Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-10-2010) 10-02-2011, n. 4945 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 3.6.2010, ex art. 310 c.p.p., il tribunale di Napoli ha respinto l’appello proposto nell’interesse di T.A. avverso il rigetto della richiesta di dissequestro 12.4.10 del Gip dello stesso tribunale.

Il sequestro era stato disposto, a norma dell’art. 321 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, dal Gip con provvedimento 24.12.09, ritenendo sussistente un quadro di gravi indizi a carico di V. C., marito della T., in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p., quale associato al clan Gallo-Vangone e la conseguente probabilità di confisca di tali beni, in caso di condanna. Il giudice ha giustificato il sequestro, in riferimento a beni formalmente intestati alla moglie, ritenendo la loro disponibilità, da parte dell’indagato, per interposta persona, tenuto conto delle scarse capacità reddituali della T. e dello stretto rapporto intercorrente con l’indagato.

Il difensore ha presentato ricorso per vizio di motivazione, in quanto:

a) per esplicare le ragioni della ritenuta interposizione fattizia, il giudice avrebbe dovuto utilizzare non solo il rapporto di coniugio, ma anche elementi fattuali, dotati dei crismi di gravità, precisione e concordanza idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio;

b) la motivazione dell’ordinanza è viziata, laddove ha considerato l’inutilità della documentazione prodotta dalla difesa per dimostrare la provenienza dei beni dalla famiglia della T., perchè rende impossibile la prova contraria a fronte della presunzione di illecita accumulazione patrimoniale;

c) nell’ordinanza non c’è riferimento ai redditi provenienti dalla locazione di terreni, anche se non dichiarati ai fini fiscali;

d) non è correttamente valutato il reddito del V., che non solo percepisce pensione di invalidità ma ha anche incassato L. 20.000.000 per arretrati;

e) è frutto di travisamento della prova documentale l’assunto del giudice, secondo cui la dichiarazione della madre della T., relativa alla donazione dell’appartamento in località (OMISSIS), è una scrittura privata, con firma autenticata, mentre si tratta di una dichiarazione resa al difensore, nell’ambito di indagini svolte ex art. 391 bis c.p.p..

Il ricorso si articola in motivi manifestamente infondati, in quanto non denunciano alcuna violazione di legge, costituente il solo motivo deducibile a norma dell’art. 325 c.p.p.. Secondo un consolidato orientamento interpretativo, nella nozione di "violazione" rientrano la mancanza assoluta di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (S.U. n. 5876 del 28.1.04, rv 226710).

Nel caso in esame, il ricorrente irritualmente propone una serie di critiche a valutazioni fattuali, contenute nella decisione impugnata, assolutamente immeritevole di censura in sede di giudizio di legittimità, in virtù della sua fedele corrispondenza ai risultati delle indagini e della loro razionale interpretazione. Il tribunale ha effettuata un’attenta disamina dei dati contabili relativi ai redditi dei coniugi V. – T., all’esito della quale ha tratto logiche conclusioni sulla macroscopica sproporzione tra i loro redditi e il valore dei beni in sequestro, confermando la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale. Nessuna omissione rilevante è riscontrabile in questa rassegna di redditi, compresi quelli, in nero, derivanti alla donna dalla locazione dei terreni. Assolutamente infondata è la censura sulla valutazione negativa dell’efficacia dimostrativa del documento relativo alla donazione della madre della T., documento del tutto irrilevante ai fini della dimostrazione di una donazione.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *