Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza del 28-10-2008 il Tribunale di Siracusa condannava C.G. e Ca.Se., rispettivamente alla pena di anni otto di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa ed alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, in quanto ritenuti colpevoli, il primo, del delitto di estorsione pluriaggravata, ai sensi dell’art. 629 c.p., comma 2 e della L. n. 203 del 1991, art. 7, in danno di G.M., ed, il secondo, del delitto di favoreggiamento reale in favore del sodalizio mafioso Bottaro- Attanasio al quale garantiva, unitamente ad altri soggetti giudicati separatamente, di continuare a percepire il pizzo mensile corrisposto dalla famiglia Di Grano, titolare della discoteca "(OMISSIS)", in tal senso riqualificata l’originaria imputazione di concorso in estorsione pluriaggravata ascrittagli.
In riforma della sentenza emessa in data 20.10.2008 dal Tribunale di Siracusa appellata da C.G., Ca.Se. e dal Procuratore della Repubblica di Catania, la Corte di Appello di Catania con sentenza del 26.11.2009 dichiarava Ca.Se. colpevole del reato di estorsione aggravata siccome originariamente contestato e lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Confermava nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione C. G. deducendo violazione dell’art. 606 c.p.p. con riferimento all’art. 192 c.p.p. sotto il profilo della prova della individuazione del C. come soggetto presente nell’autorimessa del D. al momento delle telefonate fatte all’estorto G. M. e sotto il profilo dell’attribuzione del reato fine a chi sia stato condannato per il reato associativo ex art. 416 bis c.p..
Proponeva ricorso per cassazione anche Ca.Se. denunziando violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti contestati dai giudici di appello oltre che mancanza e manifesta illogicità della motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Infatti assolutamente priva di motivazione ed illogica appariva la sentenza con la quale i giudici della Corte di Appello di Catania, ritenuta non corretta la riqualificazione dell’originaria imputazione di estorsione in quella di favoreggiamento reale, operata dai giudici di primo grado, avevano ritenuto Ca.Se. colpevole, a titolo di concorso, del più grave reato di estorsione aggravata.
Denunziava inoltre violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla fattispecie delittuosa del favoreggiamento reale di cui all’art. 379 c.p. e l’erroneo riconoscimento dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ritenuta apoditticamente sussistente dai giudici di secondo grado. Omessa motivazione in ordine e alla richiesta subordinata di riconoscere la sussistenza della violenza privata di cui all’art. 610 c.p. e l’erroneo diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Entrambi i ricorsi sono infondati e meritano il rigetto.
In ordine alla presenza del C. all’interno dell’autosalone di D.G. il giorno 12-12-03, quando il D. aveva contattato l’estorto G.M. per sollecitare il pagamento della somma convenuta, i giudici di merito hanno evidenziato che l’autosalone, oltre ad essere centro di ascolto, era anche sottoposto a controllo visivo.
Sul punto i carabinieri Ma. e Cu., addetti al servizio di osservazione dell’autosalone, hanno confermato di aver visto allontanarsi dall’autosalone il C.G., ben noto agli stessi per motivi di servizio.
Infatti il C. era conosciuto alle forze dell’ordine come componente dell’associazione mafiosa Bottaro-Attanasio, come accertato dalle sentenze irrevocabili della Corte di Assise di Catania del 2000 e 2008, segnalate dai giudici di appello.
Inoltre la presenza del C. era confermata anche dal contenuto delle captazioni e delle intercettazioni telefoniche svoltesi quel giorno all’interno dell’autosalone.
Quindi vi sono una molteplicità di elementi i coordinati fra loro che provano la presenza dell’imputato all’interno dell’autosalone, fra cui il riconoscimento da parte dei carabinieri, che ben lo conoscevano per ragioni di servizio, addetti da tempo al controllo dell’autosalone di D.G. individuato dalle forze dell’ordine come luogo privilegiato dagli affiliati del clan Bottaro- Attanasio per pianificare le loro strategie criminali.
Deve poi osservarsi che i giudici di merito non hanno attribuito la responsabilità del concorso nell’estorsione solo per la circostanza che il C. risultava affiliato al clan Bottaro-Attanasio, come erroneamente deduce il ricorrente, ma la motivazione di conferma della sentenza di primo grado si fonda sul contenuto delle intercettazioni e delle captazioni, ciascuna inserita nella sequenza temporale delle modalità dell’estorsione, modalità che chiariscono il significato delle espressioni usate e la loro valenza probatoria ai fini dell’attribuzione della responsabilità penale in capo all’imputato.
Di conseguenza infondato, oltre che non completamente specifico rispetto alla motivazione della sentenza, è il motivo di ricorso con cui si denunzia che la responsabilità penale del C. si fonderebbe su di una sola espressione da lui pronunziata – l’attribuzione all’estorto G. della qualità di "cornuto", in quanto l’impugnazione tralascia la lettura coordinata che i giudici di merito hanno effettuato di tutte le conversazioni intervenute all’interno dell’autosalone e delle intercettazioni telefoniche intervenute anche fra altri soggetti.
In ordine al ricorso proposto da Ca.Se., la sentenza della Corte di Appello di Catania ha con motivazione logica e non contraddittoria, individuato gli elementi in base ai quali nella condotta posta in essere dall’imputato non poteva essere individuata la fattispecie del reato di favoreggiamento reale, ricorrendo invece la più grave ipotesi del concorso nell’estorsione.
Dato processuale incontestato è che i componenti della famiglia Di Grano erano soggetti ad estorsione per cui versavano mensilmente al clan Bottaro-Attanasio delle somme di denaro in cambio della protezione.
I giudici di appello hanno sottolineato che atti di turbativa allo svolgimento dell’attività del locale potevano quindi determinare incrinatura nei rapporti con il clan, se non addirittura la interruzione degli esborsi di denaro.
Pertanto ogni intervento diretto a far cessare azioni di disturbo era atto idoneo a garantire la regolare percezione delle somme illecitamente pretese a titolo di protezione del locale e quindi la protrazione della consumazione del reato.
La Corte ha sottolineato inoltre che la rateizzazione del pizzo da luogo ad un reato a consumazione prolungata o progressiva in cui la condotta originaria provoca un evento che continua a prodursi nel tempo con la riscossione degli illeciti profitti, man mano maturati, e che si ha concorso di reato ogni qual volta si ponga in essere un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa a livello ideativo o esecutivo che può concretarsi anche in singoli atti.
La decisione adottata dai giudici di appello è pienamente conforme alle previsione normativa in materia di concorso nel reato in quanto non è dubitabile che, in costanza di esecuzione del reato, qualsivoglia aiuto fornito all’autore materiale è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in un sostegno per la protrazione della condotta criminosa (cfr. Cass., Sez. 1A, 27 settembre 1995, Foglia; Cass., Sez. 6A, 22 aprile 1994, Sordini). E’ da ritenersi che l’attività di collaborazione e di appoggio non possa che essere successiva alla consumazione del reato presupposto, di tale che nel caso di reato ancora in atto, come nel caso di specie, l’aiuto prestato determina una responsabilità a titolo di concorso nel reato principale (cfr. Cass., Sez. 1, 7 novembre 2002, Proc. gen. App. Palermo ed altri in proc. Prestifilippo ed altri) e non di favoreggiamento reale.
La motivazione adottata dai giudici di appello per ritenere sussistente la più grave ipotesi di concorso nell’estorsione, rispetto a quella meno grave di favoreggiamento reale riconosciuta dai giudici di primo grado, costituisce anche motivazione del rigetto della richiesta avanzata nell’atto di appello di riconoscere la sussistenza del reato di violenza privata.
La chiara esplicazione del fine di garantire la protrazione della riscossione dei profitti dell’attività illecita del clan Bottaro- Attanasio concreta la fattispecie integrante l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e la presenza di tale aggravante sorregge anche la negazione delle attenuanti generiche.
Lo stato di salute dell’imputato non può incidere sul trattamento sanzionatorio, ma potrà essere oggetto di successivi provvedimenti relativi all’esecuzione della pena.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento ciascuno delle spese processuali.
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