LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sesta Sezione Penale
Composta dagli Ill.mi sigg.:
Dott. Agrò Antonio Presidente
1. Dott. Milo Nicola Consigliere
2. Dott. Dogliotti Massimo Consigliere
3. Dott. Rotundo Vincenzo Consigliere
4. Dott. Carcano Domenico Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA/ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
1) B. A. n. il 18/12/1951
Avverso SENTENZA del 12/02/2007
Corte Appello di Roma
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in Pubblica Udienza la relazione fatta dal Consigliere
Milo Nicola
Udito il P.G. in persona del dr. F.M. Iacoviello che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza, in relazione al capo e), per remissioni di querela, e per l’inammissibilità nel resto del ricorso;
udito il difensore avv. d. Scialla, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
N. 24914/07
FATTO E DIRITTO
1 – La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 12/2/2007, confermava la decisione 8/4/2004 dal locale Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato A. B. colpevole dei reati di maltrattamenti e lesioni volontarie lievi in danno della moglie, R.T.C., e della figlia M., ma riduceva la misura della pena inflitta.
Il Giudice distrettuale evidenziava che la prova della responsabilità dell’imputato era integrata dalla precisa e puntuale testimonianza di M. B. , che aveva riferito in ordine al clima di permanente tensione che aveva caratterizzato la vita familiare, ai continui litigi tra i suoi genitori a causa prevalentemente dell’abuso di alcool da parte di entrambi, al suo coinvolgimento di riflesso in tali litigi, alla protrazione del comportamento violento e vessatorio del padre anche dopo la morte della madre in data 5/2/2001. Aggiungeva che tale testimonianza aveva trovato indiretto riscontro in quelle del m.llo dei CC. E.C. , intervenuto piu’ volte in occasione di litigi verificatisi in casa B..
2 – Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato e ha lamentato: 1) erronea applicazione dell’art. 603/3° c.p.p. per non essere stata accolta la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di meglio chiarire i fatti posti a base dell’accusa di maltrattamenti; 2) erronea applicazione dell’art. 572 c.p. non essendosi tenuto conto delle ragioni sottese ai litigi verificatisi, le quali portavano ad escludere l’elemento soggettivo del reato; 3) vizio di motivazione in ordine al realistico e corretto apprezzamento dei fatti di causa.
3 – Il ricorso è fondato.
Tralasciando il primo motivo di censura che, per quello che si dirà in seguito, è privo di rilevanza, osserva la corte che la presente vicenda, per così come emerge dalla ricostruzione in fatto operata dai Giudici di merito, deve essere apprezzata e valutata nel particolare contesto familiare in cui è maturata, al fine di invidiare realisticamente l’esatto rilievo penale dei comportamenti sicuramente antigiuridici tenuti dall’imputato in danno della moglie e della figlia.
Il racconto di M. B. , al di là delle accuse mosse contro il padre, delinea un quadro familiare caratterizzato e condizionato da anomalie comportamentali di tutti i suoi componenti, determinate dall’uso smodato e incontrollato che i suoi genitori facevano dell’alcool, nonchè delle gravi patologie a livello psichiatrico di cui la madre era portatrice. Non può evidentemente prescindersi da tale peculiare situazione, per cogliere la reale portata e il vero significato delle tensioni verificatesi in casa B. e spesso sfociate in litigi verbali, connotati da provocazioni o minacce, oppure in vere e proprie aggressioni fisiche ad iniziativa non solo dell’imputato ma anche della moglie. In sostanza, non può affermarsi che sia stato il prevenuto, con la sua condotta prevaricatrice e violenta, ad imporre un regime di vita vessatorio e intollerabile all’interno del consorzio familiare, essendo egli stesso rimasto vittima di comportamenti lesivi del suo patrimonio morale e della sua integrità fisica ad opera della moglie. In definitiva, tute le persone coinvolte nella presente vicenda, devono considerarsi in qualche modo vittime di una situazione familiare difficile per le gravi difficoltà esistenziali vissute dai coniugi e di una incapacità dei medesimi a fronteggiarla efficacemente con la necessaria serenità. La stessa figlia M. , per la sua giovane età e per l’impossibilità di avere in uno dei genitori un punto di riferimento certo su cui fare affidamento, ha finito per essere travolto dal clima di tensione imperante in casa, lasciandosi andare, per sua stessa ammissione, a sconsiderati comportamenti fortemente reattivi verso il padre, in occasione dei litigi tra costui e la madre. Dopo la morte della C. , il clima di tensione e la residuale conflittualità tra l’imputato e la figlia si stemperano progressivamente, anche perché quest’ultima si allontanò dalla casa paterna.
Ciò posto, ritiene la corte che siano difettate nell’agente la coscienza e la volontà di sottoporre i soggetti passivi ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuativo ed abituale. I singoli atti lesivi, certamente verificatisi, non possono che essere letti come forme espressive di reazioni determinate da tensioni contingenti, anche se non infrequenti nel descritto contesto familiare; detti atti non appaiono, per quanto accertato in sede di merito, tra loro connessi e cementati dalla volontà unitaria e persistente dell’agente di sottoporre i soggetti passivi a ingiuste sofferenze morali o fisiche, si da rendere abitualmente doloro il rapporto relazionale.
La sentenza impugnata, pertanto va annullata senza rinvio, con riferimento ai contestati reati di maltrattamenti, perché il fatto non costituisce reato.
Residuano logicamente i reati di lesioni volontarie lievi, la cui sussistenza e ascrivibilità soggettiva all’imputato risultano oggettivamente provate.
Tuttavia, il reato di lesioni in danno della C. (capo b), commesso il 21-22 agosto 2000, è estinto per prescrizione, in quanto il relativo termine, considerato nella sua massima estensione di anni sette e mesi sei (artt. 157/1° n. 4 e 160/3° c.p. nel testo previgente) e mai sospeso è ad oggi interamente decorso.
Il reato di lesioni in danno di M. B. (capo e) è estinto per remissione di querela (cfr. atto di remissione in data 5/4/2007 e successiva accettazione in data 8/5/2007 dell’imputato). E’ il caso di precisare che tale reato è punibile a querela della persona offesa, non essendo contestata in fatto alcuna aggravante che lo renda perseguibile d’ufficio; il richiamo, nel capo d’imputazione all’art. 576 n. 2 c.p. è errato dovendosi, invece, fare correttamente riferimento – per quanto indicato in fatto – all’art. 577 n. 1 c.p., aggravante quest’ultima non ostativa alla perseguibilità a querela del reato (artt. 582/2° c.p.).
La Sentenza impugnata va, quindi, annullata senza rinvio anche in relazione a questi ultimi due reati con la formula corrispondente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, con riferimento ai maltrattamenti, perché il fatto non costituisce reato; con riferimento alle lesioni di cui al capo b), perché il reato è estinto per prescrizione; con riferimento alle lesioni di cui al capo e), per remissione di querela.
Così deciso in Roma il 4/11/2008.
IL Consigliere est. Il presidente
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL 13 FEBBRAIO 2009.