Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4825 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania, con sentenza in data 6.4. 2010, confermava la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Siracusa in data 4 marzo 2009, appellata da R.M. dichiarato colpevole dei delitti, in concorso, di tentata rapina aggravata all’interno della gioielleria di L.F. di (OMISSIS) e porto illegale di una pistola e un fucile e ricettazione delle predette armi e di un’autovettura Fiat uno, utilizzata per la fuga, provento di furto e condannato, con la riduzione per il rito, alla pena di anni quattro di reclusione e Euro 1000 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore di R.M. deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 62 c.p., n. 6 per il mancato riconoscimento della predetta attenuante;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 99 c.p., comma 4, art. 69 c.p. e art. 62 bis c.p., per il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non avendo considerato la Corte che tratta vasi di recidiva per un singolo fatto e per un delitto di non particolare allarme sociale.
Motivi della decisione

il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Con riferimento al primo motivo la Corte non ha concesso la richiesta attenuante "attesa l’esiguità della somma offerta (Euro 1.000,00), che non è stata ritenuta connotata dalle caratteristiche della congruità e quindi della serietà", ritenendo tale importo non esaustivo dell’integrale risarcimento del danno necessario per la concessione della predetta attenuante. (Sez. 1, Sentenza n. 28554 del 09/06/2004 Ud. (dep. 24/06/2004) Rv. 228846). Trattasi di valutazione di merito non suscettibile di censura in sede di legittimità, non apparendo illogica la valutazione della Corte, con riferimento alla gravità della condotta, sia pure configurando tentativo di rapina aggravata.

La "ratio" dell’attenuante è stata introdotta dal legislatore nel preminente interesse della vittima del reato, quale incentivo ad un pronto e totale ristoro del danno risarcibile derivato dal reato; il risarcimento deve essere integrale non è quindi ammessa una riparazione parziale stante il preminente risalto che si intende dare alla figura della persona offesa e all’esigenza che il pregiudizio da questa subito a causa del comportamento criminoso del colpevole sia interamente ristorato.

2) Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Le Sezioni unite, investite della questione relativa alla preclusione al cd. "patteggiamento allargato" per i soggetti gravati da recidiva reiterata a norma dell’art. 99 c.p., comma 4, hanno ritenuto che la recidiva, in quanto operante come circostanza aggravante, va obbligatoriamente contestata dal P.M., ma che il giudice, purchè non si tratti del caso previsto dal comma quinto di detto articolo, può escluderla, ove non la ritenga espressione di maggiore colpevolezza o pericolosità del reo, con la conseguenza che in tal modo vengono non solo sterilizzati i suoi effetti sulla determinazione della pena, ma anche quelli ulteriori costituiti dal divieto di prevalenza delle attenuanti, dal limite minimo di aumento di pena per il cumulo di cui all’art. 81 c.p., comma 4 e dall’inibizione all’accesso al patteggiamento allargato e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444 c.p.p., comma 1-bis (Sentenza n. 35738 del 27 maggio 2010 – depositata il 5 ottobre 2010).

La Corte territoriale, con motivazione logica ed esente da censure, ha ritenuto che la recidiva reiterata, ex art. 99 c.p., comma 4, rappresenti, nella fattispecie concreta, una circostanza rilevante ai fini della commisurazione della pena, confermando il giudizio di equivalenza tra attenuanti e aggravanti, già espresso dal Tribunale e dalla Corte di appello, con conseguente esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti.

Trattasi di una motivazione congrua, logica e non contraddittoria Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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