Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-03-2011, n. 6407 Confini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 30/9/1988 F.A. e F.R. convenivano in giudizio P.F. e P.G. chiedendo l’accertamento della linea di confine tra i mappali 399 e 402 dei convenuti e i mappali 397, 398 e 401 di essi attori; chiedevano inoltre l’accertamento di proprietà sui citati mappali con esclusione di ogni diritto di passaggio a favore dei convenuti e la condanna di questi ultimi al pagamento del 50%, delle spese necessarie per la costruzione della recinzione, come previsto dall’atto di divisione del 24/10/1950. I convenuti si costituivano e, richiamando il rogito di divisione del 24/10/1954, chiedevano il rigetto delle domande attrici, l’accertamento del confine nella linea intersecante la corte con il prolungamento in linea retta della mezzeria del muro a levante dell’edificio del fondo degli attori e a ponente di quello dei convenuti; in via riconvenzionale chiedevano la condanna, degli attori all’eliminazione della veduta diretta e laterale dal terrazzo dell’edificio di loro proprietà sito nell’androne carraio e alla rimozione di tutti i manufatti a distanza inferiore a quella legale dal fondo dei convenuti e, in parte, nel fondo stesso.

Il Tribunale di Novara, espletata CTU, acquisita documentazione, determinava la linea di confine nel prolungamento ideale verso nord del confine dei mappali 401 e 402 intersecante, a nord, il vano dell’androne di accesso, condannando quindi i convenuti, dei quali respingeva le domande riconvenzionali, ad astenersi dal transito sui mappali di proprietà degli attori. I due convenuti soccombenti proponevano appello al quale resistevano gli attori appellati.

La Corte di Appello di Torino con sentenza del 21/2/2005 determinava la linea di confine lungo il tratto dividente il sedime cortilizio contrassegnato, da un lato dai mappali 397 e 398 e, dall’altro, dal mappale 399, sulla linea intersecante la corte con il prolungamento in linea retta della mezzeria del muro sito a levante dell’edificio del fondo degli attori e a ponente di quello dei convenuti, secondo l’andamento rettilineo del tracciato 0 – P – V della planimetria della relazione del CTU allegata sub C. In accoglimento della domanda riconvenzionale, ordinava agli attori l’eliminazione delle opere (specificate nel dispositivo della sentenza) a distanza inferiore a quella legale rispetto alla proprietà dei convenuti o addirittura su di essa insistenti;

condannava gli attori alle spese dei due gradi di giudizio. La Corte territoriale fondava la propria decisione sull’interpretazione dell’atto notarile di divisione del 24/10/1954 nella parte concernente la individuazione della linea di confine tra il lotto C assegnato a P.A., dante causa degli attori e il lotto D assegnato a P.G., dante causa dei convenuti; la decisione era fondata sui seguenti motivi:

l’interpretazione letterale della clausola che individuava il confine con particolare riferimento alla locuzione "indi" alla quale attribuiva il significato di individuare una linea di confine rettilinea e non spezzata, diversamente da quanto previsto con riferimento ad altra linea di confine dello stesso lotto C laddove i condividenti (secondo il Giudice di appello; quando avevano voluto indicare una linea spezzata, avevano aggiunto alla parola indi le parole "per salto rientrante di ml 3,00 a linea di termini con…";

la coerenza di siffatta individuazione del confine con la previsione di una servitù di passaggio in favore del lotto C che, con diversa determinazione del confine, avrebbe comportato la creazione di una servitù di passaggio a favore del fondo C su porzione già in parte propria;

– l’irrilevanza delle diverse indicazioni di cui al compromesso di divisione siccome atto anteriore e con efficacia meramente obbligatoria e l’irrilevanza del frazionamento del 4/6/1954 in quanto non allegato all’atto di divisione e avente mero valore di mappa catastale di valore probatorio sussidiario a norma dell’art. 950 c.c. Le domande riconvenzionali relative alla eliminazione della veduta e delle opere realizzate in violazione delle distanze legali, erano accolte sulla base degli accertamenti peritali mai contestati; la Corte di appello osservava, inoltre, che non erano state formulate domande o eccezioni di usucapione (mai, in fatto, dimostrata).

Gli attori soccombenti propongono ricorso fondato su quattro motivi.

Resistono con controricorso P.G. e P.F. che hanno, inoltre, depositato memoria.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano il vizio motivazionale relativamente all’interpretazione del titolo ai acquisto delle rispettive proprietà e alla inadeguatezza della motivazione della Corte (in quanto fondata esclusivamente sull’interpretazione dell’atto di divisione) a determinare il confine tra i due fondi. Una prima contestazione riguarda la pretesa diversa individuazione della linea di confine da parte del CTU e il fatto che, secondo il consulente, le superfici dei due lotti confinanti corrisponderebbero a quanto indicato nel rogito solo con la linea di confine individuata in conformità alle tesi dei ricorrenti ma senza riportare il contenuto della relazione peritale negli specifici punti di pretesa rilevanza così non consentendo a questa Corte di valutare il contenuto della relazione e la rilevanza della censura e non soddisfacendo il requisito della autosufficienza del ricorso e dei motivo.

Gli ulteriori elementi addotti a sostegno della censura di vizio motivazionale sono costituiti dalla mancata considerazione di due termini lapidei ai punti Y ed X, da un preteso fraintendimento delle risultanze della CTU circa il significato della costituzione della servitù di passaggio a favore degli attori e dalla mancata considerazione che la volontà delle parti era evincibile da altre manifestazioni esterne rispetto al rogito.

Si tratta di censure generiche e che fanno riferimento ad accertamenti peritali e a differenti manifestazioni della volontà dei condividenti non specificamente riportati e dei quali, quindi, non è possibile apprezzare la rilevanza.

Il motivo è, complessivamente, inammissibile sia per mancanza di autosufficienza, sia perchè non contiene clementi idonei a dimostrare il vizio di motivazione, ma adduce argomenti che tendono a valorizzare alcuni presunti elementi probatori rispetto a quelli valorizzati del giudice del merito (in primis, l’interpretazione letterale del titolo) nell’ambito della sua legittima valutazione discrezionale degli elementi di prova.

2. Con il secondo motivo 1 ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1362 e 950 c.c.; si sostiene che non sarebbero state correttamente applicate le norme di ermeneutica contrattuale e che non sarebbe stato applicato l’art. 950 c.c. per il quale quando il confine è incerto ogni mezzo di prova è ammesso e in mancanza di altri elementi il giudice si deve attenere al confine delineato dalle mappe catastali.

La censura di mancata considerazione degli altri criteri di interpretazione oltre a quello letterale è in parte inammissibile perchè non è indicato con specificità il criterio ermeneutico che sarebbe stato trascurato dal giudice e in parte è infondata perchè il giudice del merito nell’ambito del suo potere discrezionale di valutazione delle prove, ha valorizzato il dato letterale che, nella gerarchia delle regole di ermeneutica contrattuale è il criterio primario e ha altresì posto a confronto le conseguenze della interpretazione letterale e le conseguenze dell’individuazione della linea di confine secondo ‘interpretazione sostenuta dagli attori, rilevando l’irrazionalità di quest’ultima interpretazione che avrebbe comportato una servitù di passaggio a favore del fondo C su una porzione di area cortilizia già in parte propria.

In ordine al mancato ricorso al criterio sussidiario delle mappe catastali in pretesa violazione dell’art. 950 c.c. basti osservare che tale criterio è solo sussidiario e per ricorrere a tale criterio è – necessario l’assenza di elementi di prova che consentano di stabilire con certezza la linea di confine; tale presupposto per le ragioni sopra esposte non sussisteva.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano il vizio di motivazione e violazione art. 1165 c.c. e le violazioni delle disposizioni sull’onere della prova relativamente all’accoglimento delle domande riconvenzionali.

Il motivo si incentra sull’affermazione per la quale il diritto reale, che consente il mantenimento delle opere oggetto della domanda riconvenzionale di rimozione, sarebbe stato usucapito e il giudice, che avrebbe dovuto prendere atto del possesso ultraventennale, avrebbe errato anche affermando che l’usucapione non sarebbe stata dimostrata, ponendo inammissibilmente a carico del soggetto che dimostra il possesso ultraventennnale, l’onere di provare anche la continuità nel possesso.

Alcune considerazioni in fatto non sono pertinenti alla ratio decidendi: il giudice ha ritenuto che non fosse formulata nè una domanda nè una eccezione di usucapione.

La Corte di Appello ha, in principalità, escluso che fosse mai stata introdotta una domanda o un’eccezione di usucapione aggiungendo, quale obiter dictum, non rilevante ai fini della decisione, attesa la necessaria pregiudizialità dell’affermazione della mancata proposizione della domanda, che comunque l’usucapione mai era stata dimostrata nel processo.

Il giudice ha, dunque, espressamente ritenuto che non fosse mai stata presentata alcuna eccezione o domanda di usucapione e pertanto non ha espresso alcuna decisione nè sull’ammissibilità dell’eccezione nè sulla sua fondatezza.

I ricorrenti, dunque, ritenendo di avere proposto la relativa eccezione, non decisa dal giudice, avrebbero dovuto, semmai, censurare questa omissione quale error in procedendo e violazione dell’art. 112 e 277 c.p.c. e non quale violazione delle norme in materia di possesso e di onere della prova.

Il motivo in questa parte è inammissibile; con lo stesso terzo motivo i ricorrenti lamentano la sinteticità della motivazione di accoglimento delle domande riconvenzionali, nella quale non si sarebbe tenuto conto "della realtà delle difese poste in essere dalla originaria parte attrice, nè del a documentazione allegata alla CTU e acquisita agli atti".

Il motivo anche sotto questo diverso profilo è inammissibile perchè non si indicano le difese (diverse da quelle relative all’epoca della realizzazione delle opere) che porterebbero ad una reiezione delle domande riconvenzionali.

4. E’ infondato anche il quarto motivo con il quale i ricorrenti lamentano che siano state poste a loro carico anche le spese del primo grado del giudizio che invece il primo giudice aveva compensate malgrado essi fossero vittoriosi: il giudice di appello, riformando la sentenza appellata, aveva l’obbligo di procedere di ufficio al regolamento delle spese processuali il cui onere va posto a carico della parte soccombente, ossia proprio gli odierni ricorrenti.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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