Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6817 Diritti politici e civili Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che I.A. e gli altri cinquantotto ricorrenti indicati in epigrafe, con ricorso del 10 maggio 2010, hanno impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 24 marzo 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sui distinti ricorsi dei predetti ricorrenti – volti ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 7.000,00 a titolo di equa riparazione, ed ha liquidato le spese del giudizio, determinandole in Euro 22.040,00, di cui Euro 12.000,00 per diritti ed Euro 7.040,00 per onorari;

che il Ministro dell’economia e delle finanze, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con distinti ricorsi del 2007 era fondata sui seguenti fatti: a) gli odierni ricorrenti, aspiranti alla corresponsione di rivalutazione ed interessi sulle somme loro tardivamente erogate dal Ministro della Giustizia, avevano proposto – con ricorso del gennaio 1995 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza dell’11 novembre 1998; c) il Consiglio di Stato, adito dal resistente, aveva deciso l’appello con sentenza del gennaio 2007;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – detratti tre anni di ragionevole durata del processo presupposto di primo grado ed ulteriori due anni del processo d’appello – ha liquidato per i residui sette anni di irragionevole ritardo, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 7.000,00, oltre gli interessi legali dalla data del decreto al saldo.
Motivi della decisione

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la affermata decorrenza degli interessi sul liquidato indennizzo dalla data del decreto, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione; b) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata;

che, infatti, questa Corte ha già ripetutamente affermato che, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo, avente carattere indennitario e non risarcitorio, non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., nè presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, essendo invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, e l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione configurandosi non già come obbligazione ex delicto ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza che dal carattere indennitario di tale obbligazione discende che gli interessi legali possono decorrere, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e di illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8712 del 2006 e 2248 del 2007);

che la censura sub b) è conseguentemente assorbita;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato, in relazione alla censura accolta, nella parte in cui determina la decorrenza degli interessi sulla somma capitale di Euro 7.000,00 dalla data del decreto impugnato al saldo, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione al saldo;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che, nella specie, la decorrenza degli interessi sulla già riconosciuta somma capitale di Euro 7.000,00 deve essere stabilita dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione al saldo effettivo;

che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, par. 7 e voce 75, par. 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto D.M., i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4^, e B, par. 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 13.450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 6.400,00 per diritti (Euro 600,00 + Euro 5.800,00 per gli altri cinquantotto ricorrenti) ed Euro 7.000,00 per onorari – così aumentati in ragione della pluralità delle parti difese -, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze a corrispondere in favore di ciascuno dei ricorrenti – sulla somma di Euro 7.000,00 – gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 13.450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 6.400,00 per diritti ed Euro 7.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Abbate, dichiaratosene antistatario.

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