Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4829

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Milano, con sentenza in data 22 marzo 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Milano, in data 22 10.009, appellata da D.A.P., ritenuto colpevole di sequestro di persona, lesioni aggravate in danno di B.M., rapina impropria aggravata del cellulare della stessa e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione e Euro 1000 di multa. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento all’insussistenza, con riferimento al delitto di rapina e all’elemento psicologico del reato, avendo l’imputato sottratto il cellulare, essendo giunto un messaggio sullo stesso e credendo fosse di un amico della B.;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, all’applicazione della recidiva e al trattamento sanzionatorio.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

1) Non è contestato che l’imputato si sia impossessato del cellulare della persona offesa e abbia, successivamente, usato violenza per mantenerne il possesso.

In tema di rapina, sussiste l’ingiustizia del profitto anche quando la condotta d’impossessamento della cosa altrui, sia attivata da un motivo non di lucro, quale la gelosia, non volendo il prevenuto che la B. leggesse il contenuto del messaggio pervenuto sul cellulare; tale motivo non esclude il dolo del reato, sussistendo l’ingiustizia del profitto nell’ipotesi in cui taluno, dopo avere commesso il furto del telefonino, usi violenza sul proprietario dello stesso, al fine di mantenerne il possesso, sia pure al fine di impedire che questi possa prendere visione del contenuto del messaggio pervenuto sul telefono.

In tal caso ricorre il dolo specifico richiesto dall’art. 628 cod. pen. per il delitto di rapina in quanto l’agente, sia pure animato da motivi di gelosia, ha, comunque, procurato un ingiusto profitto a se stesso.

2) Anche il secondo motivo è infondato.

Il Tribunale ha negato la concessione delle attenuanti generiche per i precedenti penali specifici dell’imputato, ritenendo irrilevante la circostanza della avvenuta riconciliazione con la parte offesa. La Corte di merito, con motivazione implicita, ha confermato tale valutazione avendo rilevato che "correttamente il primo giudice ha applicato l’aumento per la recidiva, perchè i reati commessi in precedenza dall’appellante denotano una mancanza di controllo della violenza e, quindi, di sua pericolosità".

Questa suprema Corte ha più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo, individuate, nella fattispecie, nei precedenti reati, nella pericolosità e mancanza di controllo della violenza da parte dell’imputato.

Infine si rileva che le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794);

Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, va dichiarato inammissibile il motivo di ricorso.

2.2) In ordine alla censura relativa al trattamento sanzionatorio per la contestata recidiva va rilevato come, ai sensi dell’art. 99 c.p. nel testo riformulato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, la previsione della "obbligatorietà" dell’aumento di pena per la recidiva deve ritenersi limitata alle ipotesi di cui al comma 5 dello stesso articolo (recidiva concernente i gravi delitti di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), mentre, in tutti gli altri casi (recidiva semplice: comma 1; recidiva aggravata: comma 2; recidiva pluriaggravata: comma 3; recidiva reiterata comma 4) l’applicazione della recidiva rimane una "facoltà" del giudice, limitandosi la formulazione letterale della norma a stabilire l’obbligatorietà non dell’aumento della pena, ma della misura dell’aumento stesso. il giudice, pertanto, in tali ultimi casi, può applicare l’aumento di pena fisso o variabile se reputa che la recidiva sia indice di una maggiore marcata pericolosità del reo, ovvero costituisca indice della sua maggiore colpevolezza.

In tal caso appare irrilevante anche la eventuale concessione delle attenuanti generiche, ove il giudice comunque ritenga di aumentare la pena in forza della contestata recidiva.

Nella fattispecie, con motivazione logica, non censurabile in questa sede la Corte ha ritenuto di confermare l’aumento della recidiva già applicato dal primo giudice per le motivazioni già evidenziate (mancanza di controllo della violenza e pericolosità del prevenuto) Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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