla modificazione sostanziale di un impianto, rientri tra gli elementi di cui l’Amministrazione procedente, integrata in conferenza di servizi con la partecipazione degli altri enti interessati, deve tenere in considerazione nell’assumere il proprio parere, senza far discendere dalla stessa una invalicabile preclusione, ma al contempo facendo rientrare tale profilo in una valutazione complessiva di tutti gli aspetti e di tutti gli interessi in gioco, primo fra tutti, quello della tutela dell’ambiente e della salute.

Del resto, come affermato anche dall’art. 4 del DPCM 27 dicembre 1988 (recante norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formazione del giudizio di compatibilità) il quadro di riferimento progettuale deve tenere conto di ogni elemento utile, "fermo restando che il giudizio di compatibilità ambientale non ha ad oggetto la conformità dell’opera agli strumenti di pianificazione".

E ciò pur sempre, come è connaturato ad ogni apprezzamento di merito dell’Amministrazione, contemperando l’interesse privato con quello pubblico, e tenendo presente, tra l’altro, che nel caso di specie l’approvazione del progetto comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, come precisato dall’art. 208, comma 6, del Codice dell’ambiente.

Ne discende, alla luce delle suddette argomentazioni, che vanno disattese le doglianze della ricorrente nella misura in cui con esse si vorrebbe far conseguire dalla mera presentazione del progetto l’automatico mutamento di destinazione dell’area interessata, precludendo all’Amministrazione procedente ogni valutazione sul punto.

Con il quinto motivo la società ricorrente lamenta che l’asserito impedimento alla pronuncia di compatibilità ambientale e all’approvazione del progetto, costituito dalla destinazione urbanistica impressa all’area dall’adottato Piano strutturale del Comune di Arezzo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 52 e segg. della legge reg. n. 1/2005 e con l’art. 219 delle NTA dello stesso Piano strutturale secondo cui le norme di salvaguardia in esso contenute conservano la loro efficacia per una durata non superiore a tre anni.

La tesi merita condivisione.

Lo strumento urbanistico in parola è stato solo adottato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 405 del 19 dicembre 2003 e, al momento dell’emissione dei provvedimenti contestati, non risultava ancora definitivamente approvato.

L’art. 53, comma 2, della l. reg. n. 1/2005 stabilisce tra l’altro che "Il piano strutturale delinea la strategia dello sviluppo territoriale comunale mediante l’indicazione e la definizione:…h) delle misure di salvaguardia, di durata non superiore a tre anni, da rispettare sino all’approvazione o all’adeguamento del regolamento urbanistico".

La prescrizione viene ripresa negli stessi termini dall’art. 219 delle NTA del Piano strutturale adottato.

Come è noto, in materia di pianificazione urbanistica, la normativa relativa alle misure di salvaguardia non determina l’anticipata vigenza degli strumenti urbanistici adottati in sede comunale, ma ha lo scopo di inibire il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il nuovo strumento urbanistico in itinere, al fine di evitare che, nelle more della sua approvazione, possa essere compromesso l’assetto territoriale che si intende realizzare con la conseguenza che, fino a quando esso non viene approvato, l’attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 novembre 2006, n. 9463).

Speculare a tale affermazione è quella secondo cui la normativa relativa alle misure di salvaguardia non prevede l’anticipata vigenza degli strumenti urbanistici solo adottati in sede comunale, nel mentre la sua limitazione temporale a tre anni (generalizzata dall’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001) ha inteso evitare un incontrollato trascinamento in avanti della durata delle suddette misure impeditive, onde scongiurare il rischio che, all’effetto tipico di natura meramente cautelare, si sovrapponga quello improprio di una permanente compressione del diritto di proprietà (Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4660; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 23 marzo 2007, n. 2770).

Nel caso di specie, come si è riferito, è sulla base delle prescrizioni contenute nel Piano strutturale che il Comune di Arezzo, prima, e la Provincia poi, hanno ritenuto di respingere il progetto della ricorrente, ma è indubitabile che la decorrenza del termine triennale di vigenza delle misure di salvaguardia esclude che la destinazione urbanistica prefigurata per l’area di interesse della S. potesse costituire un impedimento alla pronuncia delle Amministrazioni competenti.

Il nono e l’undicesimo motivo pongono all’attenzione del Collegio il difetto di motivazione e di istruttoria da cui sarebbe viziati gli atti avversati.

In particolare, nel parere reso dal Nucleo provinciale di valutazione n. 806/2006 viene affermato che "le condizioni per la realizzazione di interventi nell’Area strategica 2.3. dettate nell’art. 186 e le norme di salvaguardia stabilite dall’art. 114 rappresentano condizioni di compatibilità con i contenuti del Piano territoriale di Coordinamento", senza che, peraltro, siano individuate le norme del PTC che contrasterebbero con il progetto presentato dalla ricorrente.

Inoltre, tale affermazione si pone in contraddizione con quella ulteriore resa dalla Provincia secondo cui "nel caso dell’area in questione il P.S. si è discostato dalle previsioni del PTC attraverso specifiche valutazioni che hanno comportato la individuazione di tale area come zona di potenziale trasformazione ai fini produttivi ma con significato strategico".

La censura è fondata.

Da un lato, infatti, non possono essere invocate, quale impedimento al rilascio dell’autorizzazione, disposizioni amministrative, come le misure di salvaguardia, che hanno perduto la loro efficacia per effetto dello spirare del termine triennale di vigenza stabilito dallo stesso Piano strutturale.

Dall’altro, sarebbe stato necessario precisare in che termini il progetto presentato da S. si ponesse in contrasto con il PTC, tenuto conto che, come rilevato dalla ricorrente, l’art. 109 delle NTA del Piano strutturale adottato colloca le aree in questione nel sottosistema P4, qualificandole come "aree assimilabili a quelle produttive per modalità e tipologie insediative, nonostante alcune di queste presentino caratteristiche peculiari, come nel caso dell’inceneritore".

Altrettanto persuasive si palesano i rilievi concernenti il difetto di motivazione e di istruttoria dei provvedimenti impugnati.

Nel parere del Nucleo di valutazione, approvato con delibera di Giunta provinciale dell’11 dicembre 2006 si afferma che "malgrado l’invio degli elaborati integrativi da parte del soggetto proponente i seguenti aspetti risultino ancora carenti e necessitino di approfondimenti specifici: 1. Aspetti connessi alle correlazioni che potrebbero derivare sulla fauna e sulla flora, comprese le culture agricole, in conseguenza delle ricadenti al suolo delle inquinanti; 2. Aspetti connessi al risparmio idrico".

Dalla lettura di tali affermazioni non appare emergere alcuna apprezzabile valutazione in ordine agli aspetti essenziali che dovrebbero caratterizzare il giudizio in ordine alla compatibilità ambientale dell’impianto in questione i quali, secondo quanto stabilito dall’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, dovrebbero concernere la tutela ambientale, la prevenzione e riduzione dell’inquinamento e quello della salute pubblica.

D’altro canto, è l’art. 177, comma 4, dello stesso decreto (richiamato dall’art. 208) ad affermare che "I rifiuti sono gestiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente".

Nessuno di tali elementi sembra essere stato preso in considerazione dall’Amministrazione, se non superficialmente, non potendo considerarsi come espressione di una adeguata valutazione la formula di stile utilizzata nella circostanza.

Né, tantomeno, può ritenersi ammissibile l’assunto secondo cui "il Nucleo è del parere che tali aspetti non potranno trovare nella Conferenza dei Servizi e nelle prescrizioni realizzative e di esercizio che nella stessa potranno essere disposte una completa e definitiva declinazione".

E’, infatti, indubitabile che tutto l’impianto normativo prefigurato in materia dal Codice dell’ambiente si propone proprio di fare emergere, attraverso lo strumento procedimentale della conferenza di servizi, le condizioni essenziali e le eventuali criticità connesse alla realizzazione dell’impianto progettato dal soggetto proponente affinché, tenendo conto dell’evoluzione delle migliori tecnologie disponibili, tutti i rappresentanti degli enti coinvolti possano eventualmente richiedere e acquisire i documenti, le informazioni e i chiarimenti necessari.

Di talché non appare conforme a tale intendimento una conclusione che si traduce in una sorta di "non liquet" dell’Amministrazione sulla proposta della ricorrente.

D’altra parte, una indiretta conferma dell’insufficienza dell’istruttoria e conseguentemente dell’inadeguatezza della motivazione dei provvedimenti contestati si ritrova negli scritti difensivi delle stesse Amministrazioni.

La difesa della ASL, che pure dovrebbe istituzionalmente occuparsi unicamente dei profili attinenti alla tutela ambientale e alla pubblica incolumità, è tutta incentrata, invece, sull’asserita incompatibilità urbanistica dell’opera.

Analogamente la Provincia di Arezzo, nella memoria depositata il 22 ottobre 2010, insiste nell’affermazione della dirimente necessità che l’intervento proposto si ponga in coerenza con le condizioni di trasformabilità dell’area elencate nell’art. 186 delle NTA del Piano strutturale adottato, anzi è subordinato a tale condizione.

Ora, si è già visto che, al momento dell’adozione dei provvedimenti impugnati, lo strumento urbanistico non era stato ancora definitivamente approvato e che le misure di salvaguardia in esso previste avevano cessato di avere efficacia con la conseguenza che subordinare l’ulteriore azione amministrativa ad un atto non ancora vigente non appare conforme al principio di legalità, ponendosi in contrasto con la gerarchia delle fonti dell’ordinamento.

In ogni caso che l’asserita incompatibilità urbanistica del progetto è solo uno degli aspetti che cadono nella complessiva valutazione che deve essere compiuta nella circostanza dalle Amministrazioni interessate.

Altrettanto significativo è l’assunto secondo cui la valutazione negativa espressa dal Nucleo di valutazione e fatta propria dall’Amministrazione provinciale sarebbe stata sufficientemente chiarita attraverso il rilievo che il progetto de quo rivelerebbe "carenze in ordine all’analisi degli aspetti connessi "alle correlazioni che potrebbero derivare sulla fauna e sulla flora"". E’ del tutto evidente, infatti, è già lo si è rilevato, che tale affermazione è del tutto inidonea ad esprimere una ponderata valutazione di tutti i numerosi e complessi profili connessi al rilascio dell’autorizzazione per cui è causa, né consente di intravedere l’iter logico e motivazionale attraverso il quale si è pervenuti a tale conclusione.

In definitiva, i provvedimenti impugnati si palesano viziati per difetto di istruttoria e di motivazione.

Per le considerazioni che precedono, assorbite le altre censure, il ricorso deve essere accolto conseguendone l’annullamento dei provvedimenti provinciali con i quali è stato fornito parere negativo della procedura di valutazione di impatto ambientale e rigettata l’istanza di approvazione del progetto presentato dal ricorrente.

Sono stati proposti motivi aggiunti di ricorso per contestare la legittimità del verbale della seduta n. 14 del 23 novembre 2006 della Commissione assetto del territorio, della deliberazione n. 66 del 24 novembre 2006, del Consiglio di Circoscrizione n. 5 (Rigutino) e del verbale n. 6 del 13 novembre 2006 della Commissione urbanistica del Comune.

Trattandosi di meri pareri, ossia di atti endoprocedimentali privi di carattere provvedimentale, ne è evidente l’assenza di lesività diretta nei confronti della posizione soggettiva dedotta dalla ricorrente.

Ne consegue che tale ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

La S. ha avanzato, nelle sue conclusioni, anche una domanda di risarcimento del danno con riferimento al lucro cessante, valutato in proporzione alla differenza tra la produzione dell’impianto attuale e la capacità produttiva stimata del nuovo impianto, nonché alla mancata vendita di energia elettrica, e il danno emergente relativo ai costi sostenuti per la presentazione della pratica, riservandosi di provarne l’entità del corso del giudizio ovvero di rimettersi alla valutazione equitativa del Tribunale.

La domanda non può essere accolta.

A prescindere dai profili soggettivi della responsabilità della pubblica Amministrazione che, come è noto, non discendono in via automatica dalla pronuncia giudiziale di annullamento, non può non rilevarsi, per ciò che concerne il danno lamentato, che secondo i principi ormai consolidatisi in giurisprudenza, è necessario che l’attore comprovi in modo rigoroso l’esistenza del danno che assume aver subito, non potendo invocare il c.d. principio acquisitivo, in quanto attinente allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti dell’onere della prova,, atteso che il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall’obbligo di offrire al giudice gli elementi probatori circa la sussistenza del danno, esaurendosi il suo apprezzamento equitativo nella necessità di colmare lacune inevitabili nella determinazione del preciso ammontare del danno (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2009, n. 842; T.A.R. Liguria, sez. II, 21 ottobre 2009, n. 2914).

Inoltre, anche a prescindere dai profili attinenti alla prova del danno subito, costituisce dirimente impedimento alla favorevole deliberazione della domanda proposta la circostanza che l’accoglimento del gravame e la conseguente pronuncia di annullamento dell’atto impugnato, nei sensi sopra precisati, non comportano, di per sé, l’attribuzione all’interessata del bene della vita per il quale essa sostanzialmente agisce.

Infatti, la giurisprudenza è fermamente orientata nel senso di ritenere che, in ipotesi di annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi di ordine formale o comunque per vizi di difetto di istruttoria e motivazione che non escludono e anzi impongono il riesercizio del potere, la domanda risarcitoria del danno non può essere valutata se non all’esito del nuovo esercizio del potere in funzione della spettanza sostanziale del bene della vita oggetto del procedimento amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 467).

Invero, se l’atto negativo dovesse venire reiterato, il nuovo sopravvenuto negativo escluderebbe allo stato la sussistenza del danno risarcibile, derivante dal primo provvedimento, se non eventualmente, ove ritenuto ammissibile, come danno da ritardo, di provvedimento comunque negativo (Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4435).

La domanda di risarcimento va, dunque, rigettata.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati, nei sensi in motivazione precisati.

Dichiara inammissibili i motivi aggiunti di ricorso.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Dichiara il difetto di legittimazione passiva della Regione Toscana.

Liquida forfettariamente in Euro 2.000,00, oltre IVA e CPA, in danno della Provincia e del Comune di Arezzo le spese di giudizio, compensandole per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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