Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2011, n. 6547 Opposizione al precetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. P.L. propone ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova n. 1035/05, pubbl. il 18.11.05 e notificata il 2.3.06, con la quale è stato rigettato il suo appello avverso l’accoglimento dell’opposizione di C.L. al precetto di pagamento intimatogli dall’odierno ricorrente.

In particolare, la qui gravata sentenza ha statuito:

1.1. che era correttamente stata esclusa dal titolo esecutivo giudiziale la rivalutazione monetaria, stando al suo tenore testuale e del resto riferendosi le applicate tabelle di Milano ai valori dell’attualità;

1.2. che altrettanto correttamente gli interessi andavano applicati sull’importo indicato come sorta, ma dapprima devalutato al momento del fatto illecito e poi via via e periodicamente rivalutato, atteso il richiamo alla sentenza S.U. 1712/95;

1.3. che pertanto la somma pagata nelle more corrispondeva a quella dovuta e null’altro doveva ancora l’intimato;

2. L’intimato resiste con controricorso al ricorso del P., illustrandolo con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; e le parti discutono oralmente la causa all’udienza pubblica del 9.2.11.
Motivi della decisione

3. Il ricorrente sviluppa due motivi e precisamente:

3.1. lamenta un vizio di violazione o di falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., sostenendo che era inammissibile l’opposizione dell’intimato, in quanto riguardante non una mera interpretazione del titolo giudiziale, ma una correzione dell’error in procedendo compiuto dal suo estensore; e propone un’altra ricostruzione del decisum, che fa leva su altri dati testuali o su di una diversa interpretazione di quelli esaminati dalla Corte di Appello; infine, nega rilevanza al richiamo a Cass. S.U. 1712/95;

3.2. lamenta un vizio di motivazione in relazione all’affermazione della ricostruibilita del decisum come comprensivo di rivalutazione alla data della liquidazione, indicata come apodittica e contraria ad ogni principio della logica; sostiene che non è dato sapere se le tabelle applicate siano quelle dell’anno in corso; adduce l’erroneità dell’interpretazione data dai giudici di merito anche alla stregua della comparazione del titolo con altre sentenze dei giudici di pace di La Spezia e dello stesso estensore;

3.3. chiede così la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice e contestualmente invoca dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione ed il rigetto della medesima;

3.4. si vede ribattere dal C. l’inammissibilità del ricorso in quanto vertente su mere questioni di fatto o la sua inammissibilità per la correttezza e l’adeguatezza delle scelte motivazionali della sentenza impugnata.

4. Va preliminarmente ricordato che l’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione si risolve nell’apprezzamento di un "fatto", come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come "giudicato esterno" (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (per tutte, v. Cass. 6 luglio 2010 n. 15852).

5. Ciò posto, il primo motivo è infondato, in quanto:

5.1. il titolo esecutivo è normalmente intangibile in sede esecutiva quanto alla qualità e all’identità del creditore e del debitore, oltre che all’entità, all’oggetto ed alla struttura della prestazione invocata; è impossibile quindi prescinderne, attesa la funzione di accertamento delle relative circostanze; un tale principio si correla all’altro della ed. astrazione del titolo esecutivo, in base al quale il documento rappresentativo del titolo equivale in sè e per sè al diritto alla prestazione, a prescindere dall’esistenza "effettiva" del diritto raffigurato nel titolo;

5.2. esso peraltro può perfino essere integrato, sia pure soltanto mediante gli atti del processo medesimo che siano già disponibili (Cass. 22 febbraio 2008 n. 4651) ed espressamente desumibili dal titolo stesso (Cass. 21 novembre 2006 n. 24649, Cass. 14 marzo 2003 n. 3786); ma una tale integrazione non può spingersi – risultando altrimenti inammissibile – fino ad un’attività di completamento di vere e proprie lacune nel comando contenuto nel titolo, che si volesse operare con l’impiego dell’attività tipica della cognizione (ad es., risoluzione di controversie o individuazione della fattispecie normativa astratta e della norma del caso concreto: Cass. 11 gennaio 2006, n. 234);

5.3. pertanto, la semplice integrazione è sempre consentita al giudice dell’esecuzione, se correttamente e congruamente motivata, ma all’imprescindibile condizione che essa non trasmodi nella risoluzione di profili lasciati controversi nel titolo o che il titolo non abbia in alcun modo considerato o che investano la sussistenza del diritto del creditore; diversamente, neppure la peculiarità della materia potrebbe permettere l’attività che diverrebbe appunto sostitutiva – del giudice dell’esecuzione;

5.4. nel caso in esame, l’intimato si è sempre limitato a contestare che dal tenore del titolo esecutivo giudiziale – sia pure complessivamente inteso – potesse ricavarsi: il riferimento della sorta capitale oggetto della condanna alla data del sinistro; la spettanza della rivalutazione da tale data a quella attuale; la spettanza degli interessi sulla stessa somma, ma dapprima da rapportare all’epoca del sinistro e poi da rivalutare via via;

5.5. è però evidente che, già nella prospettazione operata dall’intimato opponente e poi secondo le modalità decisionali dei giudici di merito, l’attività espletata era perfettamente consentita al giudice dell’opposizione a precetto e non comportava la necessità dell’impugnazione del titolo esecutivo giudiziale: pertanto, è pienamente ammissibile la dispiegata opposizione ex art. 615 c.p.c.;

5.6. nella presente fattispecie, la sentenza che costituisce il titolo esecutivo giudiziale presenta effettivamente spunti testuali tali da riferire l’epoca della valutazione del risarcimento al tempo della sua redazione, come messo adeguatamente in luce dalla Corte territoriale, con motivazione congrua e logica: potendosi leggersi le dizioni "la valuta odierna" e "rivalutata come sopra" nel senso della già applicata rivalutazione al valore al tempo della decisione;

5.7. ancora, risponde ai principi regolatori – ormai del tutto consolidati – della materia che, una volta rapportata la liquidazione del risarcimento al momento in cui essa avviene e quindi in valore ad un tempo successivo – e sovente di molto – a quello del fatto (che costituisce il momento in cui la lesione risarcibile si produce nel patrimonio del danneggiato), siano poi applicati gli interessi al tasso legale via via vigente, ma, per evitare un’ingiusta locupletazione del creditore, alla sorta nel valore rapportato ai periodi – normalmente annuali – intermedi: come sul punto si è ormai affermata da tempo la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla richiamata Cass. S.U. 1712/95;

5.8. è pertanto, dinanzi alla presenza di evidenti spunti testuali, del tutto corretta l’interpretazione data al titolo esecutivo giudiziale dal giudice dell’opposizione a precetto, dapprima in primo grado e poi in grado di appello.

6. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato:

6.1. non è consentito, con il motivo di vizio di motivazione, sostenere l’erroneità delle scelte valutative od interpretative del giudice di merito, se congruamente e logicamente motivate, ma divergenti da quelle auspicate o sostenute dalla parte soccombente;

6.2. per la parte in cui il motivo non si risolve in una censura su queste ultime, può poi rilevarsi che non è affatto apodittica la motivazione della qui impugnata sentenza, la quale anzi si fa carico di porre in adeguato collegamento gli elementi testuali, normativi e giurisprudenziali necessari alla confutazione della tesi dell’appellante (ed odierno ricorrente) e così fornendo una giustificazione logicamente congruente;

6.3. non attiene ad un vizio di motivazione la doglianza della mancata indicazione dell’anno di riferimento delle tabelle di liquidazione (nella specie, quelle applicate nel contesto milanese):

e comunque sarebbe stato necessario dimostrare non tanto che quelle del periodo di liquidazione fossero diverse da quelle applicate (poichè effettivamente dette tabelle non assurgono certo al rango di fonti di diritto, della cui conoscenza le parti siano onerate, ma restano confinate al ruolo di utile parametro fattuale di riferimento), ma soprattutto – visto che esse costituiscono soltanto un parametro della liquidazione equitativa nel caso singolo e debbono in ogni caso essere personalizzate o rapportate alle peculiarità della fattispecie concreta – che la conseguente liquidazione sarebbe stata incongrua ed inadeguata, alla stregua di elementi specifici che sono invece del tutto mancati nelle ammissibili repliche dell’opposto nel giudizio di merito;

6.4. del tutto inammissibile è infine il richiamo a soluzioni interpretative prospettate come differenti, ad opera sia del medesimo giudicante che di altri del medesimo ufficio giudiziario, in ordine alle questioni decise con la sentenza poi posta a base del precetto opposto: con il ricorso per cassazione censurandosi la pronuncia in sè e non la sua conformità ad indirizzi interpretativi veri o presunti di uffici di merito.

7. Il ricorso va quindi rigettato ed il soccombente ricorrente va condannato alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna P.L. al pagamento, in favore di C.L., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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