Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 10-02-2011, n. 4802

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha proposto ricorso per cassazione M.M., avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce del 18.3.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 18.2.2009, per i reati di tentata estorsione (capo A) della rubrica accusatoria), furto aggravato (capo B), tentativo di sequestro di persona, violenza privata e tentativo di estorsione (tutti accorpati nel capo C), lesioni personali aggravate (capo E), con la recidiva e con l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per tutti i reati. La difesa lamenta il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata e il difetto di motivazione in ordine alla valutazione, da parte della Corte territoriale, dell’attendibilità della persona offesa, acriticamente ritenuta nonostante l’evidente attendibilità della versione dei fatti fornita dall’imputato, meritevole complessivamente di credito perchè non intesa a negare radicalmente i fatti.

Le perplessità emerse nel confronto tra le versioni della persona offesa e quella dell’imputato, avrebbero poi dovuto indurre i giudici ad ammettere l’istanza di confronto tra i due proposta dalla difesa.

Le anzidette perplessità si rifletterebbero poi sulla tenuta del costrutto argomentativo della sentenza, priva di ragionevolezza nell’esclusione di rapporti illeciti tra la persona offesa e l’imputato, e carente sul piano dell’approfondimento della personalità della presunta vittima alla stregua delle indicazioni del ricorrente.

Con il secondo motivo, la difesa denuncia analoghi vizi di legittimità in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 nonostante la totale assenza di indicazioni istruttorie circa l’utilizzazione da parte dell’imputato, del metodo mafioso.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Le argomentazioni difensive muovono già da una contraddizione di fondo, nel denunciare l’aprioristico accreditamento dell’attendibilità della persona offesa da parte dei giudici di appello, ricordando al contempo le pur parziali ammissioni rese sui fatti dall’imputato, che non costituiscono, inoltre, come si vedrà, gli unici riscontri della testimonianza principale. Nel ricorso non vi è infatti alcun accenno alla puntuale ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali con il riferimento anche a numerose altre testimonianze, oltre che a quella della vittima, nè alle significative indicazioni di prova ricavabili dalle deposizioni dei vari verbalizzanti sentiti in giudizio, sotto questo profilo le deduzioni difensive difettando della necessaria specificità.

Per il resto, la difesa disegna solo possibili retroscena dei fatti, e punta sul tentativo di denigrare la vittima facendo leva soltanto sulle interessate dichiarazioni rese al riguardo dall’imputato. Del tutto correttamente, poi, in presenza di un quadro probatorio ben più ampio di quello rievocato dalla difesa in questa sede di legittimità, il rigetto della richiesta di confronto proposta dalla difesa nel corso del giudizio di merito, peraltro nemmeno sotto lo specifico profilo di legittimità di cui all’art. 606 c.p.p., lett. d), e dovendosi comunque rilevare che la mancata acquisizione di una prova può essere dedotta come vizio di legittimità, quando si tratta di una "prova decisiva", ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre – confrontati con le altre ragioni poste a sostegno della decisione – solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale (cfr. proprio in fattispecie relativa a richiesta di confronto tra imputato e persona offesa, Corte di Cassazione n. 37173 del 11/06/2008, Ianniello).

Anche in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 la motivazione della sentenza non si presta a censura alcuna sotto il profilo logico giuridico. La Corte non solo sottolinea le indicazioni sull’appartenenza dell’imputato ad un’associazione mafiosa provenienti da numerosi collaboratori di giustizia, e la percezione che della caratura criminale del M. aveva avuto la vittima in occasione dei fatti, e di cui l’imputato potè avvalersi nell’esecuzione dei crimini, ma rileva anche la esplicita rivendicazione da parte dell’imputato, a sostegno delle intimidazioni rivolte alla persona offesa, del proprio potere di "controllo del territorio", tipicamente caratterizzante il rapporto tra le associazioni mafiose e le collettività locali interessate dalle loro attività criminali.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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