Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 10-02-2011, n. 5086 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.A. ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe, con la quale il Tribunale di Roma – Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, giudicando in sede di rinvio, dopo l’annullamento di questa Corte (sentenza 25 giugno 2010-16 luglio 2010 n. 27723), ha riformato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere adottata nei suoi confronti dal Gip presso il Tribunale di Roma in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p., così sostituendo la misura con quella gradata degli arresti domiciliari (peraltro, nelle more, già concessa al prevenuto dal Gip).

Le ragioni dell’annullamento della S.C. riguardavano le esigenze cautelari e la scelta della misura più congrua. Evidenziava la Corte di legittimità, quanto all’esigenza cautelare del rischio di recidiva, la necessità di meglio esaminare la questione della permanenza di tale rischio pur in presenza di una evidente cesura determinata dall’applicazione della misura carceraria, sotto lo specifico profilo del permanere di "relazioni attuali" significative della reiterazione delle condotte di riciclaggio e di gestione delle somme di denaro da parte dell’indagato. Evidenziava, ancora, la S.C., quanto all’esigenza di tutela della genuina acquisizione della prova, la necessità di una migliore verifica sulla possibilità di soddisfarle anche con misure meno afflittive, anche in ragione della non particolarmente significativa posizione del C. all’interno della compagine societaria coinvolta nelle attività incriminate.

Il Tribunale ha ritenuto di dover applicare la misura degli arresti domiciliari, ritenendo ancora esistenti, sia pure in misura attenuata, le dette esigenze di cautela.

Quanto al rischio di recidiva, ha ritenuto che, "nonostante l’avvenuto licenziamento", il C. poteva sfruttare la propria esperienza per la "realizzazione di altri scopi illeciti". A supporto di tale convincimento, il Tribunale ha riportato lo stralcio di argomenti sviluppati in altra ordinanza dello stesso Tribunale adottata nel procedimento cautelare relativo ad alcuni correi.

Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, lo si è ravvisato ancora sussistente pur essendo stato già emesso il decreto di giudizio immediato, in ragione della "eccezionale dimensione del procedimento", "della natura dei fatti da verificare a dibattimento", "del numero dei testimoni da escutere": un contesto ritenuto idoneo a prestarsi a "possibili iniziative volte a contrastare la verità dei fatti".

Di qui la necessità dell’imposta pur gradata misura degli arresti domiciliari.

Con un unico motivo, la difesa censura la decisione ritenendola carente di motivazione e manifestamente illogica.

Sul rischio di recidiva sostiene che il Tribunale, sviluppando i propri argomenti con riferimento alle posizioni di altri correi, non aveva considerato il differente e più modesto ruolo aziendale del C.; nè aveva comunque considerato l’ulteriore decorso del tempo.

Analogamente insufficiente era la motivazione sul rischio di reiterazione siccome basata su considerazioni generiche.

Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, in sintesi si sostiene che all’epoca della decisione dalla Procura non era stata ancora presentata la lista dei testimoni, onde non poteva sostenersi la particolare dimensione quantitativa del dibattimento. In ogni caso, ragionevolmente, i testimoni da sentire sarebbero stati gli stessi già sentiti a sit e quindi tali soggetti non avrebbero potuto fornire dichiarazioni diverse se non a rischio di responsabilità penale. Infine, proprio l’indeterminatezza dei testimoni rendeva generico il rischio di condizionamento addebitato al C..

Il ricorso è fondato, anche se per ragioni parzialmente diverse da quelle prospettate in ricorso.

Va in effetti rilevato che la motivazione appare generica e affatto satisfattiva per spiegare la ritenuta esistenza delle esigenze di cautelari (rischio di recidiva e pericolo di inquinamento probatorio) ai fini dell’applicazione della pur gradata misura degli arresti domiciliari.

Quanto alla prima delle anzidette esigenze cautelari, poste a base della misura, va ricordato che, ai fini dell’apprezzamento del pericolo di recidiva ex art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), la norma richiede che tale pericolo abbia i caratteri della "concretezza" e su tale concretezza è necessario che il giudice di soffermi.

E’ pur vero che il parametro della "concretezza", cui si richiama la norma, non si identifica con quello di "attualità" del pericolo, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati.

Infatti, il predetto requisito deve essere riconosciuto alla (sola) condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi "concreti" sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati rientranti fra quelli contemplati dalla suddetta norma processuale.

Ma gli elementi per poter essere "concreti" non possono essere meramente "congetturali", come nella rappresentazione fatta nell’ordinanza gravata laddove si è fatto essenziale richiamo solo alla (comunque diversa) posizione di altri correi, senza alcun approfondimento rispetto alla personalità del C. ed al ruolo da questi assunto nella società investigata e nell’attività criminosa sub indice.

Allora, l’assunto secondo cui nonostante il licenziamento il C. potrebbe sfruttare la propria esperienza (su cui non ci è specificamente soffermati) per la realizzazione di altri (non determinati) scopi illeciti è frutto di un’asserzione apodittica e indimostrata.

Analogo vizio di genericità ha la motivazione sulla residua esigenza probatoria.

In disparte il rilievo della difesa sulla già avvenuta presentazione della lista dei testimoni (circostanza che qui non è dato apprezzare direttamente), nulla di concreto è sviluppato in parte motiva a conforto e dimostrazione del "concreto ed attuale " pericolo di inquinamento (come preteso dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a)).

E’ pur vero che, ai fini dell’applicazione o del mantenimento di una misura cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio va valutato con riferimento sia alle prove da acquisire sia alle fonti di prova già individuate; e ciò in considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle indagini preliminari ed alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento. Pertanto, al fine di prevenire il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero siano già concluse.

Ma ciò non toglie che, quando le indagini sono finite e ci si avvia alla fase del dibattimento, un rischio probatorio che si fondi su iniziative volte a contrastare la verità dei fatti" merita di essere rivestito di contenuto concreto, vuoi con riferimento alle situazioni di rischio, vuoi con riferimento alle iniziative assunte o che possono "in concreto" essere assunte dall’interessato.

A ben vedere, la decisione non ha corrisposto neppure compiutamente al dictum del precedente annullamento.
P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale del riesame di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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