Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La B.P.D.C., era in possesso di vari buoni poliennali del Tesoro nominativi, con scadenza al 01.01.1997 e quindi rimborsabili da quella data.
Tali buoni sono stati presentati per il pagamento al Ministero del Tesoro nel corso del 2004.
Il Ministero del Tesoro ha eccepito la intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art 54 comma 5 della legge n° 449 del 2712- 1997.
Con il presente ricorso è stata impugnata la nota del Ministero del Tesoro del 27102004, notificata il 3112004, con la quale è stata eccepita la prescrizione dei titoli nominativi presentati dalla B.P.D.C..
All’udienza pubblica del 1012011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare si deve evidenziare che questo giudice conosce della presente controversia che riguarda che posizioni di diritto soggettivo nell’ambito della giurisdizione esclusiva attribuita dall’art 81 del D.P.R. 30122003 n. 398, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico, per le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l’interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato, o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico.
In tema di rimborso di titoli del debito pubblico, la controversia promossa dal creditore, possessore del titolo, nei confronti del Ministero del tesoro, implicante l’individuazione e l’applicazione della disciplina relativa alla prescrizione del diritto al relativo rimborso, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 61 d.P.R. 14 febbraio 1963 n. 1343, giacché tale controversia comporta l’interpretazione di leggi relative al debito pubblico (Cass. s.u., 7 maggio 2002, n. 6492; Tar Veneto n° 5457 del 2003)
Nel merito il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art 54 comma 5 della legge n° 449 del 27121997, contenente "misure di stabilizzazione della finanza pubblica" a decorrere dal 1° gennaio 1998 sono rimborsati alla pari e cessano di fruttare interessi i titoli del prestito nazionale Rendita 5 per cento, emesso con regio decretolegge 20 settembre 1935, n. 1684, convertito dalla legge 9 gennaio 1936, n. 118. I titoli nominativi, di cui al precedente periodo, purché non prescritti, di importo inferiore a lire due milioni, con esclusione di quelli sottoposti a vincolo cauzionale, sono rimborsati all’esibitore senza che occorra alcuna documentazione o formalità. È prescritto il capitale dei titoli nominativi di debito pubblico, anche se annotati di ipoteca o altro vincolo, se non reclamato nel corso di cinque anni dalla data di rimborsabilità.
Tale norma è stata confermata dal TU n° 398 del 2003 che all’art 21 ha previsto che le rate degli interessi non reclamate nel corso di cinque anni dalla scadenza sono prescritte. Il termine di cinque anni si applica qualunque sia la forma di pagamento degli interessi.
È prescritto il capitale rappresentato dai titoli di Stato non reclamato nel corso dei cinque anni dalla data di rimborsabilità.
L’art 79 del d.p.r. n° 398 del 2003 ha previsto che i termini di prescrizione indicati nel presente testo unico decorrono, per i titoli nominativi e per i buoni ordinari del Tesoro dal 1° gennaio 1998, come previsto dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449; mentre per i titoli al portatore dal 5 settembre 1993, data di entrata in vigore della legge 12 agosto 1993, n. 313, art. 2, che ha integrato l’articolo 2948 del codice civile, purché, a norma delle leggi anteriori, non rimanga a decorrere un termine minore.
In base a tale sistema normativo è, quindi, evidente che i buoni di cui era in possesso la Banca ricorrente sono scaduti nel termine di cinque anni dalla rimborsabilità e comunque nel termine di cinque anni dal 111998.
In maniera legittima dunque la Amministrazione ha rifiutato il pagamento richiesto nel 2004.
Sostiene la banca la illegittimità dell’applicazione di tale norma, in quanto i buoni in questione erano stati emessi sotto la vigenza delr.d. n° 1343 del 1963, il cui art 96 prevedeva: "le rate degli interessi non reclamate nel corso di cinque anni dalla scadenza sono prescritte. Il termine di cinque anni si applica qualunque sia la forma di pagamento degli interessi.
È prescritto il capitale rappresentato dai titoli dei prestiti redimibili non reclamato nel corso dei dieci anni dalla data di rimborsabilità. Per i titoli nominativi annotati di ipoteca o altro vincolo, il termine è di venti anni dalla medesima data".
Ad avviso della difesa ricorrente tale norma continuerebbe a disciplinare i titoli creati sotto la sua vigenza e non sarebbero applicabili le norme sopravvenute. A riprova di questo viene dedotto che la disciplina introdotta dalla legge del 1997 e poi dal T.U del 2003 non prevede alcuna norma di diritto transitorio che faccia riferimento alle fattispecie in corso, mentre l’art 252 delle disposizioni transitorie del codice civile, al momento dell’entrata in vigore del codice stesso, aveva regolamentato espressamente la materia stabilendo l’applicazione del termine più breve previsto dalle norme successive.
Tale argomentazione non è suscettibile di accoglimento.
La norma dell’art 54 della legge n° 449 del 1997, dettata, in particolare, in un testo normativo che introduce misure di finanza pubblica, aveva proprio la volontà di incidere sulle posizioni in corso. In primo luogo, il dato testuale della norma, anche se nei capoversi precedenti, prevede l’applicazione a posizioni già in corso (titoli emessi ai sensi del regio decretolegge 20 settembre 1935, n. 1684).
E’ evidente che la disposizione che prevede la modifica della prescrizione si riferisce ai titoli del debito pubblico già emessi. Altrimenti avrebbe fatto riferimento alle future emissioni.
Sarebbe, inoltre, priva di senso la introduzione di una tale norma in un testo di finanza pubblica.
A conferma di tale interpretazione, va richiamato l’art 79 del tu n° 398, che espressamente prevede la decorrenza del termine di prescrizione "dal 111998, come previsto dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449", mentre per i titoli al portatore dal 5 settembre 1993, data di entrata in vigore della legge 12 agosto 1993, n. 313, art. 2, che ha integrato l’articolo 2948 del codice civile, "purché, a norma delle leggi anteriori, non rimanga a decorrere un termine minore", con ciò evidentemente facendo applicazione dei principi di cui all’art 252 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, per cui quando per l’esercizio di un diritto ovvero per la prescrizione o per l’usucapione il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, purché, a norma della legge precedente, non rimanga a decorrere un termine minore.
Non può essere accolta neppure la censura relativa alla natura regolamentare del d.p.r. n° 398 del 2003; infatti si tratta di un testo unico composto di disposizioni legislative e regolamentari, adottato ai sensi dell’art 7 della legge n° 50 del 1999; la norma dell’art. 79 è indicata come di natura legislativa.
La norma è stata evidentemente compresa nel testo unico, in quanto già in vigore con l’art 54 della legge n° 449 del 1997.
La difesa ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale della previsione dell’art 54 se così interpretata in quanto avrebbe disposto in via retroattiva sui rapporti in corso.
Ritiene il Collegio la questione manifestamente infondata.
In primo luogo, infatti., la Corte Costituzionale ha più volte affermato che il principio di irretroattività è costituzionalizzato solo per le leggi penali.
Il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non ha dignità costituzionale, salva per la materia penale (Corte Cost n° 274 del 2006).
Il legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di ampia discrezionalità, salvo – in caso di norme retroattive – il limite imposto in materia penale dall’art. 25, comma 2, cost., e comunque a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, tra i quali il principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica (Corte Cost n° 236 del 2009).
La Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr di recente Corte costituzionale, 11 giugno 2010, n. 209).
Nel caso di specie, non si può dire che la eventuale incisione sulle posizioni in corso sia irragionevole o leda posizioni consolidate o meritevoli di particolari affidamento.
In primo luogo, rispetto alla disciplina del tempo della prescrizione non si ha una violazione della irretroattività, quanto l’applicazione a fattispecie pendenti con piena applicazione del principio tempus regit actum.
Si deve considerare, infatti, come il compimento del termine di prescrizione, comporta, ex art. 2934 c.c. l’estinzione del diritto, se il suo titolare non lo esercita per il tempo stabilito dalla legge: il predetto termine non inerisce perciò al contenuto del diritto soggettivo, ma è invece un limite al suo esercizio, per cui non può ritenersi sorto nel momento in cui il diritto è stato costituito; d’altro canto, la prescrizione viene ad esistenza soltanto con il compimento del termine previsto dalla legge, poiché solo allora il fatto costituito dalla perdurante inerzia produce l’effetto estintivo (Tar Veneto n° 5457 del 2003).
E’ stato previsto, comunque, un termine congruo, pari a cinque anni, quindi sufficientemente lungo, che consentiva la riscossione dei buoni già scaduti.
Tenuto anche conto dei particolari interessi sottostanti alla disciplina del debito pubblico, quali la stabilità della moneta e del sistema finanziario, meritevole di una tutela da parte dello Stato rispetto alla singole posizioni individuali dei creditori, comunque nel caso di specie sufficientemente garantite, non si può affermare che il legislatore abbia disciplinato la fattispecie in maniera irragionevole.
Inoltre, l’art 252 delle disp. trans. del codice civile indica un principio generale per il quale le norme possono incidere sulla prescrizione in corso, tenuto conto che le disposizioni preliminari al codice civile prevedono al medesimo tempo che la legge non dispone che per l’avvenire.
Infine, rispetto alla specifica situazione della B.P.D.C., i buoni erano scaduti, divenendo rimborsabili nel 1997, mentre sono stati posti in pagamento nel 2004, sei anni dopo la scadenza. Ne deriva che la Banca ricorrente non è meritevole di un particolare affidamento.
Il ricorso è quindi infondato e deve essere respinto.
In considerazione della peculiarità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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